Speciale Salone del libro/Spazio virtuale: una manciata di parole

di Tiziana C. Carena e Francesco Ingravalle

L’Italia e le sue regioni, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 2015

 

Torino. Con i direttori scientifici Mariuccia Salvati e Loredana Sciolla sono intervenuti Giuliano Amato, Piero Fassino. Dopo gli interventi introduttivi di Mariuccia Salvati e di Loredana Sciolla, hanno preso la parola Piero Fassino e, poi, Giuliano Amato. La Sala blu, con simili nomi non poteva essere che pienissima. Fassino consiglia di leggere la voluminosa Storia del Piemonte di A. Barbero dove si parla, nel primo capitolo, dei primi insediamenti, tutti lungo i fiumi: Torino (il Po), Vercelli (la Sesia) e Alessandria (il Tanaro). Suggerisce che a distanza di venti-venticinque secoli l’articolazione del nostro territorio è ancora analoga (Torino, Novara, sub-Piemonte da Cuneo ad Alessandria); ceppi diversi, lingue diverse, ma l’articolazione si ripropone, matrici storiche che permangono, quasi un DNA che attraversa la storia e che mantiene intatti alcuni caratteri. L’Italia è un paese di comuni, di città, un paese giovane, come nazione, rispetto alla Spagna, alla Francia o all’Inghilterra: la sua dimensione identitaria è nei comuni. Si dice solitamente: “Sono di Torino”, non “Sono del Piemonte”; compare questa dimensione comunale identificata con il capoluogo.

Si è tentato di costruire una politica che sostanziasse identitariamente le regioni con la legge sul regionalismo del 2000; ma in cinque anni si è tornati indietro: dal 2006-2007, per risanare i conti pubblici si è ri-centralizzato, senza modificare, però, il titolo V della Costituzione. La revisione del titolo V sancisce per una serie di settori la titolarità da parte dello Stato: Per sanare questo assetto contraddittorio urge, dunque, la riforma delle regioni all’interno della riforma costituzionale.

Da quattro o cinque anni non si parla più di “mezzogiorno” e, carsicamente, è emersa la “questione settentrionale”. Il 65% del prelievo fiscale viene da Ancona a Bolzano; il 65% del ceto medio è concentrato nello stesso territorio; e nello stesso territorio si trova una popolazione extra-comunitaria che è il doppio della media nazionale. Sotto questo profilo l’unificazione del paese, dell’Italia non è del tutto “reale”. Siamo un grande paese – non solo un “bel paese” – per risorse materiali, morali, umane; il problema è come mettere a frutto questa grandezza.

Giuliano Amato ha rilevato che la specialità italiana è “mettere insieme le specialità”. Noi italiani siamo una mistura di etnie diverse; l’Italia, dunque ha prodotto (e produce) realtà unendo diversità. Diversità comunali, oltre che regionali. L’Italia ha prodotto (e produce) cose belle. Ma l’esperienza che stiamo attraversando ora rivela una spinta difensiva, più che una spinta a esprimersi, da parte delle regioni. Se il centro-nord è più abituato all’auto-governo (i comuni, i piccoli Stati), il sud è stato sempre soffocato da regimi centralisti prima dell’unificazione italiana. La meridionalizzazione della burocrazia centrale italiana ha portato la burocrazia centrale al centralismo che ha bloccato il regionalismo. Abbiamo dimenticato Cattaneo e abbiamo impedito alle realtà locali di esprimersi. Qui va appuntata l’attenzione da parte dei riformatori in un lavoro che sappia realizzare un ordinamento in grado di dare voce alle realtà regionali sul piano amministrativo.

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