Donne in prima linea

10 Camille Lepage Sudan 2
A Palazzo Madama di Torino (fino al 16 gennaio 2017) reportage fotografici e video-interviste sui paesi in guerra. Foto e reportage opera di donne in prima linea
Tiziana C. Carena

 

Le immagini sono molto dure e le evochiamo attraverso alcuni esempi: una coppia che cammina sulle ceneri della propria abitazione (Sudan 2012-2013, foto di Camille Lepage, Francia), bambini in strada ad Aleppo allarmati dall’avvicinarsi di aerei (Siria 2013-2015, foto di Shelly Kittieson), richiedenti asilo in un campo profughi in Atene (Grecia 2016, fotografia di Jodi Hilton), due bambine in un campo profughi al confine turco-siriano ove 200.000 persone, fuggite da Daeth hanno trovato un rifugio (fotografia di Laurence Geal), quartiere Shijayeh della striscia di Gaza, distrutto dagli attacchi israeliani (foto di Maysun, una documentarista di origine ispano-palestinese). Kurdistan iraniano-iracheno; Siria, Egitto, Palestina, Ucraina, Repubblica Centro-africana, Turchia, Libano, Iraq del Nord, dal 2012 ad oggi luoghi di paura.

La foto restituisce l’immediatezza della distruzione, del dolore successivo alla distruzione, la realtà della guerra, di quella prassi umana che è rivolta a “mettere il nemico in condizione di doversi arrendere”, come scriveva nella prima metà del XIX secolo Carl von Clausewitz. Rispetto a questo obiettivo, non c’è diritto, senso di umanità che possa resistere e lo stesso intervento dei medici per curare i feriti deve avvenire in condizioni proibitive, come mostra la foto di un combattente filo-russo ferito in Ucraina, nel 2014. La guerra è la rottura di ogni legalità, l’interruzione delle relazioni diplomatiche tra i paesi in lotta o la loro traduzione nella “voce delle armi”, l’apertura di un hobbesiano “stato di natura”. Le organizzazioni umanitarie costituiscono una quasi irreale dimensione in cui il conflitto tace e le vite, anziché essere estinte, vengono salvate, in una logica antitetica a quella della guerra.  
08  MONIQUE Jaques DRCongo 2Monique Jaques (USA) – Repubblica Democratica del Congo, 2014
Virunga è il più antico parco nazionale dell’Africa e ospita oltre 200 degli 800 gorilla di montagna rimanenti al mondo. Da vent’anni è al centro di una guerra tra milizie armate, che pretendono di sfruttare le risorse naturali del Parco, e i Rangers che difendono con coraggio il territorio. Oggi 14 donne lavorano come ranger, addestrate militarmente allo stesso modo dei colleghi maschi per svolgere un lavoro estremamente pericoloso, che ha già visto la morte di oltre 150 guardaparco. 

Ma quando tacciono le armi, inizia il dramma di chi deve abbandonare la propria terra per dirigersi verso un futuro ignoto, verso la più radicale delle incertezze. Uomini, donne, vecchi, bambini. Iniziano le opere di mediazione, le opere di tutela delle vite che spesso si riducono a offrire asilo, rifugio, l’opera delle organizzazioni internazionali che, insufficiente a prevenire i conflitti, diventa decisiva quando le armi tacciono, magari temporaneamente, per “salvare il salvabile”.

Le foto documentano la sofferenza, la paura, che, certo sono comuni anche ai disastri naturali; ma, a prescindere dalle osservazioni che si potrebbero fare sui disastri climatici prodotti dall’abuso tecnologico umano, le guerre sono più direttamente legate alla volontà delle classi dirigenti dei paesi coinvolti ed è meno facile addurre l’ignoranza o l’inconsapevolezza come cause di tante sofferenze; e quindi appaiono immediatamente cariche di responsabilità, ben più direttamente di quanto non appaiano legati a responsabilità umane i disastri prodotti dalla degradazione dell’ambiente. È indubbiamente difficile, comunque, districarsi dalle pastoie politico economiche che si riflettono nella sofferenza prodotta dalle guerre.

 

SULLE DONNE GIORNALISTE INVIATE DI GUERRA LEGGI ANCHE IL LIBRO DI MARIKA FRONTINO PROFESSIONE: INVIATE DI GUERRA, PUBBLICATO NELLA COLLANA EFFETTO FARFALLA.

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