Enzo Tiezzi, scienza e bellezza

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In ricordo di Enzo Tiezzi pubblichiamo l’intervista, a cura di Mario Salomone, comparsa sul n°71 di .eco (settembre-ottobre 1999), Una scienza con dentro i valori.

Usare insieme la ragione e i cinque sensi, unire scienza e bellezza: questa la vera conoscenza, che difende dal “pensiero unico consumista” e cerca la biodiversità. A colloquio con Enzo Tiezzi su complessità e sviluppo sostenibile, ma anche su riforma della scuola e programmi.

Sarà la festa di forme e colori che in queste terre celebra uno dei migliori intrecci tra natura e cultura, saranno i profumi del giardino affacciato sulle mura di Siena, ma discutendo di processi cognitivi a casa Tiezzi con il noto scienziato e ambientalista (dopo averne ricevuto gli auguri, per il decimo anno di pubblicazioni che la nostra rivista – “Una presenza importante!” – sta attraversando) non si può non convenire sull’importanza di un approccio estetico alla conoscenza.
«Siamo figli della stessa coevoluzione della natura e dobbiamo quindi usare nel conoscere tutti i nostri strumenti, non solo la ragione, ma anche i cinque sensi. Solo così l’essere umano è completo», ci dice. «La conoscenza scientifica non può essere “fredda”: occorre un uso combinato di ragione e passione, di intuito e di emozione, di logica e di sentire». Una scienza che non ne tenesse conto sarebbe (ma potremmo forse togliere il condizionale) rozza, tecnocratica. Del resto, in posizioni meccanicistiche e non sistemiche e in una sottovalutazione estetica sta, come sappiamo, la causa dei danni prodotti dall’umanità al pianeta. «Il pensiero positivista, la meccanica quantistica, la relatività di Einstein, la stessa scienza “galileiana” si sono completamente dimenticate dell’estetico come categoria scientifica».

 

Qualità e biodiversità
«Dove per estetico intendo un sinonimo, ad un tempo, di “bello” e di “vario”. L’ingresso dell’estetica nella scienza ci fa superare una logica puramente quantitativa, ci introduce alle categorie di “qualità” e di “biodiversità”, che sono fondamentali in ecologia».
Se guardiamo all’evoluzione, ribadisce Tiezzi, vediamo che le forme e i colori hanno sempre avuto un ruolo centrale e la scienza non può non occuparsene. Canti, livree, danze, profumi: gli esempi del ruolo giocato dall’elemento estetico, dalla bellezza, nella selezione biologica sono innumerevoli.
Dunque, chiediamo ad Enzo Tiezzi, la bellezza ha anche a che fare con la sostenibilità, che è uno dei concetti che tu hai contribuito a definire?
«Certo. Lo scopo della conoscenza è vivere in armonia con la natura, non di dominarla. La nuova fisica evolutiva prende atto dell’instabilità e del caos, dell’incertezza e dell’irreversibilità. C’è chi tira il concetto di “sostenibilità” da tutte le parti, ma il nocciolo è uno soltanto: non può esserci crescita infinita in un pianeta finito, c’è una “capacità di carico” che non può essere superata. Dobbiamo comportarci secondo un principio di solidarietà generazionale, pensare alle generazioni future, un po’ come il contadino di una volta, che piantava un albero la cui ombra sarebbe stata goduta solo dai nipoti. Io sono nonno di tre nipotini e vorrei che avessero delle chances di sopravvivenza».

Valori non utilitaristici
E la scuola cosa può fare? Cosa proponi per l’educazione ambientale?
«Assecondare questo cambiamento di paradigma, che è di ecologia della mente e di ecologia scientifica. La scuola può essere il “tempio” in cui portare valori non utilitaristici, di chiunque essi siano, un padrone o un sindacato. Un po’ come l’Archimede di cui ci parla Plutarco nelle Vite parallele, che “ritenendo che l’interessamento per la tecnologia e per ogni parte che tiene conto delle necessità pratiche è ignobile e servile, riservava il suo impegno a quelle solo discipline delle quali la superiorità e la bellezza non si mescolano con la necessità quotidiana». Ci vuole una scienza «con dentro i valori e la scuola può essere la sede di formazione giusta ad uno sviluppo sostenibile che non sia dunque crescita, ma qualità, bellezza, valori etici ed estetici».
In effetti, si diffondono i richiami alla decompartimentazione dei saperi, si studia l’intelligenza emotiva…
«Sì, mi sembra che la strada sia quella, di una conoscenza che arrivi anche al cuore, oltre che al cervello. La bellezza deve avere posto nella scuola. Prendiamo l’arte, che oggi può essere alleata del pensiero scientifico della complessità, perché gli artisti, forse più degli scienziati, sentono che la natura è aggredita. O la religione e il mito, accantonati dal nostro secolo, così totalitario e disperato, come residui, espressioni del lato pulsionale, emotivo, primitivo dell’umanità. La natura è un’opera d’arte e va conosciuta tutta intera, con un uso continuo e abbinato di sensi e ragione».

Diversità di indirizzi
Quali sono le cose che non condividi tra le varie tendenze in atto nella scuola?
«Ce ne sono due, una l’ho già detta ed è l’idea di scuola utilitaristica. La seconda è il preside manager, è una prospettiva vergognosa. Ce ne sarebbe poi una terza, ma una parte dei vostri lettori forse non la condividerebbe…».
Dicci pure.
«Non mi piace il modello americano, banalizzante e omologante. Credo che anche nella scuola ci debba essere una “biodiversità culturale” e che quindi debbano esistere tanti indirizzi diversi e percorsi con pari dignità, compresi quelli dei lavori artigiani e manuali. Da mesi ricevo artigiani senesi disperati, argentieri, ebanisti, dalle tradizioni secolari e di valore mondiale, con botteghe che funzionano secondo i ritmi della natura, chiuse d’inverno, aperte dodici ore d’estate. L’elevamento dell’obbligo rischia di fare scomparire i ragazzi che imparano alla meravigliosa scuola della bottega. Una certa manualità si apprende solo tra i dodici e i sedici anni, poi è troppo tardi… In Italia, specie in Umbria, in Toscana, nelle Marche, nell’alto Lazio, c’è una realtà unica in Europa che con norme troppo rigide rischia l’estinzione».

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