Economia e/o ecologia?

Il verde come cura delle tasche al verde. Una guida completa all’economia ecologica

 

È in libreria, edito da Carocci nella nuova collana in collaborazione con la Città della scienza, il nuovo libro di Mario Salomone: Al verde! La sfida dell’economia ecologica (pp. 160, euro 12).

Se la crisi ha ridotto al verde la maggior parte delle persone (mentre continua illimitato l’arricchimento dei ricchi, una crescita esponenziale possibile in un pianeta finito), la strada, come suggerisce il gioco di parole del titolo, è quella del cambio di paradigma, della conversione a nuovi modelli di produzione e consumo. “Al verde!”, insomma, è sia una constatazione sia una esortazione.

Si sa che, pur accomunate dall’etimo (“oikos”), l’economia e l’ecologia hanno preso strade diverse, tanto che la prima è sembrata diventare la peggior nemica della seconda.

Del resto, come ha proposto il premio Nobel Paul Crutzen, dalla Rivoluzione industriale in poi l’umanità ha dato vita a un periodo del Quaternario che può essere battezzato Antropocene. E non è un complimento.

Nella seconda metà del secolo scorso questo processo ha avuto una forte accelerazione, cui le teorie “neoclassiche” e il neoliberismo hanno fornito legittimazione, ma si è anche sviluppato un filone di pensiero volto a riconciliare economia ed ecologia.

Il volume di Mario Salomone illustra, in modo chiaro e convincente, i contorni di una economia ecologica, che sta trovando un reale riscontro in molti processi “dal basso”, in nuovi stili di vita, in una incoraggiante diffusione di forme di economia “verde”. E in qualche primo apparire di una “società verde”.

Il testo presenta d aun lato i concetti fondamentali della “ecological economics” e dall’altro i diversi aspetti della “ecological economy”: l’agroecologia, l’ecologia industriale, il metabolismo e la simbiosi industriale,… Ma un forte accento è riservato al rapporto tra ingiustizia sociale e saccheggio delle risorse del pianeta e ai fenomeni sociali emergenti che fanno pensare, appunto, alla possibilità di un futuro diverso come “invenzione collettiva”, fondata su un nuovo paradigma.

 

Partecipazione vo cercando…

Partecipazione: chiave di democrazia e di costruzione, di invenzione collettiva del futuro, ma oggi appannata. Esiste “dal basso”, è troppo poco accettata e promossa dall’alto. Che ne pensate? Ne ha parlato recentemente Mario Salomone a Bergamo, di fornte a comitati di quartieri, associazioni ambientaliste, gruppi di base, in un convegno dedicato, appunto, alla partecipazione:

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Il valore dell’educazione ambientale, le sue luci, le sue criticità

Cosa rispondere alla domanda “se e quanto è importante investire in educazione ambientale”?

Mario Salomone

Cosa rispondere alla domanda “se e quanto è importante investire in educazione ambientale”? In tempi in cui le preoccupazioni economiche fanno da padrone, si potrebbe rispondere, ad esempio che il caso dell’educazione ambientale è quello che in economia si chiama costo-opportunità: gli investimenti in educazione ambientale da un lato fanno risparmiare perché aumentano l’adesione e la collaborazione dei cittadini alle norme ambientali, dall’altro lato stimolano l’innovazione e favoriscono lo sviluppo della green economy, perché accrescono la domanda di beni e servizi ecologici o biologici e creano il terreno favorevole alla transizione verso modelli di produzione e consumo sostenibili, quindi verso una migliore qualità della vita e un benessere “equo e sostenibile”.

Ma sarebbe bello potere anche rispondere che l’educazione è una chiave fondamentale per costruire il futuro e che oggi l’educazione o è “ambientale” o non è. È la chiave per ridare un’anima a una società stanca, malata, in crisi morale e sociale, in cui le disuguaglianze aumentano esponenzialmente, e parallelamente alla ricchezza di pochi e ai capitali nascosti nei paradisi fiscali. Leggi tutto “Il valore dell’educazione ambientale, le sue luci, le sue criticità”

CleanTech Challenge 2014 – il concorso internazionale per premiare le migliori idee “verdi”

Parte la CleanTech Challenge 2014, capitolo italiano. Chiunque abbia un’idea “clean” e non sia ancora riuscito a promuoverla ha ora l’occasione di vincere 5.000 euro e rappresentare l’Italia alla London Business School nella sfida finale del concorso internazionale, con la possibilità di aggiudicarsi un ulteriore premio in sterline. La Challenge CleanTech (CTC) infatti è una competizione promossa dal MIP Politecnico di Milano in collaborazione con la London Business School e l’University College London Business in cui gli studenti delle migliori scuole di business e d’ingegneria competono in team interfunzionali. Leggi tutto “CleanTech Challenge 2014 – il concorso internazionale per premiare le migliori idee “verdi””

Le ferrovie tolgono il disturbo

Solo posti in piedi in treno e alla stazione (di Mario Salomone)

Milano, Stazione Centrale, venerdì 17 gennaio 2014, ore 11. È venerdì 17 per chi cerca un po’ di caldo alla Stazione Centrale di Milano. Alcuni operai, scortati da guardie private armate, smantellano i sedili nell’area di fronte ai servizi igienici della stazione. Si tratta di un angolo riparato e, unico in tutta la stazione, un po’ caldo, grazie all’aria che fuoriesce dalle vicine toilette a pagamento (1 euro per fare pipì).
Di posti dove sostare nelle stazioni italiane non ne sono rimasti molti, come è noto: le FS si sono vendute la sale di aspetto, trasformate (come la bella e monumentale sala della stazione di Milano) in centri commerciali. Rimangono qua e là solo pochi sedili, che d’inverno sono esposti al freddo e al vento, tranne appunto quelli ora eliminati a Milano. A meno di non andare a fare shopping: lo spazio della stazione, le scale mobili, i tapis roulant (a Milano, ma anche in altre grandi stazioni) sono organizzati, appunto, per obbligare, come in una gimcana, i passeggeri a passare davanti al maggior numero possibile di vetrine e a entrare nei negozi. Business is business. Perché dunque smontare i sedili? Perché le guardie, che squadrano di brutto il sottoscritto che fa foto e gli si avvicinano con aria intimidatoria, invitandolo a spostarsi altrove? Sarà che il luogo è gradito agli homeless, che bisogna mandar via? Sarà che qualcuno tra chi paga 1 euro per fare pipì non gradiva lo spettacolo?

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Sostegno della FIMA al Festival internazionale del giornalismo di Perugia 2014

Un evento unico e gratuito che ospita le voci più autorevoli del giornalismo mondiale
 

 

La FIMA, Federazione italiana media ambientali, ha lanciato un appello a sostegno del festival internazionale del giornalismo di Perugia.
Il Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia è il più importante evento del settore in Europa. Nell’edizione 2013 ha offerto al pubblico 210 eventi in 5 giorni: conferenze, workshop formativi e dibattiti, 479 relatori da tutto il mondo e oltre 50mila partecipanti. Il tutto reso possibile dai volontari, 252 ragazzi e ragazze che da ogni parte del mondo hanno raggiunto l’Italia per donare il loro entusiasmo e la loro professionalità alla manifestazione.

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Terremoti, cosa dire e cosa tacere

(di Ugo Leone)

Una comunicazione scientificamente corretta è il principale strumento per fornire indicazioni realistiche sui comportamenti da tenere in caso di pericolo

Sono molte, ma proprio molte, le arti in cui molti con indiscusso o discutibile successo si esercitano. Una delle meno note e praticate pur essendo fra le più preziose è l’arte di tacere. L’abate Joseph Antoine Toussaint Dinouart nel 1771 ne scrisse in un volumetto pubblicato a Parigi: “L’arte di tacere”. Il primo dei 14 principi necessari per tacere che l’abate suggerisce è che “È bene parlare solo quando si deve dire qualcosa che valga più del silenzio.” Se questo principio fosse rispettato, spesso e un po’ dovunque il silenzio regnerebbe sovrano. Invece no e molto più spesso la vince Laverdure, il pappagallo di Zazie nel metrò di Raymond Queneau, che continuamente ripete il suo  “chiacchieri, chiacchieri, non sai fare altro”.

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Tutto il potere al riciclo

(di Giorgio Nebbia)

Tutti i problemi con cui dobbiamo fare i conti oggi – scarsità di materie prime, inquinamento, riciclo dei rifiuti, eccetera – sono già stati incontrati e risolti con invenzioni e innovazioni che hanno fatto andare avanti il mondo. Un illuminante esempio è offerto dalla storia dell’acido solforico, una delle sostanze chimiche prodotte su larga scala nel mondo, quasi 200 milioni di tonnellate all’anno, indispensabile per la produzione di concimi, lubrificanti, materie plastiche, semiconduttori, detersivi, esplosivi, e infinite altre cose. Al punto che il grande chimico Justus von Liebig (1803-1873), nella metà dell’Ottocento, scrisse, con una certa enfasi, che lo sviluppo economico di un paese si poteva dedurre dalla quantità di acido solforico che esso produceva; il che non è certamente vero anche se la produzione di questa sostanza ha avuto un ruolo importantissimo nella storia delle società umane.

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La chimica di morte

(di Giorgio Nebbia)

Ben opportunamente il premio Nobel per la pace del 2013 è stato assegnato all’agenzia internazionale che si occupa della eliminazione delle armi chimiche. Fra tutte le armi, strumenti di morte, merci oscene, le peggiori di tutte sono proprio quelle chimiche, sostanze, spesso ottenibili a basso prezzo e con strutture industriali abbastanza rudimentali, che sono state e sono causa di forme orribili di morte, di dolori indescrivibili. L’uso di agenti chimici per mettere fuori combattimento gli avversari è iniziato durante la prima guerra mondiale come sottoprodotto del successo dell’industria chimica. Nella seconda metà del 1800 erano già note numerose sostanze dotate di proprietà irritanti, asfissianti e velenose; nel 1812 si era scoperto che, dalla reazione del cloro con l’ossido di carbonio, si forma fosgene, un liquido volatile molto irritante e tossico.

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Intervista a Gabriele Del Grande sull’immigrazione

Il blog di Gabriele Del Grande inizia così: Sei anni di viaggi nel Mediterraneo lungo i confini dell’Europa. Alla ricerca delle storie che fanno la storia. La storia che studieranno i nostri figli, quando nei testi di scuola si leggerà che negli anni duemila morirono a migliaia nei mari d’Italia e a migliaia vennero arrestati e deportati dalle nostre città. Mentre tutti fingevano di non vedere.
Conosciamo Gabriele attraverso l’intervista di Giulio di Meo, pubblicata su www.pressenza.com

Gabriele, ci puoi spiegare meglio il lavoro che fai?
Viaggio, incontro, ascolto, leggo, penso, studio. E poi scrivo. All’estero mi definisco un giornalista. Nel paese delle caste e delle tessere che è l’Italia, non sono nemmeno un pubblicista, ma una semplice partita Iva. Ad ogni modo, il risultato è lo stesso. Cercare storie, metterle in fila, e provare a raccontare la Storia. Con cura, preparazione e passione. Fortress Europe è una ricerca che dura da sette anni. Da un lato i numeri delle statistiche sui morti lungo le frontiere europee e dall’altro il lavoro di reportage e narrazione. Leggi tutto “Intervista a Gabriele Del Grande sull’immigrazione”