Terremoti, cosa dire e cosa tacere

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(di Ugo Leone)

Una comunicazione scientificamente corretta è il principale strumento per fornire indicazioni realistiche sui comportamenti da tenere in caso di pericolo

Sono molte, ma proprio molte, le arti in cui molti con indiscusso o discutibile successo si esercitano. Una delle meno note e praticate pur essendo fra le più preziose è l’arte di tacere. L’abate Joseph Antoine Toussaint Dinouart nel 1771 ne scrisse in un volumetto pubblicato a Parigi: “L’arte di tacere”. Il primo dei 14 principi necessari per tacere che l’abate suggerisce è che “È bene parlare solo quando si deve dire qualcosa che valga più del silenzio.” Se questo principio fosse rispettato, spesso e un po’ dovunque il silenzio regnerebbe sovrano. Invece no e molto più spesso la vince Laverdure, il pappagallo di Zazie nel metrò di Raymond Queneau, che continuamente ripete il suo  “chiacchieri, chiacchieri, non sai fare altro”.

Esternazioni quotidiane
Il libro che citavo presenta molti aspetti di inalterata attualità e l’editore Sellerio che ne ha curato l’edizione italiana  potrebbe esaurire molte tirature se del volumetto si volesse fare omaggio alle migliaia di persone che dalla lettura potrebbero trarre giovamento. Soprattutto potrebbero trarne giovamento i destinatari delle loro tante, spesso estemporanee, esternazioni che caratterizzano il quotidiano della vita politica. Per non parlare – anzi, coerentemente, per tacere – delle successive smentite e revisioni dei “non volevo dire”, “sono stato male interpretato”, “non avete capito” che spesso ne seguono. È un invito al silenzio? Certamente no. Ma l’invito a riflettere sul fatto che, come ci ammonisce da 2200 anni “Qoèlet”,  “c’è un tempo per tacere e un tempo per parlare”. Per cui  l’uomo silenzioso non è chi non dice nulla, ma chi “sa tacere opportunamente in base al tempo e al luogo in cui ci si trova”.

Non uccide il terremoto ma la casa che crolla
Mi hanno indotto a questa riflessione (per la quale qualcuno potrebbe anche accusarmi di non avere esercitato l’arte che per altri sto consigliando), mi hanno indotto dicevo, alcuni interventi provocati dal terremoto del 29 dicembre. Uno su tutti, quello del vicepresidente del consiglio nazionale dei geologi che ha consigliato agli abitanti delle regioni coinvolte di dormire in macchina per stare più al sicuro rispetto alla permanenza in abitazioni mal costruite. Capisco l’emozione; capisco che dopo la sentenza che ha condannato molti componenti della Commissione grandi rischi vale la pena di tenere sempre elevate le difese, ma questo non è il modo corretto di fare comunicazione. E la comunicazione corretta, scientificamente corretta, è il principale strumento di informazione per fornire indicazioni realistiche sui comportamenti da tenere.  È il caso, per esempio, delle dichiarazioni di Edoardo Cosenza e di Gaetano Manfredi il primo, assessore regionale alla Protezione civile, ma, soprattutto ordinario di tecnica delle costruzioni alla Federico II; il secondo, ingegnere sismico, presiede la Rete dei laboratori universitari di Ingegneria sismica. Ebbene ci ricordano che i terremoti, quei disgraziati, non rispettano alcuna regola, ma l’andamento di questo terremoto sembra essere nell’ordine del naturale esaurimento del fenomeno; che, certo, il patrimonio edilizio della regione non brilla per antisismicità, ma che dopo il terremoto del 1980 si è costruito in modo più rispettoso dell’ingegneria antisismica, che non poco dell’edilizia esistente è stato “rafforzato” e che se si vive in un edificio che non rispetta queste regole, il problema non è dormirci, ma starci. Perché, come i  sismologhi sono soliti affermare, “non uccide il terremoto, ma la casa che crolla”.

Ugo Leone

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