Le acque minerali

Se si sceglie di consumare delle acque minerali occorre sapere che non sono tutte uguali, anzi le differenze tra l’una e l’altra possono essere sensibilmente marcate. Occorre dare uno sguardo attento alle etichette, non solo per capire se l’acqua è frizzante grazie all’aggiunta di anidride carbonica, ma anche da dove viene, quanti km ha percorso e quali dei 48 parametri di analisi di legge sono riportati in etichetta. Il valore del residuo fisso a 180° indica la quantità di sali minerali disciolti, sotto i 50 mg/L l’acqua è minimamente mineralizzata ed è indicata nell’alimentazione dei neonati, per gli ipertesi, per chi soffre di calcoli e favorisce la diuresi. Tra i 500 e i 1000 mg/L l’acqua è mediominerale e può essere utile agli sportivi che devono reintegrare sali minerali dopo attività fisica. Il sodio dovrebbe essere sotto i 20 mg/L per combattere l’ipertensione e la ritenzione idrica. I nitrati sono un parametro da tenere d’occhio, dovrebbero essere inferiori a 10 mg/L per l’alimentazione dei neonati e inferiori ai 45 mg/L per il consumo degli adulti. Le acque con calcio superiore a 150 mg/L (calciche) sono indicate in gravidanza e per chi soffre di osteoporosi, con ferro bivalente superiore a 1 mg/L (ferruginose) sono indicate per gli anemici, i lattanti e gli sportivi, con cloruro superiore ai 200 mg/L (clorurata) può avere effetti lassativi, con fluoro superiore a 1mg/L (fluorata) rinforza i denti, ma deve essere consumata con moderazione. In generale, l’acqua che beviamo deve rientrare nei parametri di legge, deve essere controllata, trasparente, microbiologicamente pura e consumata nelle giuste quantità. Il nostro consiglio? Rimane sempre lo stesso: usate quella del rubinetto!

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C’ è ancora una strada

Cominciamo con una buona notizia, una di quelle che portano a pensare che il diritto, la giustizia e il rispetto dell’ambiente non siano concetti astratti relegati nei digesti e nelle pandette. La Corte d’Appello del Botswana ha annullato la sentenza che negava ai Boscimani del Kalahari
l’accesso all’acqua nelle loro terre ancestrali. Sostenuti dall’appoggio di Survival International, in prima fila per la difesa della dignità e dei diritti di chi sembra non averne più, i Boscimani avevano fatto ricorso in appello contro  una sentenza della Corte Suprema del 2010 che impediva loro di accedere a un pozzo da cui dipendevano per procurarsi l’acqua. La giuria, composta di cinque giudici, ha sentenziato che: 

– I Boscimani hanno il diritto di attingere acqua dal loro vecchio pozzo, che il governo proibisce loro di utilizzare;
– I Boscimani hanno il diritto di scavare nuovi pozzi;
– Il comportamento tenuto dal governo verso i Boscimani è un “trattamento umiliante”;
– Il governo deve pagare i costi sostenuti dai Boscimani per ricorrere in appello.

Dopo questa premessa, passiamo ad altri problemi. All’inizio di marzo due giorni di pioggia hanno devastato le Marche lasciando lutti e distruzioni. Ma il clima, sconquassato, non fa che il proprio dovere, al contrario dell’uomo che non ha ancora compreso come aria, acqua,
terra, energia, e conoscenza siano risorse speciali, beni primari da cui tutto dipende e la cui fruizione richiede quindi attenzioni particolari e la cui gestione non può essere fatta applicando logiche di mercato. Nel settore acqua giungono le conclusioni del dossier Liberate i fiumi, presentato dal WWF con l’intenzione di sensibilizzare alla tutela, alla rinaturazione e alla valorizzazione dei nostri corsi d’acqua. Innumerevoli i mali causati dall’interferenza umana individuati: dalla canalizzazione e infrastrutturazione della rete idrografica, al consumo e all’impermeabilizzazione dei suoli, dalla distruzione della vegetazione naturale ai progetti di navigazione come ultima scusa per cavare sabbia e ghiaia dal letto dei fiumi, che poi vengono riempiti con discariche, fino all’impatto ambientale di agricoltura e florovivaistica.
Eppure qualche fiume in buono stato, tanto da aiutarci a capire che cosa potrebbe essere un corso d’acqua, c’è ancora e i sistemi per provare a invertire queste tendenze ci sarebbero. Ma, evidentemente, i principi del laissez faire sono duri a morire. Se i fiumi piangono, i mari non ridono. In Sardegna, una condotta di una centrale di Fiume Santo ha perduto migliaia di litri di olio combustibile, che si sono riversati in mare interessando un tratto di costa di una quindicina di chilometri. Nulla di paragonabile a quanto successo nel Golfo del Messico e forse per questo la notizia è passata quasi sotto silenzio in tutta la penisola. Ormai le catastrofi devono essere gravi e mortali perché conquistino il diritto di cronaca, preceduti da stragi, omicidi, malaffare politico e altri argomenti simili. Ci rimane l’aria, ma anche qui non va bene, lasciatevelo dire da uno che sfida incoscientemente tutti i giorni polveri sottili e PM 10. A Milano la situazione non è rosea, anzi, è nera direbbero i nostri polmoni e intanto i portafogli diventano verdi per una primavera anticipata dovuta a una multa che ci costerà, dicono, per la violazione della direttiva comunitarie, attorno ai 700 milioni di euro l’anno. Soldi che pagheranno anche gli abitanti dei più ameni e salubri paesini d’Italia.  E il clima? Il grande climatologo James Hansen, uno dei maggiori a livello internazionale, professore del Department of Earth and Environmental Sciences alla Columbia University e direttore del prestigioso Goddard Institute for Space Studies della Nasa, ha scritto Tempeste, un libro sul clima che stiamo per lasciare in eredità ai nostri figli – e forse anche a qualche generazione più in là. In queste pagine l’autore afferma: «credo che il maggiore ostacolo alla soluzione del problema del riscaldamento globale sia il ruolo del denaro nella politica, l’interferenza indebita degli interessi privati. Potreste dire :”Ma è impossibile fermare la loro influenza”. Sarebbe meglio non fosse così, ma le persone, e in particolare i giovani, dovranno essere coinvolti in modo più significativo perché gran parte diqu ello che i politici stanno facendo sul fronte dei cambiamenti climatici è puro greenwashing – e anche se le loro proposte sembrano buone, stanno ingannando voi e se stessi. I politici pensano che se un problema appare di difficile soluzione, il compromesso sia un buon approccio.
Sfortunatamente, la natura e le leggi della fisica non scendono a compromessi – sono quello che sono…». E, forse, è per questo – aggiungerei – che a detta di alcuni la cultura, quella cosa che non dà da mangiare, va ridimensionata o combattuta. Se non conosci, infatti, puoi credere a tutto quello che ti dicono. 
Insomma, a primavera sicuramente rivedremo rose e fiori, ma non so quanto dovremo gioirne. Però, a giudicare da come vanno le cose, l’ambiente non ha perso tutte le occasioni di far parlare e discutere su organi di stampa, televisioni e mass media. C’è ancora una strada a cui forse non avevamo ancora pensato e che non deve essere sottovalutata: facciamo sapere a tutti, gridiamolo nelle piazze che anche l’ambiente sta andando a puttane (e senza nessun impedimento).

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Idrosolidarietà

Conseguenze del cambiamento climatico sono da un lato la diminuzione delle precipitazioni nevose e dall’altro l’aumento delle piogge:
quello che ne deriva è una crescente incapacità da parte delle montagne di accumulare acqua, che a sua volta si manifesta con un aumento delle portate dei fiumi di inverno e una loro drastica riduzione in estate. Tutto ciò, oltre a conseguenze gravi sulla salute degli ecosistemi montani, comporta anche effetti economici e politici significativi. Secondo recenti studi di settore entro 40-50 anni, se non si interverrà con politiche adeguate, la produzione di energia idroelettrica diminuirà di oltre il 15% rispetto a quella attuale. Nel tentativo di mitigare questi effetti, numerosi sono gli istituti di ricerca, le università e gli enti pubblici che negli ultimi tempi hanno indirizzato la loro attenzione verso questa problematica. In particolare, un’iniziativa interessante è quella proposta nella dichiarazione di Megevè attraverso l’introduzione del concetto di “Idrosolidarietà”. Come dice il termine stesso, si tratta di una forma di sostentamento economico che le aree di
pianura sono invitate a fornire alle regioni di montagna per affrontare la sfida della gestione sostenibile delle risorse idriche. In sostanza, i cittadini e le amministrazioni pubbliche della pianura possono contribuire con una tassa per far sì che le Alpi, il serbatoio idrico d’Europa, migliorino con il tempo il loro stato di salute.

Per approfondimenti:
http://eauenmontagne.org
http://www.lemonde.fr/planete/article/2010/09/25

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L’ impronta idrica di produzione

L’impronta idrica di produzione è un indicatore relativo all’utilizzo delle risorse idriche nelle diverse nazioni e fornisce informazioni circa la domanda di acqua per lo svolgimento delle attività in un certo territorio. Quello che emerge dal calcolo dell’impronta idrica per tutti gli Stati con una popolazione maggiore di un milione di abitanti è che le diverse nazioni consumano volumi d’acqua estremamente differenti, con un conseguente stress idrico variabile da caso a caso. Attualmente, ben 45 Paesi sono caratterizzati da un livello di stress idrico tra il moderato e il grave. In questa categoria trovano collocazione i maggiori produttori di merci agricole: India, Cina, Marocco. Preoccupa il fatto che, senza l’introduzione di politiche adeguate di gestione delle risorse idriche, questo problema tenderà a crescere sempre più, in modo proporzionale rispetto all’aumento della popolazione e allo sviluppo economico. Secondo l’Unesco, nel 1995 erano circa 1,8 miliardi le persone che vivevano in zone sottoposte a grave stress idrico, mentre ci si attende che nel 2025 oltre due terzi della popolazione mondiale risiederà in territori caratterizzati da stress idrico tra il moderato e il grave. Da qui la necessità di intervenire, sia con politiche globali, sia
con la modifica delle abitudini del singolo cittadino. Se partiamo dal dato tale per cui una tazzina di caffè da asporto con latte presenta un’impronta idrica di 200 litri, emerge da subito come i nostri gesti quotidiani possano condizionare i grandi risultati.

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L’ acqua è sportiva?

Il tema che i curatori di queste pagine mi hanno suggerito per quest’anno è affascinante e mi riporta ai tempi in cui gareggiavo sulle piste di atletica, niente di particolare, anche se i ricordi sono belli e qualche medaglia me la sono portata a casa, soprattutto nei certami agonistici studenteschi. Ma non parlerò certo di quello che fu. Di quel periodo, però, mi sono rimasti i valori insiti nello sport: che si vince senza trucchi e che vince il più bravo. Per rompere il ghiaccio mi sono posto un obiettivo piuttosto ambizioso, provare a rispondere a una domanda sicuramente insolita: ma l’acqua è sportiva? Di sicuro lo è come elemento chiave di tutti gli sport, agonistici e non, che si possono definire acquatici, dal nuoto ai tuffi, dalla vela al canottaggio, per arrivare, se volete, alla pesca sportiva. Quanto alla domanda sopra, proverò a dare una risposta che vada oltre il semplice sì.
Per farlo dovrò scomodare il famoso barone Pierre de Frédy di Coubertin, conosciuto per essere il fondatore dei moderni giochi olimpici. A lui si deve il motto olimpico “Citius, Altius, Fortius!”, un’espressione in latino che significa “Più veloce, più in alto, più forte!”. Sì, bene, citazione interessante.

Ma l’acqua? Eccola! Rileggiamo il motto sopra citato. Non vi pare che si possa adattare anche all’acqua? L’acqua si muove e per definizione quando incontra la superficie terrestre cerca di raggiungere il piano (il vasto mondo degli oceani) seguendo le linee di massima pendenza, il che la porta a scorrere il più veloce possibile. Ovviamente, come nello sport ci sono acque più veloci e altre più lente, ma la competizione come la intendiamo noi all’acqua non importa. Il suo dovere è correre, chiudere il ciclo e questo fa. Più in alto? Di nuovo dobbiamo rifarci al ciclo dell’acqua che deve salire in alto, molto in alto, per passare dallo stato aeriforme o gassoso di vapor d’acqua a quello liquido.
Evaporando, infatti, l’acqua sale, sempre più in alto, nell’atmosfera per svariati chilometri, per poi ricadere sulla Terra sotto forma di pioggia o neve.
Dopo il “sempre più in alto”, l’acqua deve cimentarsi in prove di forza. E in questo compito probabilmente non ha rivali. La sua forza è colossale e l’uomo, che la subisce o la sfrutta, lo ha imparato a sue spese. Non sempre però ce lo ricordiamo o meglio, dato l’argomento che stiamo trattando, spesso abbiamo sottovalutato il nostro avversario con le ovvie conseguenze che questo modo di agire di solito comporta.
Forse se trattassimo l’acqua in maniera più sportiva, rispettandola cavallerescamente come si deve fare con gli avversari, finiremmo per guadagnarci. Ma in fondo, poi, perché considerarla un avversario? Pensiamola piuttosto come a un amico da sfidare lealmente in qualche competizione, magari convinciamola ad allearsi con noi, ad aiutarci come ha sempre fatto. Ne guadagneremo tutti.

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Il sale

Il cloruro di sodio, comunemente identificato con il sale, è per la maggior parte concentrato nei mari. Dall’evaporazione delle acque salate, durante le varie ere geologiche, si sono formati depositi di salgemma che variano da pochi centimetri a centinaia di metri.Disponibile e facile da lavorare ha un costo di produzione che si aggira sui 50 euro la tonnellata. Utilizzato in molti processi industriali, fa parte della nostra quotidianità ed è tra gli elementi integranti della nostra dieta. 
Usato nelle cucine di tutto il mondo come condimento per i cibi, svolge un ruolo fondamentale nei processi di conservazione. La sua capacità di attrarre acqua lo rende un conservante naturale eccezionale.
Il plasma sanguigno contiene lo 0,9% di cloruro di sodio, così come la “soluzione fisiologica” utilizzata in medicina. E se è vero che non possiamo vivere senza sale, va assunto con moderazione. Al giorno d’oggi dobbiamo tenere presente che alla maggior parte dei cibi lavorati ne viene aggiunta una quantità variabile, ed è facile abusarne senza rendersene conto.Una dose superiore ai 5 grammi al giorno può essere dannosa per il nostro fisico. Un’assunzione eccessiva di cloruro di sodio porta a un 
aumento della pressione sanguigna e a ritenzione idrica con possibili gravi conseguenze come ictus o problemi cardiaci. 
Quindi sale sì, ma solo un pizzico.
 

L’impronta idrica

L’acqua è una risorsa fondamentale per la vita, sia della natura che degli esseri umani. Ma la comunità scientifica ha un’idea esatta di quanta ne venga utilizzata ogni giorno in giro per il mondo? Alla domanda ha tentato di dare una risposta il professor Arjen Y. Hoekstra che, a questo scopo, ha messo a punto nel 2002 il concetto di “impronta idrica”. Si tratta di un indicatore che mira a quantificare il volume totale di acqua dolce utilizzata per produrre i beni e i servizi consumati da un determinato individuo, comunità o impresa. Il principio su cui si fonda è il fatto che gli impatti attualmente generati sulle risorse di acqua dolce presenti sul pianeta siano riconducibili principalmente al consumo umano. Le attuali problematiche di scarsità e di inquinamento delle risorse idriche possono essere quindi meglio comprese e affrontate considerando il processo produttivo di un bene nel suo complesso, andando a quantificare il reale consumo di acqua legato a ogni fase della filiera produttiva. Alcuni esempi? Secondo l’approccio dell’impronta idrica, la produzione di un chilogrammo di carne di manzo richiede 16.000 litri di acqua, quella di una tazza di caffè 140. Scopo di questa rubrica non è affrontare dal punto di vista scientifico il concetto di impronta idrica, ma partire dalla sua definizione per individuare spunti di riflessione. Quali comportamenti possiamo adottare ogni giorno per ridurre la nostra impronta? Quali azioni virtuose vengono intraprese nel mondo per migliorare la gestione delle risorse idriche? Quali sono, invece, gli esempi da condannare? Ne discuteremo sui prossimi numeri de il Pianeta azzurro, in uno spazio che vuole essere un momento di incontro e di riflessione sull’importanza dell’acqua dolce e salata, sulle sue modalità di utilizzo e gestione.

www.waterfootprint.org

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During my lifetime I have dedicated myself to this struggle of the African people…

“During my lifetime I have dedicated myself to this struggle of the African people. I have fought against white domination, and I have fought against black domination. I have cherished the ideal of a democratic and free society in which all persons live together in harmony and with equal opportunities. It is an ideal which I hope to live for and to achieve. But if needs be, it is an ideal for which I am prepared to die”.

― Nelson Mandela

Noi pozziamo…e tu?

Come ogni anno anche quest’anno  Pianeta azzurro ha l’onore e il piacere di collaborare con 12 Scatti Onlus al progetto “12 scatti per l’Africa”. Lo fa attraverso la vedita del calendario BELOW, ormai arrivato alla sua IX edizione. Come scrive lo stesso Stefano Calcabrini,fondatore di 12 Scatti onlus, ” Below non è un semplice calendario, è una raccolta di “emozioni”, che in qualche modo, hanno molto in comune tra loro: la passione per l’acqua”. Il calendario, infatti, ogni anno racconta attraverso 12 immagini straordinare la vita sommersa…con i proventi delle vendite dei calendari nel corso degli anni sono stati realizzati 60 pozzi, la maggior parte dei quali in Burkina Faso, una delle zone più aride dell’Africa. Dal 2006 (anno di nascita del progetto) ad oggi attraverso la rete di Pianeta azzurro sono stati venduti oltre 200 calendari! Questo significa che gli amici di Pianeta azzurro hanno contribuito a costruire circa un quarto di pozzo e questo significa che 25 persone (compresi i bambini) avranno acqua per 10 anni!Insomma, come recita lo slogan di 12 Scatti Onlus:
 Dimostrare che basta poco per fare molto…. NOI POZZIamo! … E TU? 
 
Se avete ancora qualche dubbio trovate QUI maggiori informazioni, la mappa dei pozzi realizzati e tutto quanto riguarda “12 scatti per l’Africa”.
 
Se invece volete scoprire il calendario 2014 cliccate QUI
Per acquistare uno dei calendari visita il sito www.12scatti.org o scrivici a scoccia@schole.it. Invieremo la vostra richiesta ad uno dei collaboratori di zona. Il contributo minimo per ogni calendario è di 10,00 euro. 

L’ Orto di Nemo (di Emilio Mancuso)

Ed ecco che il buon agricoltore si sveglia al mattino pronto per andare a seminar basilico, d’altra parte se si vuole puntare su una delle tante bandiere che rendono famosa la Liguria nel mondo, cosa potrebbe seminare se non basilico?
C’è qualcosa di strano però, gli stivaloni sono sostituiti da pinne…al posto del cappello di paglia c’è una bella maschera…e il fumo di una pipa si trasforma nelle bolle d’aria respirata da una bombola. O l’agricoltore è parecchio distratto, oppure questa estate ha deciso di coltivare in posto un po’ inusuale! Si potrebbe sintetizzare così il progetto nato dalla fantasia e dalle competenze di Sergio Gamberini, amministratore della OCEAN REEF, ligure d.o.c. profondamente innamorato del suo mare così come della sua terra.

Il progetto battezzato “l’Orto di Nemo”ha portato infatti alla costruzione di un piccolo orto subacqueo
a circa otto – dieci metri di profondità davanti alle coste di Noli, a non più di un centinaio di metri dalla linea di costa.

Due biosfere, due piccole serre subacquee ancorate sul fondale sabbioso del ponente ligure sono state il campo di prova di questo progetto sperimentale sviluppatosi con grande successo durante tutta l’estate. I molti dettagli attentamente curati si sono rivelati vincenti, aprendo le porte a nuove e affascinanti possibilità. A partire dagli ancoraggi al fondo, che sono simili a delle grosse viti avviate nella sabbia fin sotto il primo strato molto mobile, questo ha evitato quindi di introdurre in ambiente materiale estraneo e potenzialmente disperdibile come blocchi di calcestruzzo, riducendo così anche l’impatto ambientale della struttura, che ne suo complesso era comunque di dimensioni ridotte, completamente amovibile e sprovvista di vernici o coperture capaci di contaminare le acque circostanti.
Le due biosfere in materiale vinilico trasparente, di circa 800litri di volume, con la loro struttura flessibile attenuavano il loro Image00001opporsi ai movimenti del mare con piccole fluttuazioni, erano munite di piani d’appoggio che han sostenuto tutti gli attrezzi dei moderni “contadini subacquei” e i contenitori del terreno, contenitori a tenuta stagna che sono stati aperti direttamente dentro le biosfere, per evitare contaminazione con acqua salata durante il loro trasporto. Una base basculante permetteva al subacqueo agricolo di mettersi in piedi per svolgere i vari lavori all’interno della biosfera, e una valvola di sovra-pressione permetteva lo sfogo dell’aria che si trovava in eccesso quando, lavorando, si respirava nella biosfera. Un volta allestite le biosfere e seminati i terreni (con semi provenienti da uno storico produttore di Noli) madre natura ha seguito il suo corsi in tempi anche rapidi. L’aria atmosferica intrappolata al momento dell’immersione della biosfera si è arricchita di vapore grazie alla trasparenza della biosfera, che alla profondità di posa era bene illuminata e quindi ha innescato un “ciclo dell’acqua” in miniatura: il sole ha scaldato la superficie dell’acqua che lambisce il fondo della biosfera, questo ha portato a fare evaporare l’acqua (e anche se si tratta di acqua di mare, ricordiamoci che evapora sempre e solo acqua dolce), l’acqua evaporata si è accumulata nell’aria della biosfera condensando sul terreno e tenendolo così sempre umido.
In soli tre giorni i primi germogli di basilico si sono manifestati, e la reazione di fotosintesi clorofilliana portata avanti da queste piante ha contribuito a regolare l’atmosfera all’interno della biosfera, assorbendo anidride carbonica e rilasciando ossigeno mentre i piccoli germogli andavano crescendo. 
Una delle due biosfera purtroppo è stata irrimediabilmente danneggiata da una mareggiata, ma anche questo piccolo disastro si è rivelato utilissimo ai fini di un corretto e completo monitoraggio del progetto: le grosse viti di ancoraggio non han recato danni al fondale, la struttura flessibile della biosfera le ha permesso non rompersi ma bensì di oscillare fino al punto di allagarsi…e dopo la mareggiata il tutto si è concluso con il recupero completo dei materiali, scongiurando così il rischio che diventassero spazzatura del mare. Nella biosfera che invece ha retto alla mareggiata i numeri sono fondamentalmente questi:

  • 62 giorni di operatività subacquea
  • 48 ore è il tempo passato dalla semina alla germinazione delle prime piantine
  • 52 i giorni passati dalla semina al primo raccolto
  • 85% è stato il tasso medio di umidità nelle biosfere, che quindi erano pressoché sature di umidità 20% è stato il tasso di illuminazione (rispetto all’illuminazione atmosferica) medio rilevato all’interno delle bio-sfere
  • 12  le persone coinvolte nel progetto.

Il raccolto è stato oggetto di analisi e confronti con delle semine fatte contestualmente a terra, e i primi dati ottenuti sono interessanti, attualmente “riservati” e ancora in fase di attenta valutazione, ma le prime anticipazioni donatemi da Sergio parlano di:

  • Risultati analitici che hanno messo in evidenza la generale freschezza e corposità aromatica presenti nell’olio essenziale e nello “spazio di testa”;
  • Il contenuto in Alfa bergamottene risulta essere in media con i valori tipici del basilico ligure.
  • Il Metil‐4‐Metoxy‐Cinnammato è presente in quantità significativamente elevate rispetto ai testimoni delle prove che rispetto ai valori medi del basilico coltivato nel bacino del Mediterraneo.

Sembra quindi che la curiosità sia giustificatissima e l’interesse scientifico ad approfondire questo tipo di coltivazione possa essere legittimo.

Image00007La stabilità termica all’interno della serra, l’impossibilità per parassiti terricoli di arrivare a colpire queste colture, il vantaggio di poter “espatriare” l’agricoltura oltre le frontiere delle terre emerse… questi ed altri sono i dati, i pensieri e le sfide che hanno stuzzicato l’immaginazione di Sergio e del suo team che ha seguito il progetto; progetto che sicuramente è destinato a futuri approfondimenti.
Oltre alla sperimentazione pura che deve esser sempre intrapresa con tanta spinta per il futuro e una sana dose di ottimismo; bisogna anche considerare che tra gli ipotetici sviluppi applicativi il più importante potrebbe essere la realizzazione di coltura subacquee più estese, soprattutto laddove l’acqua dolce scarseggia e al contrario vi è grande presenza di acqua di mare che è inutilizzabile (se non a mezzo di costosi processi di desalinizzazione, spesso irrealizzabili in quelle stesse aree geografiche) per l’agricoltura terricola. In ultimo, l’implementazione di coltivazioni di tipo idroponico potrebbero far ulteriormente evolvere il progetto riducendo il quantitativo di terriccio necessario, materiale estraneo all’ambienta acquatico, e di conseguenza possibili inquinanti/contaminanti presenti nel terriccio.
Interessante nota di stampo tecnologico, l’intero campo di sperimentazione subacquea è stato costantemente monitorato da un innovativo sistema di videocomunicazione subacquea che permetteva al team di avere controllo video costante, e che grazie a un sistema di comunicazione “wi fi” ad ultrasuoni permetteva ai coltivatori subacquei, muniti di maschere subacquee “granfacciali” con microfoni e auricolari, di comunicare tra di loro e di comunicare con la superficie, eliminando così i limiti della classica comunicazione non-verbale subacquea.
Questa prima fase sperimentale si è conclusa a fine settembre, i primi dati si possono ritenere soddisfacenti su diversi campi di studio, ora non resta che riallestire l’Orto di Nemo la prossima estate per vedere su quali peculiarità liguri potremo puntare e come poter implementare le strutture restando saldi ai principi di eco-compatibilità e minimo impatto ambientale della struttura; stando certi che all’acqua per annaffiare ci penserà il nostro amato Mare!

guarda le immagini dell’Orto di Nemo
guarda il video

Testi di Emilio Mancuso
si ringrazia Sergio Gamberini e la Mestel srl – Ocean Reef Group per i dati e le fotografie forniti

Profilo autore: Emilio Mancuso, Socio dell’Istituto per gli Studi sul Mare e della ONLUS Verdeacqua, istruttore subacuqueo, appassionato di fotografia, viaggi e contaminazione con il mondo!
Consulente AiGae per il settore mare, da sempre con l’obiettivo di condividere conoscenza, consapevolezza e passione per il mare.

www.verdeacqua.org

 

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