Il sale

Il cloruro di sodio, comunemente identificato con il sale, è per la maggior parte concentrato nei mari. Dall’evaporazione delle acque salate, durante le varie ere geologiche, si sono formati depositi di salgemma che variano da pochi centimetri a centinaia di metri.Disponibile e facile da lavorare ha un costo di produzione che si aggira sui 50 euro la tonnellata. Utilizzato in molti processi industriali, fa parte della nostra quotidianità ed è tra gli elementi integranti della nostra dieta. 
Usato nelle cucine di tutto il mondo come condimento per i cibi, svolge un ruolo fondamentale nei processi di conservazione. La sua capacità di attrarre acqua lo rende un conservante naturale eccezionale.
Il plasma sanguigno contiene lo 0,9% di cloruro di sodio, così come la “soluzione fisiologica” utilizzata in medicina. E se è vero che non possiamo vivere senza sale, va assunto con moderazione. Al giorno d’oggi dobbiamo tenere presente che alla maggior parte dei cibi lavorati ne viene aggiunta una quantità variabile, ed è facile abusarne senza rendersene conto.Una dose superiore ai 5 grammi al giorno può essere dannosa per il nostro fisico. Un’assunzione eccessiva di cloruro di sodio porta a un 
aumento della pressione sanguigna e a ritenzione idrica con possibili gravi conseguenze come ictus o problemi cardiaci. 
Quindi sale sì, ma solo un pizzico.
 

L’impronta idrica

L’acqua è una risorsa fondamentale per la vita, sia della natura che degli esseri umani. Ma la comunità scientifica ha un’idea esatta di quanta ne venga utilizzata ogni giorno in giro per il mondo? Alla domanda ha tentato di dare una risposta il professor Arjen Y. Hoekstra che, a questo scopo, ha messo a punto nel 2002 il concetto di “impronta idrica”. Si tratta di un indicatore che mira a quantificare il volume totale di acqua dolce utilizzata per produrre i beni e i servizi consumati da un determinato individuo, comunità o impresa. Il principio su cui si fonda è il fatto che gli impatti attualmente generati sulle risorse di acqua dolce presenti sul pianeta siano riconducibili principalmente al consumo umano. Le attuali problematiche di scarsità e di inquinamento delle risorse idriche possono essere quindi meglio comprese e affrontate considerando il processo produttivo di un bene nel suo complesso, andando a quantificare il reale consumo di acqua legato a ogni fase della filiera produttiva. Alcuni esempi? Secondo l’approccio dell’impronta idrica, la produzione di un chilogrammo di carne di manzo richiede 16.000 litri di acqua, quella di una tazza di caffè 140. Scopo di questa rubrica non è affrontare dal punto di vista scientifico il concetto di impronta idrica, ma partire dalla sua definizione per individuare spunti di riflessione. Quali comportamenti possiamo adottare ogni giorno per ridurre la nostra impronta? Quali azioni virtuose vengono intraprese nel mondo per migliorare la gestione delle risorse idriche? Quali sono, invece, gli esempi da condannare? Ne discuteremo sui prossimi numeri de il Pianeta azzurro, in uno spazio che vuole essere un momento di incontro e di riflessione sull’importanza dell’acqua dolce e salata, sulle sue modalità di utilizzo e gestione.

www.waterfootprint.org

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During my lifetime I have dedicated myself to this struggle of the African people…

“During my lifetime I have dedicated myself to this struggle of the African people. I have fought against white domination, and I have fought against black domination. I have cherished the ideal of a democratic and free society in which all persons live together in harmony and with equal opportunities. It is an ideal which I hope to live for and to achieve. But if needs be, it is an ideal for which I am prepared to die”.

― Nelson Mandela

Noi pozziamo…e tu?

Come ogni anno anche quest’anno  Pianeta azzurro ha l’onore e il piacere di collaborare con 12 Scatti Onlus al progetto “12 scatti per l’Africa”. Lo fa attraverso la vedita del calendario BELOW, ormai arrivato alla sua IX edizione. Come scrive lo stesso Stefano Calcabrini,fondatore di 12 Scatti onlus, ” Below non è un semplice calendario, è una raccolta di “emozioni”, che in qualche modo, hanno molto in comune tra loro: la passione per l’acqua”. Il calendario, infatti, ogni anno racconta attraverso 12 immagini straordinare la vita sommersa…con i proventi delle vendite dei calendari nel corso degli anni sono stati realizzati 60 pozzi, la maggior parte dei quali in Burkina Faso, una delle zone più aride dell’Africa. Dal 2006 (anno di nascita del progetto) ad oggi attraverso la rete di Pianeta azzurro sono stati venduti oltre 200 calendari! Questo significa che gli amici di Pianeta azzurro hanno contribuito a costruire circa un quarto di pozzo e questo significa che 25 persone (compresi i bambini) avranno acqua per 10 anni!Insomma, come recita lo slogan di 12 Scatti Onlus:
 Dimostrare che basta poco per fare molto…. NOI POZZIamo! … E TU? 
 
Se avete ancora qualche dubbio trovate QUI maggiori informazioni, la mappa dei pozzi realizzati e tutto quanto riguarda “12 scatti per l’Africa”.
 
Se invece volete scoprire il calendario 2014 cliccate QUI
Per acquistare uno dei calendari visita il sito www.12scatti.org o scrivici a scoccia@schole.it. Invieremo la vostra richiesta ad uno dei collaboratori di zona. Il contributo minimo per ogni calendario è di 10,00 euro. 

L’ Orto di Nemo (di Emilio Mancuso)

Ed ecco che il buon agricoltore si sveglia al mattino pronto per andare a seminar basilico, d’altra parte se si vuole puntare su una delle tante bandiere che rendono famosa la Liguria nel mondo, cosa potrebbe seminare se non basilico?
C’è qualcosa di strano però, gli stivaloni sono sostituiti da pinne…al posto del cappello di paglia c’è una bella maschera…e il fumo di una pipa si trasforma nelle bolle d’aria respirata da una bombola. O l’agricoltore è parecchio distratto, oppure questa estate ha deciso di coltivare in posto un po’ inusuale! Si potrebbe sintetizzare così il progetto nato dalla fantasia e dalle competenze di Sergio Gamberini, amministratore della OCEAN REEF, ligure d.o.c. profondamente innamorato del suo mare così come della sua terra.

Il progetto battezzato “l’Orto di Nemo”ha portato infatti alla costruzione di un piccolo orto subacqueo
a circa otto – dieci metri di profondità davanti alle coste di Noli, a non più di un centinaio di metri dalla linea di costa.

Due biosfere, due piccole serre subacquee ancorate sul fondale sabbioso del ponente ligure sono state il campo di prova di questo progetto sperimentale sviluppatosi con grande successo durante tutta l’estate. I molti dettagli attentamente curati si sono rivelati vincenti, aprendo le porte a nuove e affascinanti possibilità. A partire dagli ancoraggi al fondo, che sono simili a delle grosse viti avviate nella sabbia fin sotto il primo strato molto mobile, questo ha evitato quindi di introdurre in ambiente materiale estraneo e potenzialmente disperdibile come blocchi di calcestruzzo, riducendo così anche l’impatto ambientale della struttura, che ne suo complesso era comunque di dimensioni ridotte, completamente amovibile e sprovvista di vernici o coperture capaci di contaminare le acque circostanti.
Le due biosfere in materiale vinilico trasparente, di circa 800litri di volume, con la loro struttura flessibile attenuavano il loro Image00001opporsi ai movimenti del mare con piccole fluttuazioni, erano munite di piani d’appoggio che han sostenuto tutti gli attrezzi dei moderni “contadini subacquei” e i contenitori del terreno, contenitori a tenuta stagna che sono stati aperti direttamente dentro le biosfere, per evitare contaminazione con acqua salata durante il loro trasporto. Una base basculante permetteva al subacqueo agricolo di mettersi in piedi per svolgere i vari lavori all’interno della biosfera, e una valvola di sovra-pressione permetteva lo sfogo dell’aria che si trovava in eccesso quando, lavorando, si respirava nella biosfera. Un volta allestite le biosfere e seminati i terreni (con semi provenienti da uno storico produttore di Noli) madre natura ha seguito il suo corsi in tempi anche rapidi. L’aria atmosferica intrappolata al momento dell’immersione della biosfera si è arricchita di vapore grazie alla trasparenza della biosfera, che alla profondità di posa era bene illuminata e quindi ha innescato un “ciclo dell’acqua” in miniatura: il sole ha scaldato la superficie dell’acqua che lambisce il fondo della biosfera, questo ha portato a fare evaporare l’acqua (e anche se si tratta di acqua di mare, ricordiamoci che evapora sempre e solo acqua dolce), l’acqua evaporata si è accumulata nell’aria della biosfera condensando sul terreno e tenendolo così sempre umido.
In soli tre giorni i primi germogli di basilico si sono manifestati, e la reazione di fotosintesi clorofilliana portata avanti da queste piante ha contribuito a regolare l’atmosfera all’interno della biosfera, assorbendo anidride carbonica e rilasciando ossigeno mentre i piccoli germogli andavano crescendo. 
Una delle due biosfera purtroppo è stata irrimediabilmente danneggiata da una mareggiata, ma anche questo piccolo disastro si è rivelato utilissimo ai fini di un corretto e completo monitoraggio del progetto: le grosse viti di ancoraggio non han recato danni al fondale, la struttura flessibile della biosfera le ha permesso non rompersi ma bensì di oscillare fino al punto di allagarsi…e dopo la mareggiata il tutto si è concluso con il recupero completo dei materiali, scongiurando così il rischio che diventassero spazzatura del mare. Nella biosfera che invece ha retto alla mareggiata i numeri sono fondamentalmente questi:

  • 62 giorni di operatività subacquea
  • 48 ore è il tempo passato dalla semina alla germinazione delle prime piantine
  • 52 i giorni passati dalla semina al primo raccolto
  • 85% è stato il tasso medio di umidità nelle biosfere, che quindi erano pressoché sature di umidità 20% è stato il tasso di illuminazione (rispetto all’illuminazione atmosferica) medio rilevato all’interno delle bio-sfere
  • 12  le persone coinvolte nel progetto.

Il raccolto è stato oggetto di analisi e confronti con delle semine fatte contestualmente a terra, e i primi dati ottenuti sono interessanti, attualmente “riservati” e ancora in fase di attenta valutazione, ma le prime anticipazioni donatemi da Sergio parlano di:

  • Risultati analitici che hanno messo in evidenza la generale freschezza e corposità aromatica presenti nell’olio essenziale e nello “spazio di testa”;
  • Il contenuto in Alfa bergamottene risulta essere in media con i valori tipici del basilico ligure.
  • Il Metil‐4‐Metoxy‐Cinnammato è presente in quantità significativamente elevate rispetto ai testimoni delle prove che rispetto ai valori medi del basilico coltivato nel bacino del Mediterraneo.

Sembra quindi che la curiosità sia giustificatissima e l’interesse scientifico ad approfondire questo tipo di coltivazione possa essere legittimo.

Image00007La stabilità termica all’interno della serra, l’impossibilità per parassiti terricoli di arrivare a colpire queste colture, il vantaggio di poter “espatriare” l’agricoltura oltre le frontiere delle terre emerse… questi ed altri sono i dati, i pensieri e le sfide che hanno stuzzicato l’immaginazione di Sergio e del suo team che ha seguito il progetto; progetto che sicuramente è destinato a futuri approfondimenti.
Oltre alla sperimentazione pura che deve esser sempre intrapresa con tanta spinta per il futuro e una sana dose di ottimismo; bisogna anche considerare che tra gli ipotetici sviluppi applicativi il più importante potrebbe essere la realizzazione di coltura subacquee più estese, soprattutto laddove l’acqua dolce scarseggia e al contrario vi è grande presenza di acqua di mare che è inutilizzabile (se non a mezzo di costosi processi di desalinizzazione, spesso irrealizzabili in quelle stesse aree geografiche) per l’agricoltura terricola. In ultimo, l’implementazione di coltivazioni di tipo idroponico potrebbero far ulteriormente evolvere il progetto riducendo il quantitativo di terriccio necessario, materiale estraneo all’ambienta acquatico, e di conseguenza possibili inquinanti/contaminanti presenti nel terriccio.
Interessante nota di stampo tecnologico, l’intero campo di sperimentazione subacquea è stato costantemente monitorato da un innovativo sistema di videocomunicazione subacquea che permetteva al team di avere controllo video costante, e che grazie a un sistema di comunicazione “wi fi” ad ultrasuoni permetteva ai coltivatori subacquei, muniti di maschere subacquee “granfacciali” con microfoni e auricolari, di comunicare tra di loro e di comunicare con la superficie, eliminando così i limiti della classica comunicazione non-verbale subacquea.
Questa prima fase sperimentale si è conclusa a fine settembre, i primi dati si possono ritenere soddisfacenti su diversi campi di studio, ora non resta che riallestire l’Orto di Nemo la prossima estate per vedere su quali peculiarità liguri potremo puntare e come poter implementare le strutture restando saldi ai principi di eco-compatibilità e minimo impatto ambientale della struttura; stando certi che all’acqua per annaffiare ci penserà il nostro amato Mare!

guarda le immagini dell’Orto di Nemo
guarda il video

Testi di Emilio Mancuso
si ringrazia Sergio Gamberini e la Mestel srl – Ocean Reef Group per i dati e le fotografie forniti

Profilo autore: Emilio Mancuso, Socio dell’Istituto per gli Studi sul Mare e della ONLUS Verdeacqua, istruttore subacuqueo, appassionato di fotografia, viaggi e contaminazione con il mondo!
Consulente AiGae per il settore mare, da sempre con l’obiettivo di condividere conoscenza, consapevolezza e passione per il mare.

www.verdeacqua.org

 

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Verso una nuova filiera corta di tessile sostenibile

Il CNR sta conducendo una ricerca sul tessile sostenibile. L’obiettivo è costruire una filiera corta sperimentale per la produzione di abbigliamento sostenibile, utilizzando lana rustica italiana. Si tratta di lana che è prodotta in grandi quantità (500 t l’anno) ma attualmente considerata un rifiuto dell’allevamento ovicaprino, in quanto non competitiva con qualità più pregiate (ad es. merinos) importate da Australia, Nuova Zelanda o Argentina, e pertanto viene scartata a danno dell’ambiente: interrata a dispetto delle normative sullo smaltimento che comportano costi eccessivi per gli allevatori o esportata sottocosto sui mercati esteri dove è destinata alla produzione di tappeti. Per la lavorazione di questa lana vengono recuperati saperi e competenze artigianali locali che si rifanno alla tradizione del Made in Italy: la filiera di produzione è italiana e non prevede delocalizzazioni produttive in paesi con un costo del lavoro minore.
Il CNR sta valutando la reazione del mercato ai primi capi prodotti con interviste e focus group e chiedendo la compilazione di un questionario on-line, in cui sono presentati alcuni capi. La ricerca è pubblica, così lo saranno i risultati, e non ha fini commerciali.

Il link al questionario è http://www.tessilesostenibilita.it/questionari/lana-sostenibile/   La compilazione richiede pochi minuti.

Tutto il potere al riciclo

(di Giorgio Nebbia)

Tutti i problemi con cui dobbiamo fare i conti oggi – scarsità di materie prime, inquinamento, riciclo dei rifiuti, eccetera – sono già stati incontrati e risolti con invenzioni e innovazioni che hanno fatto andare avanti il mondo. Un illuminante esempio è offerto dalla storia dell’acido solforico, una delle sostanze chimiche prodotte su larga scala nel mondo, quasi 200 milioni di tonnellate all’anno, indispensabile per la produzione di concimi, lubrificanti, materie plastiche, semiconduttori, detersivi, esplosivi, e infinite altre cose. Al punto che il grande chimico Justus von Liebig (1803-1873), nella metà dell’Ottocento, scrisse, con una certa enfasi, che lo sviluppo economico di un paese si poteva dedurre dalla quantità di acido solforico che esso produceva; il che non è certamente vero anche se la produzione di questa sostanza ha avuto un ruolo importantissimo nella storia delle società umane.

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Master in “Sostenibilità del territorio e della filiera agroalimentare

VI EDIZIONE 2013/2014
Il Master Universitario di I livello in “Sostenibilità del territorio e della filiera agroalimentare” (già Master in “Sviluppo Sostenibile e Promozione del Territorio”) è attivato dal Dipartimento di Culture, Politiche e Società dell’Università degli Studi di Torino. Lo sviluppo di un’agricoltura e di filiere agroalimentari sostenibili – che assicurino l’accesso al cibo in quantità e qualità sufficienti, riducendo l’impatto ecologico anche attraverso una rilocalizzazione delle filiere agricole rappresenta una sfida di grande portata per i prossimi decenni. Vari attori del territorio, (cittadini, autorità locali, imprese agricole, associazioni di categoria e altre espressioni della società civile), anche a seguito dei Programmi di Sviluppo Rurale dell’Unione Europea, stanno cercando di rinnovare le proprie strategie e le proprie pratiche in quest’ambito, un settore che, anche a fronte della crisi occupazionale del settore secondario, sta divenendo sempre più strategico. In questo contesto lo scopo del Master è quello di fornire gli strumenti conoscitivi fondamentali per leggere e interpretare contesti complessi, valutare la sostenibilità di un territorio, conoscere gli elementi che caratterizzano una filiera agroalimentare sostenibile e la relativa legislazione, progettare/mettere a disposizione degli attori del territorio strumenti per la promozione del filiere locali sostenibili in ambito agroalimentare. 

SCADENZA ISCRIZIONI: 10 gennaio 2014

per conoscere tutti i dettagli scarica la brochure di presentazione del Master

Educazione ambientale: a Bologna un altro passo avanti. Prossimo appuntamento a Roma

(Bologna, 28 novembre 2013) Si è tenuto il 28 novembre a Bologna, presso la Regione Emilia-Romagna, il secondo degli incontri nazionali seguiti al Settimo congresso mondiale di Educazione ambientale di Marrakech (il primo incontro si era tenuto a Milano, all’Università Bicocca, il 29 agosto).
Grazie ai WEEC e alle Giornate europee, nate nel 2013 a Lione (nell’ambito delle quali è stata presentata la prima bozza di un Appello per la costruzione di uno Spazio europeo di concertazione dell’educazione ambientale e alla sostenibilità) e che nell’autunno 2014 si terranno in Italia, la comunità italiana degli attori dell’educazione ambientale sta cercando di ricostruire le basi di una rete nazionale indebolitasi nel corso degli anni ed allo stesso tempo  di legarsi maggiormente alle esperienze europee e internazionali, condividendo riflessioni, ricerca di confronto con le istituzioni, potenziamento di sinergie e partenariati.

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Il mal d’acqua

La disidratazione è uno stato di malessere causato da un insufficiente apporto di acqua e sali minerali, in pratica vengono introdotti meno liquidi di quanti ne vengono consumati dall’organismo. Ovviamente deve non deve essere sottovalutato specialmente nei bambini, negli anziani e negli sportivi. Le estati torride purtroppo causano numerosi decessi da disidratazione tra gli anziani, soggetti spesso debilitati che in più perdono progressivamente la percezione della sete. In caso di patologia intestinale vomito e diarrea portano ad una rapida perdita di liquidi causando un forte stress per l’organismo. In questi casi la terapia gold standard consiste nell’assunzione di soluzione salina, ne esistono vari tipi disponibili in farmacia e nel caso non sia possibile ingerire liquidi si viene sottoposti ad infusione di soluzione fisiologica da parte del personale medico. Ci è ben chiaro quanto sia importante bere, almeno 1,5 litri al giorno che possono diventare il doppio in caso di caldo o attività fisica intensa. Non tutti sanno che la percezione della sete è differente tra i vari individui è può modificarsi nel corso della vita o in particolari condizioni fisiche. Alcuni di noi avvertono uno stato di malessere, mal di testa, sonnolenza, ma non propriamente sete. Stanno emergendo evidenze scientifiche che la corretta idratazione può prevenire e addirittura curare la cefalea di alcune persone. Quindi se vi viene mal di testa provate a bere un bicchier d’acqua potrebbe risolvervi la giornata, male non vi farà di sicuro

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