ALCATRAZ: il nome di una prigione per un luogo di evasione

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(di Elisabetta Gatto)

La destinazione era chiara: Alcatraz, a Santa Cristina, frazione di Gubbio. Meno chiaro cosa avrei trovato e cosa aspettarmi. Ebbene, ho fatto yoga dentro una yurta, la tenda circolare dei nomadi della Mongolia. Ho fatto watzu (water shastu) in piscina. Ho dipinto delle sedie di legno da recuperare e riciclare. Del resto, Elisa, che piena di entusiasmo ha lasciato Bologna per trasferirsi in Umbria e lavorare ad Alcatraz, mi aveva avvisata: “Qui cerchiamo di non far esaurire le persone, ma le cose sì!”. Ho gustato piatti saporiti e genuini accompagnandoli con buon vino rosso. Ho visitato l’ecovillaggio solare, passeggiato nel bosco, assaggiato – appena colti – asparagi selvatici, borragine e primule.
Ma avrei potuto anche passeggiare fino alle Antiche rovine (da un progetto di Dario Fo) per assistere a una performance di ukulele mentre si osservano le stelle.

 Seguire uno dei sentieri didattici nel parco per conoscere la flora e la fauna, avvistare uccelli, imparare a usare le erbe officinali.

Dedicarmi allo yoga demenziale o al teatro. Partecipare a laboratori di musica, pittura, scultura.
E attendere con ansia l’ora del pranzo o della cena per sedermi nuovamente a tavola. Il ristorante, infatti, è una vera sorpresa: una cucina biologica che finalmente non è insapore, ma al contrario gustosissima. Le cuoche preparano i piatti con prodotti biologici, certificati e di altissima qualità. Olio, pane, yogurt, aceto e pasta fresca sono prodotti in casa. Si possono gustare fiori di calendula fritti, antiche specie di legumi e verdure, ma anche delle ottime lasagne al forno.

Alcatraz è al tempo stesso un’associazione culturale e un’azienda agricola per la produzione di olio, marmellate, distillati. Non solo, è la prima azienda italiana a impatto zero: infatti controbilancia il suo impatto ambientale gestendo la conversone di 350 ettari di bosco da ceduo ad alto fusto e piantando 490 mila metri quadri di nuovi alberi.

È un parco di oltre 4 milioni di metri quadrati di boschi e oliveti. O meglio, un parco-museo: si può passeggiare nel Bosco Fantastico con installazioni realizzate dagli ospiti e da Jacopo Fo e la sua compagna Nora, trovare sparsi un po’ ovunque gli “animilli”, sculture in cui il tema del mostruoso incorpora il benevolo e il giocoso, giocare nella pista da biglie decorata con il “mostro dentuto”.

Fanno tappa ad Alcatraz astrofisici, artisti, musicisti, curiosi. L’accento è posto sulla sostenibilità ambientale e sul riutilizzo delle risorse naturali, in modo che nulla vada sprecato: l’acqua della piscina è riscaldata con un termocompost fatto di legna frantumata, si recupera l’acqua piovana perché insieme a quella di coltura sia usata per concimare il terreno.

Alcatraz per Jacopo Fo che l’ha fondata nel 1981 è la terza via, è un’alternativa. Non vuole sentir parlare di città (“la città produce strutturalmente depressione”), ma neanche di vita in campagna, associata alla fatica dei lavori agricoli e all’isolamento. Ma insiste: “I fiori, gli insetti hanno un effetto positivo sull’umore e il benessere di una persona. Privarsene è come un’amputazione sensoriale. Se penso al primo momento in cui mi sono sentito tranquillo è stato in un bosco”.

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INTERVISTA A JACOPO FO

Jacopo-fo1Mostrata una grande disponibilità e un gusto particolare per la chiacchiera, Jacopo Fo ha precisato da subito che non ama le situazioni formali e infiocchettate e preferisce lasciarsi andare al racconto in momenti conviviali, a tavola ad esempio. Ecco quello che ho raccolto durante le cene trascorse insieme.

Da dove è saltata fuori l’idea di Alcatraz?

Tutto è nato da un interesse per i temi in cui le forze progressiste erano troppo deboli, quelli di cui nessuno vuole parlare. Un esempio? I cimiteri: la sepoltura in Italia costa 20 volte rispetto alla Svizzera o agli Stati Uniti. Noi abbiamo offerto 10 mila sepolture gratuite nel bosco: ciascuno poteva scegliere attraverso il satellite l’albero per la sepoltura, ma nessuno ha aderito. Spesso le nostre iniziative hanno avuto un’eco negli anni a venire, talvolta sono state inascoltate. Siamo stati tacciati di essere radical chic, strani, pazzi, ma questo non ci ha impedito di andare avanti e di occuparci dei temi più diversi, dal parto dolce al fotovoltaico, dalla comicoterapia agli asili sul modello di Malaguzzi.

Sono cose di difficili da capire, la semplicità fa incazzare o scandalizza.

Ma questo modo di pensare ha le sue radici nei movimenti cooperativi del Medioevo, nel funzionamento delle abazie e dei monasteri, nelle attività collettive di mietitura o di costruzione delle case.

Io appartengo alla generazione che non ha fatto il ’68 e questa è la mia personale rivoluzione. Non volevo che andassero sprecate tante energie, tante anime del Sessantotto, dal movimento femminista all’antiginnastica. L’idea è stata quella di allontanarsi, di ritirarsi sul monte, proprio come nei monasteri all’arrivo delle invasioni dei barbari.

Da lì l’intento è stato quello di gettare il seme: abbiamo iniziato a parlare di biologico e di fotovoltaico. Ora siamo contenti che altri lo facciano.

Siete dunque un’avanguardia…

Nel 1981 abbiamo aperto il primo ristorante biologico. Oggi il 6% della popolazione consuma cibi biologici.

Durante l’invasione dell’Iraq nel 2003, come gruppo indipendente, senza mezzi, abbiamo fatto la trasmissione “Ubu’ Bas va alla guerra”, collegando 28 televisioni satellitari per raggiungere un pubblico il più vasto possibile e raccontare ciò che le televisioni avevano censurato: 100 mila spettatori in internet, 2 milioni in totale. E questo ben prima di “Servizio pubblico”.

Nel ’99 abbiamo invitato Patch Adams e Miloud a tenere seminari di comicoterapia e abbiamo ospitato qui un convegno con oltre 300 clown.

Nel ’98 abbiamo fondato il quotidiano “Buone Notizie”. Non è una controtendenza questa?!

Perché avete scelto il nome Alcatraz per questo progetto?

Beh, la vita è una prigione. Evadere è una necessità.

Alcatraz si definisce anche Libera Università.

Alcatraz è una libera università, dove si impara secondo un sistema non ufficiale. Quella che veicoliamo è un’informazione senza trucchi: partiamo dall’esperimento, raggiungiamo un risultato strano per arrivare infine alla spiegazione.

Abbiamo insistito anche sull’importanza dell’apprendere ridendo: insegnare la matematica o l’italiano in modo divertente è molto più efficace.

A quali progetti vi state dedicando oggi?

Per citarne alcuni, il Villaggio solare (vedi box), il Festival delle ecotecnologie e dell’autocostruzione che ospiteremo dal 26 luglio al 2 agosto, e ancora la Campagna nazionale per il mercato dell’usato e del baratto per creare una rete di mercati come luoghi di comunicazione. Abbiamo cominciato a Perugia con 120 banchi: di questi, solo 10 sono di commercianti, gli altri sono di cittadini che vogliono mettere in circolo le loro merci.

Nella vita ho concluso obiettivi concreti, ho messo in piedi una struttura e un gruppo di professionisti che a diverso titolo lavoravano per il benessere: come si respira, si usa la voce, si muovono i muscoli, funziona la creatività. Essi a loro volta ne hanno formati altri e si è creata una rete.

 

L’ECOVILLAGGIO SOLARE

“L’ecovillaggio è una rete di storie”: così lo definisce Jacopo Fo. Dentro il parco della Libera Repubblica di Alcatraz si sta sviluppando una città verde, un villaggio innovativo dal punto di vista delle ecotecnologie. È un progetto che finalmente ha preso forma: è iniziata, infatti, la costruzione e la vendita dei primi 30 appartamenti e sono già 10 le famiglie che hanno acquistato. Ci sono poi i cosiddetti “autocostruttori”, che hanno la possibilità di comprare il terreno a prezzo agricolo, di vederlo poi trasformato in edificabile dal Comune e di farsi aiutare nella costruzione della casa, scegliendo come edificarla: una villetta singola o plurifamiliare, in legno, paglia, pietra, una yurta, un bungalow o il semplice spazio per una roulotte.

Lo slogan che accompagna il progetto recita: “Venite ad abitare nel futuro”. E sembra incredibile che in una valle in mezzo al verde, lontana dal rumore e dal traffico, si possa godere della connessine ad alta velocità e abitare in una casa con una serra bioclimatica per intercettare e intrappolare all’interno i raggi solari e trasportare l’energia nel resto della casa.

Il modello per le costruzioni è la casa di Dario e Franca – ovviamente si tratta di Dario Fo e Franca Rame, ma ad Alcatraz non c’è spazio per i fronzoli e tutti sembrano considerarsi “di famiglia” -, che dispone di pannelli solari, riscaldamento a pavimento, gomme tagliamuro per evitare le vibrazioni, isolanti in fibra di legno, vetri tripli.

Nelle contrade interessate dal progetto i gruppi di case sono sufficientemente distanziati (da 400 metri fino a 1 km) perché l’impatto sul territorio sia minimo. Ciascuna casa ha un pezzo di giardino, un orto, un oliveto, un frutteto e un bosco di almeno 2000 mq.

Non è una comune, benché la struttura sia stata concepita come esperienza collettiva, secondo i principi del cohousing: ci sono, infatti, in condivisione una lavanderia, una sala feste, una piscina e tutti gli abitanti possono disporre dell’impianto solare e fotovoltaico, di quello idrico e di irrigazione degli orti. È un sistema che permette di risparmiare denaro e di promuovere una migliore relazione tra vicini.

Non c’è nulla di ideologico alla base della scelta di abitare nell’ecovillaggio, non si è parte di una setta, né si è costretti a venerare un guru comune. Certamente, però, si condivide una filosofia dell’abitare e si ha un’attenzione comune per il benessere psicofisico, l’agricoltura biologica, le energie alternative, la progettazione ecologica, la produzione culturale, le nuove tecnologie e uno stile di vita improntato ai principi della solidarietà e del mutuo rispetto.

Oltre che a essere un efficace tentativo di ripopolamento della valle, l’Ecovillaggio solare rappresenta un esperimento pilota che potrà essere preso a modello altrove per la reinterpretazione e la riconversione di aree industriali dismesse, palazzine, interi quartieri.

Per saperne di più www.ecovillaggiosolare.it

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