Reportage. Alla Garbatella (Roma) gli orti sono il simbolo della coesione di una comunità
di Andrea Ferrari Trecate
Luigi di Paola colpisce con la punta delle scarpe il terreno del parco alle porte degli orti della Garbatella.
La zolla di terra si stacca a fatica. Sembra cemento.
«Vedi –mi dice- è questo il terreno che abbiamo trovato nel 2009, quando ci è venuta l’idea degli orti». Non mi stupisco che all’epoca in molti avessero battezzato come impossibile l’idea. La terra si presenta arida, priva di vita. Eppure, alzando gli occhi, gli orti sono proprio lì, davanti a me, un piccolo verde monumento alla determinazione che è stata quasi testardaggine.
Il quartiere della Garbatella oggi non presenta nessuno strascico della sua storia recente piuttosto travagliata. Nato come quartiere proletario a sud di Roma, è stato segnato dalla malavita organizzata, dall’eroina, apparsa e diffusasi quasi come un’epidemia, e dalla cementificazione voluta dai palazzinari. Uscendo dalla stazione della metropolitana si fatica persino a credere di trovarsi a Roma. Le architetture del barocchetto mi hanno accompagnato attraverso i giardini e i cortili. I ragazzini giocano per strada mentre nelle piazzette si respira l’aria di un paese di campagna. Il centro sociale di Casetta Rossa e il vecchio mercato occupato sono figli di giorni più recenti ma hanno lo stesso denominatore che caratterizza tutto il quartiere: la socialità.
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