Abbecedario amazzonico aspettando i mondiali‏: lettera K

Con i mondiali alle porte e la nazionale italiana che si prepara a giocare il suo primo match nella rovente e umida Manaus, sale la curiosità verso questa regione lontana e affascinante che è l’Amazzonia. Sia l’Italia sia l’Inghilterra si stanno preparando atleticamente al momento in cui dovranno giocare alle alte temperature tropicali, ma forse non sanno che ciò che li aspetta e che forse li sorprenderà di più è una cultura creola, con usi e tradizioni, leggende e credenze molto diverse dalle nostre.

Prepariamoci anche noi, prima di questo grande incontro, con qualche pillola sull’Amazzonia: un racconto per ogni lettera dell’alfabeto!

kW- Hidreléttrica

Singolare come il portoghese porti con sé, a differenza della altre lingue neolatine, la crasi e la conseguente caduta della O della parola Hidro che si fonde, così, alla sua compagna.
Nella versione brasiliana questo fenomeno si è declinato nella pronuncia accentuata, quasi raddoppiata, della L di Eléttrica con la lingua che batte, soffermandosi, contro i denti.
Come recita il manifesto del PAC (Plano de Aceleração do Crescimento), programma strategico ideato da Lula durante il suo secondo mandato (2007-2010) e oggi portato avanti dal presidente Dilma Roussef, la priorità attuale del Paese risiede negli investimenti energetici.

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Abbecedario amazzonico aspettando i mondiali‏: lettera J

Con i mondiali alle porte e la nazionale italiana che si prepara a giocare il suo primo match nella rovente e umida Manaus, sale la curiosità verso questa regione lontana e affascinante che è l’Amazzonia. Sia l’Italia sia l’Inghilterra si stanno preparando atleticamente al momento in cui dovranno giocare alle alte temperature tropicali, ma forse non sanno che ciò che li aspetta e che forse li sorprenderà di più è una cultura creola, con usi e tradizioni, leggende e credenze molto diverse dalle nostre.

Prepariamoci anche noi, prima di questo grande incontro, con qualche pillola sull’Amazzonia: un racconto per ogni lettera dell’alfabeto!

Jambu

Ingrediente principale di alcune ricette molto amate dai brasiliani del Nord, le foglie di jambu godono di altri vari soprannomi, tra cui agrião do Brasil, agrião do Pará, jambu-açu, botão de ouro e agrião do Norte.
Scientificamente la pianta è denominata Spilanthes oleracea acmella, vive in ambienti umidi e caldi e si può facilmente incontrare in tutta l’Amazzonia.
Caratterizzate da molteplici qualità terapeutiche, le foglie di jambu, nell’immaginario popolare, curano di tutto, dall’inappetenza, ai problemi di diuresi, all’elevata pressione arteriosa, ai problemi gastro-intestinali, alle rughe precoci. Ma ciò che le rende una vera manna dal cielo e che ne ingentilisce il gusto amaro, obnubilando i sensi dell’assaggiatore, è la tanto decantata virtù afrodisiaca.

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Abbecedario amazzonico aspettando i mondiali‏: lettera i

Con i mondiali alle porte e la nazionale italiana che si prepara a giocare il suo primo match nella rovente e umida Manaus, sale la curiosità verso questa regione lontana e affascinante che è l’Amazzonia. Sia l’Italia sia l’Inghilterra si stanno preparando atleticamente al momento in cui dovranno giocare alle alte temperature tropicali, ma forse non sanno che ciò che li aspetta e che forse li sorprenderà di più è una cultura creola, con usi e tradizioni, leggende e credenze molto diverse dalle nostre.

Prepariamoci anche noi, prima di questo grande incontro, con qualche pillola sull’Amazzonia: un racconto per ogni lettera dell’alfabeto!

Ivo Preto e la tartaruga

Terra di contraddizioni e usi a volte incomprensibili all’occhio occidentale, la nostra amata Amazzonia ci regala per la lettera I un episodio avvenuto nel 2012 che vede protagonisti il segretario dell’Attività mineraria e dell’Ambiente del Parà (cariche sorprendentemente ricoperte dalla medesima persona in questo stato) e una tartaruga in via di estinzione, la  Podocnemis expansa. Il segretario Ivo Lubrina dos Santos, detto Ivo Preto per via della sua carnagione e per alcune attività non del tutto legali in cui era stato coinvolto, venne fermato nel luglio 2012 all’Aeroporto Internacional de Val-e Cans, Belém,  con una notevole quantità di carne della suddetta tartaruga (animale che figura, secondo l’Ibama[1], nella lista delle specie brasiliane in via d’estinzione). Leggi tutto “Abbecedario amazzonico aspettando i mondiali‏: lettera i”

A me (m’) importa

Nevica. Febbraio, come gennaio, qui al Nord è cominciato con la neve. Erano diversi anni che i fiocchi bianchi (un’altra delle meraviglie dell’acqua, l’unico composto – credo – capace di manifestarsi naturalmente nei tre stati della materia) non si vedevano tanto di frequente qui in pianura; e anche in montagna le nevicate di un tempo si erano fatte sempre più rade costringendo gli addetti ai lavori a ricorrere sempre più spesso alla neve artificiale con elevati consumi d’acqua, risorsa preziosa soprattutto in ambiente montano dove è diventata piuttosto rara e ricercata.

La nevicata mi ha anche fatto ripensare a un amico che lavora sull’Appennino e che commercia in stufe. Un paio di anni fa lo avevo trovato molto scoraggiato. Un inverno mite, seguito da una lunga primavera e da un’estate anticipata, aveva decurtato notevolmente il suo volume di affari e diradato i clienti. Per consolarlo gli avevo detto di tenere duro. È vero, gli avevo spiegato, che il cambiamento climatico è una realtà che vede concordi il 90% degli scienziati, ma sui tempi ci sono opinioni diverse. In fondo il ciclo dell’acqua è sempre lo stesso: quella che evapora alla fine deve ricadere e, statisticamente, la neve è destinata a tornare quanto prima. In ogni caso, avevo aggiunto, comincia ad occuparti anche di energia solare, applicando grossolanamente il principio di precauzione o, se preferite, il consiglio evangelico di “farsi trovare preparati”.

La neve, dunque, è tornata, suscitando entusiasmi e mugugni in uguali percentuali. I paesi di montagna e le stazioni sciistiche hanno acceso, credo, ceri di ringraziamento a profusione e visto rifiorire la propria economia il che, in questi tempi di crisi (globale come il cambiamento climatico), deve essere considerato un vero miracolo. Ed è questo che mi ha indotto a parlare di neve e degli amici miei. A ben vedere i problemi affrontati dal mio conoscente dell’Appennino sono la chiara dimostrazione di come le variazioni ambientali possano influire sulla nostra specie in misura molto maggiore di quanto si pensi andando a toccare gli interessi di ciascuno di noi, perfino di chi è convinto che i mutamenti del pianeta siano così grandi da toccare unicamente i massimi sistemi come se questi fossero entità isolate da tutto. Forse essere sfiorati da qualche anomalia del pianeta (se siamo sensibili basta un tocco senza scomodare uragani, inondazioni o siccità che si prolungano per anni) potrebbe aiutarci a modificare le nostre abitudini in meglio. Forse la crisi economica potrebbe avere qualche benefico effetto sul pianeta spingendoci a risparmiare anche sui consumi energetici, a pretendere soluzioni meno inquinanti, più efficienti e a mettere in pratica (siete tutti invitati a farlo, almeno un po’) il motto “I care” (m’importa, ho a cuore) che Don Milani (lui sì che era un grande fratello) aveva scritto sui muri della sua scuola di Barbiana. Insomma un’occasione per dare vita a un’economia più eco-logica. Obama (citarlo è ormai un obbligo per tutti) ha aperto al verde, ha dato un segnale e mai come in questo caso potremmo dire: se sono rose, fioriranno”.      

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Il silenzio del mare

Forse sarà banale, ma qualcuno di voi ha sentito par- lare del mare in questi ultimi tempi? Personalmente no. Ep- pure sono stato attento alla parola mare. Non intendo riferirmi a documentari o filmati che sicuramente sono stati trasmessi dalle tante emittenti che popolano l’etere, ma a notizie che riguardano il mare. La cosa in sé non dovrebbe preoccupare. Non tutti gli anni c’è uno tsunami a tenere banco e neppure tutti i giorni c’è un attacco di squalo o c’è da salvare un cetaceo in presa diretta. Petroliere non ne sono affondate, il livello dei mari sembra stabile e El Niño e la Niña sono solo all’orizzonte. Eppure il mare non se ne è andato. È lì, ai margini delle nostre terre, che respira al ritmo antico delle maree e ci racconta le sue storie, ora dolci ora terribili con il mormorio delle sue onde, quiete o di tempesta secondo la giornata. Il mare ci parla, ma come spesso accade non lo sentiamo e molti neppure provano a risentirne il rumore appoggiando l’orecchio a una conchiglia, splendido gioiello della natura anche se è quello di un semplice murice e non di una rara ciprea, magari un’aurantium. Forse per tutti noi è diventato un gioco da bam- bini, forse la spiegazione scientifica del fenomeno ha distrutto la poesia di un tempo e non abbiamo più qualche minuto da perdere ad ascoltare, timorosi di perdere l’ennesimo squillo del nostro cellulare che ci permette, quello sì, di comunicare. Eppure il suono esiste perché c’è il silenzio, quella pausa minima o lunga che separa due parole e le rende intelleggibili così come la contrapposizione del bianco e del nero permettono a voi di leggere questi pensieri. Il mare parla ed è silenzio. Forse in questo stesso istante si sta preparando a dirci qualche cosa e gli oblò di Pianeta Azzurro servono anche a questo, a ricordare, anche quando del mare non si parla, che lui oppure lei (il mare è femminile in molte lingue e culture) è più vicino di quanto crediamo, pronto a dare o a ricevere, immenso e antico quasi quanto la Terra, un motivo per ripensare in chiave ecologica alla famosa “scommessa” di Pascal che assomiglia moltissimo al cosiddetto “principio di precauzione” che altro non è che quello che un tempo eravamo soliti definire, semplicemente, buon senso. 

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Il senso dell’acqua

Per gli analisti l’acqua è un liquido incolore e inodore e per di più insapore. Definizione corretta, ineccepibile secondo gli standard imposti, ma che toglie molto del fascino che questo composto possiede. Invece, l’acqua è, a mio parere, un liquido coinvolgente, capace di sollecitare tutti i nostri sensi procurandoci, in genere, gradevoli sensazioni.

Tra i sensi coinvolti c’è n’è uno, però, al quale raramente si pensa: l’olfatto. L’ispirazione di dedicare quest’oblò ai profumi dell’acqua (senza parlare ovviamente delle acque di colonia e di toilette che pure qualche collegamento ce l’anno), mi è venuta una mattina uscendo da casa. L’aria era più frizzante del solito e nel cielo passavano grandi nubi che mi ricordavano i cieli dell’Atlantico e i profumi delle sue coste. È una mia fissazione quella di sentire a Milano gli aromi dell’Atlantico, ma la cosa mi piace e penso che in certe giornate continuerò ad annusare l’aria con soddisfazione. Intanto vi offro alcuni spunti per provare a mettere in funzione il vostro olfatto con l’acqua e rafforzare ulteriormente la vostra consapevolezza sull’importanza, non solo pratica, del prezioso liquido.

Avete mai notato come la pioggia spesso si annunci attraverso un cambiamento nel profumo dell’aria, come sia possibile accorgersi che il giardino sotto casa è stato bagnato o che vi state avvicinando a un fiume o al mare? Probabilmente ve ne siete accorti, ma non ci avete fatto caso. Questo, forse, dipende anche dal fatto che la gente di città ha le mucose nasali intasate dagli odori del traffico e poco efficienti. Ma provate ad andare nei boschi ad annusare il profumo dei tronchi, della terra umida che contiene quella strana combinazione di sostanze che va sotto il nome di geosmina e che ha tanta influenza sulla risalita delle cieche nei fiumi. E le anguille, si sa, sono animali dall’olfatto fino proprio come i salmoni che, annusando annusando, ritrovano le acque di casa. Certo non sempre i profumi sono gradevoli. Un’acqua inquinata è spesso maleodorante, ma non estendete questa definizione alle acque ferme. Uno stagno o una palude hanno un loro profumo, forte a volte, non lo nego, ma sicuramente più sano di quello che sale talvolta da un impianto di depurazione o da un corpo idrico rovinato dall’uomo.

A questo punto vi invito tutti a chiudere gli occhi e a farvi guidare dal vostro naso alla ricerca dell’acqua. Se poi avete dei figli insegnate loro a giocare con l’acqua e i sensi. Probabilmente un giorno vi ringrazieranno.

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Il nero e il bianco

Sono pochi quelli che hanno potuto osservare il nostro pianeta dall’alto, ma tutti sono stati concordi nel riconoscerne l’unicità e la fragilità, ancora più evidente quando con un solo sguardo si può contemplare un intero oceano.  Questa forse è la migliore forma di globalizzazione: la capacità di considerare l’intero pianeta come la nostra casa. Tutto ciò è molto banale, eppure la stessa cosa si può dire leggendo molti passi di grandi autori, ma solo perché essi hanno avuto la capacità di spiegare i fatti più semplici con parole altrettanto semplici, una dote rara in un mondo dove si cerca di sorprendere l’avversario e di soffocarlo sotto fiumi di parole, meglio se ad alta voce.

Ma il mare e gli oceani sono un’altra cosa, un fenomeno globale che coinvolge l’intero pianeta e tutti i suoi abitanti, anche quelli più lontani. Basta leggere il capitolo dedicato ai climi di un qualunque testo di geografia per scoprire quanto il mare influenzi la vita e la distribuzione dell’uomo provocando addirittura migrazioni stagionali dall’entroterra alle coste di intere popolazioni.

Il mare è un fenomeno globale e globalmente reagisce. Affonda la Prestige, una petroliera che il buon senso e la statistica avrebbero dovuto bloccare, e tonnellate di nero greggio arrivano sulle spiagge di Spagna e Francia  distruggendo organismi, biocenosi, economie con danni molto maggiori dei benefici che quel petrolio avrebbe potuto apportare nei luoghi di destinazione. Ma sarebbero stati veramente benefici? Forse non completamente. A migliaia di chilometri di distanza dalle coste della Galizia, in mari affascinanti e caldi, una distesa bianca  si stende sul fondo in un panorama irreale. Certo la vita non è scomparsa, paradossalmente qualche essere ci guadagna, ma solo perché in natura c’è sempre qualcuno che può avvantaggiarsi di un disastro.

Il bianco e il nero: la distruzione dei coralli tropicali e il soffocamento delle coste da parte di una coltre untuosa che una volta bruciata è tra le più che probabili cause di quell’effetto serra che aumenta la temperatura del pianeta e causa cambiamenti globali a cui bisognerebbe rispondere globalmente, ciascuno secondo le proprie possibilità e senza far pagare ad altri anche la nostra quota di responsabilità.

Chi ama il mare non può non agire globalmente soprattutto perché tutelando i mare di casa proteggiamo anche quelli più lontani dato che una goccia d’acqua pulita può fare in tempi lunghi il giro del mondo. Un tempo i nostri vecchi piantavano piante di cui non avrebbero mai goduto i frutti, ma lo facevano pensando ai loro eredi. Forse che non abbiamo più? È difficile crederlo. E allora pensiamo anche a loro e non trinceriamoci dietro differenze di colore. Il nero e il bianco sono  opposti, ma sia pure per culture lontane tra loro sono i colori della morte.

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Pianeta azzurro, un mondo d’acqua

H2O è la sola formula chimica che tutti ricordano, l’acqua d’altronde è non solo la materia più diffusa sulla Terra, ma è anche la base, la sorgente della vita, che occorre conoscere e preservare.

Credere che l’acqua possa essere considerata principalmente come un bene economico, una risorsa monetizzabile, è un errore, poichè il bisogno d’acqua non risponde a un’opzione individuale, ma ad una necessità insostituibile. Bisogna evitare dunque che quello che viene definito anche l “oro blu” subisca le stesse sorti dell’”oro nero” e come sia tale sia sottoposto alle sole leggi del mercato.

Il problema non è nuovo se già in una lettera al “The Times” nel 1855 leggiamo “Se c’è una autorità sufficiente per rimuovere uno stagno putrescente dalle vicinanze di poche semplici dimore, certamente non dovrebbe essere permesso al fiume che scorre per così tante miglia attraverso Londra di diventare una fogna in fermentazione (…) Se trascuriamo questo problema non possiamo aspettarci di farlo impunemente; né ci dovremo sorprendere se, prima che siano passati molti anni, una stagione calda ci darà una triste prova della follia della nostra noncuranza.” (Michael Faraday, Lettera a “The Times”, 1855.)

Oggi oltre un miliardo e mezzo di persone non hanno accesso all’acqua potabile, nel 2020 saranno più del doppio.

Ed è per questo che il “Manifesto italiano per un contratto mondiale dell’acqua” elaborato nel 2000 si inserisce nella campagna mondiale che coinvolge ONG, enti pubblici, governi e imprese private per considerare l’acqua come un bene comune, patrimonio dell’Umanità.

Ma non basta…

Quando il Vecchio Marinaio di Coleridge diceva “Acqua, acqua dappertutto, ma non una goccia da bere” rendeva bene la situazione presente sul nostro pianeta.

Quella sua “goccia da bere” non è che un centesimo dell’un per cento delle acque del mondo. Sulla Terra, la percentuale di acqua dolce è mediamente alta, quasi il 4 per cento, ma la maggior parte di essa è custodita nei ghiacciai delle montagne e nelle calotte polari. Visto che l’acqua del mare è dannosa per la flora e la fauna che vivono sulle terre emerse, praticamente tutta l’acqua di cui necessitiamo viene estrapolata da quel prezioso centesimo dell’un per cento. A differenza  di altre risorse naturali l’acqua è rinnovabile, però, in quanto viene costantemente rigenerata dal ciclo idrologico, ciclo messo in pericolo dall’agire spesso sconsiderato dell’uomo, che pretende di sottomettere la natura ai suoi desideri più immediati.

Pianeta Azzurro venne definita la Terra dai primi astronauti sbarcati sulla Luna, un pianeta azzurro che noi, nuovi “acquanauti” esploreremo, per presentarvene gli aspetti più curiosi, per rendervi partecipi delle notizie più interessanti, per affascinarvi con le meraviglie del mare e di quel Mare Nostrum, che lambisce le nostre coste, ma di cui spesso ignoriamo le risorse.

Dall’amore per questo elemento e dal desiderio di tutelarlo,  nasce l’inserto “Il Pianeta Azzurro” che la rivista “.eco” vi proporrà nell’arco dell’anno.

In ogni numero ci accosteremo all’acqua attraverso rubriche, interviste, articoli, rivelandovene segreti e problematiche con la nostra voce e le nostre immagini… 

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Com’è difficile parlare d’acqua

Di recente un amico mi ha coinvolto in un paio d’iniziative sull’acqua dove alcuni esperti dialogavano con gruppi di studenti. I temi affrontati sono stati i più vari, dalle esperienze delle scuole sul tema del riciclo e del risparmio delle risorse idriche alla visione culturale dell’acqua nelle civiltà antiche, all’importanza di lottare per questo bene indispensabile alla conoscenza dell’acqua come ambiente complementare al nostro mondo di esseri fondamentalmente terricoli.

Gli incontri sono stati appassionanti prima, durante e dopo, come succede quando gli argomenti sono particolarmente coinvolgenti, e le cose imparate parecchie. Da tutto ciò è però nata in me una riflessione e cioè che è difficile parlare d’acqua. Questo composto chimico, così importante per tutta la vita come chiunque riconosce, ha tra le sue capacità quella di sfuggire rapidamente alla nostra attenzione. Beninteso, queste sono riflessioni mie anzi impressioni e per questo, lo riconosco, ho una buona percentuale di probabilità di essere nel torto. Eppure un pizzico di verità sento che ci deve essere.

È cronaca recente lo stato di allarme sulla siccità. Tutti i mezzi di comunicazione si sono impegnati a profusione a presentarci catastrofiche visioni di estati torride e panorami sahariani nelle nostre pianure e adesso già si sente sostenere che di acqua ce n’è troppa, che il pericolo incombe e frane, alluvioni e smottamenti sono alle porte. E allora? Siamo ancora alla cronaca spicciola, dell’hic et nunc piuttosto che a un’opera di vera sensibilizzazione e di cultura. Ma forse, come dicevo, è colpa dell’acqua, difficile da circoscrivere anche mentalmente. L’acqua, è vero, ci serve per vivere, ma rimane una parte lontana dal nostro modo di pensare da esseri terrestri per i quali l’acqua è transitoria: la beviamo e la espelliamo, cade e poi evapora. Molto più importante l’aria (sono d’accordo) che ci permette di respirare. La cosa curiosa è entrambe sono, fisicamente parlando, dei fluidi, ma con l’aria abbiamo un rapporto diretto mentre con l’acqua è sempre mediato a cominciare da quella che utilizziamo nelle nostre case dove arriva nascosta dentro tubature che provengono da chissà dove. Insomma l’acqua c’è, ma non si vede.

Di recente ho ricevuto un kit con alcune indicazioni e suggerimenti per proteggere l’ambiente. Utilissimo e pratico, ma con particolare che sembra avvalorare quanto ho scritto: tra il materiale inviato c’è un poster con tante persone in un grande spazio verde, qualcuno passeggia, qualcuno va in bicicletta o sui pattini, ci sono aquiloni, palloncini, cani, qualcuno gioca e altri leggono o passeggiano. Tutto è verde, si respira un’aria pulita, ma…non c’è nemmeno una piccola pozza d’acqua. Appunto, l’acqua è optional.

Caparbio, ho fatto una prova. Mi sono letto l’elenco dei contributi contenuti negli Atti del 3° Congresso mondiale di educazione ambientale alla ricerca dei titoli contenenti un riferimento all’acqua. Ebbene, contando tutti i titoli che rimandano in vario modo a questo tema si arriva a poco più di 10 cui si potrebbero aggiungere i contributi filmati della sezione Blu del Weec. Poco considerata l’importanza del problema il che mi riconduce alla mia considerazione iniziale: parlare di acqua è difficile. Ma forse per questo è ancora più importante e interessante e vale la pena di riflettere e insistere. Da parte mia ringrazio chi mi ha aperto ancora una volta l’oblò per farmi gettare un altro sasso, nell’acqua naturalmente!    

 

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Comunicare è necessario

Si è creduto a lungo che solo l’uomo e poche altre specie avessero il potere di comunicare e quasi nessuna oltre a noi di condividere pensieri astratti. Oggi la ricerca etologica più avanzata e i semiologi stanno scoprendo l’esistenza di un mondo nascosto di cui pochi sospettavano l’esistenza. Ogni organismo vivente, infatti, è in grado, in qualche momento della propria esistenza, di lanciare segnali che contengono delle informazioni, e questo indipendentemente dall’ambiente considerato. L’intera biosfera – aria, terra o acqua – è, infatti, lo scenario di una continua trasmissione d’informazioni che ha raggiunto, grazie ai computer, livelli mai visti. Dopo la babele delle lingue, ricordata dalla Bibbia, ci si sta avvicinando paradossalmente ad una sorta di nuova unificazione in nome di internet a proposito del quale si parla abitualmente di navigazione. E allora, se di navigazione si tratta, spingiamoci anche sotto gli oceani, in quel pianeta azzurro che una frase poetica definiva in passato “il mondo del silenzio”. I mari, come è ormai noto, sono un ambiente ricco di comunicazioni che non hanno nulla da invidiare a quelle terrestri. La trasmissione di informazioni per via chimica (l’acqua è il migliore dei solventi possibili) regola la riproduzione di moltissime specie da quelle più semplici come le spugne o gli entozoi e tra questi un posto di rilevo spetta alle madrepore dei reef tropicali capaci di dare il via ciclicamente alla più grande riproduzione di massa che si conosca per superficie e numero di individui interessati proprio grazie a mediatori chimici che altro non sono che segnali. La comunicazione avviene anche per mezzo di segnali ottici paragonabili ai nostri cartelli pubblicitari. Il linguaggio dei colori è, infatti, uno dei più utilizzati in acqua nonostante le enormi differenze nella trasmissione della radiazione luminosa che si registrano sotto la superficie del mare dove i colori dell’arcobaleno scompaiono progressivamente con la profondità. Ma, come si è andato scoprendo, ci sono altre radiazioni come i raggi ultravioletti che gli animali acquatici sfruttano per comunicare mediante la lettura di strie, bande, macchie, pallini dimostrando chiaramente che il mondo delle acque è ben lungi dall’essere come appare. Infine, esiste il vasto mondo della comunicazione “verbale” dei mammiferi marini. Come non osare definire così i fischi dei delfini o i canti delle megattere soprattutto quando è ormai evidente che esistono pure i dialetti all’interno delle differenti popolazioni oggetto di studio.

Prendere consapevolezza dell’esistenza di sistemi di comunicazione così variati, e tanto simili a quelli in uso nella nostra specie, potrebbe o dovrebbe trasformarsi in un momento di riflessione sulle affinità che uniscono tutti gli esseri viventi e nello stesso tempo portarci a considerare anche il linguaggio come un elemento della biodiversità e spingerci a recitare un sentito mea culpa insieme al de profundis per i linguaggi che andiamo estinguendo trasformando in lingue morte come quelle degli antichi Egiziani o dei Sumeri parte della ricchezza dell’umanità.   

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