Orti urbani in rete

Gli orti urbani si sono incontrati alla Casa dell’ambiente di Torino. Sviluppare cooperazione e azioni comuni. Su .eco uno speciale: da Lampedusa al nord orti urbani crescono

 

Pierluigi Cavalchini

 

Quando pensiamo agli orti abbiamo davanti agli occhi file più o meno ordinate di fusti e foglie di differenti tonalità di verde e con sprazzi di rosso, giallo, arancio, presagio della prossima formazione di un ortaggio che per troppo tempo ci siamo abituati a comprare al supermercato. Vedere “gli orti” protagonisti di percorsi di educazione ambientale, di (ri)educazione alimentare e persino di psicologia sociale è davvero una gradita sorpresa. In questo sono maestri i rappresentanti delle associazioni (che riportiamo in nota per non dimenticare nessuno) che hanno concretizzato questa “magia orticola” con una bella e intensa comunicazione avente proprio per titolo: “Il futuro si coltiva nell’orto”.

 

Un reportage su .eco

 

Come è noto già c’era stato uno “speciale” di .Eco sull’argomento e già si è apprezzata la competenza di Andrea Ferrari Trecate che, infatti, ha ben gestito l’incontro di venerdì 10 giugno alla Casa dell’ambiente di Torino.

La comunicazione di apertura è dello stesso Ferrari Trecate: “L’idea è di creare un vero e proprio dibattito e reti associative nel territorio nazionale fra i vari attori e soggetti che si occupano di orti urbani/sociali/solidali, compresi i progetti di mappatura degli orti che si stanno sviluppando in misura sempre maggiore”.

A metà comunicazione lascia la parola al rappresentante dell’associazione “Gli Orti di Via Chiodi” di Milano che nell’arco di una ventina d’anni ha piazzato 150 “realizzazioni orticole” (su 700 complessive per il capoluogo lombardo); le slide ci hanno mostrato interventi ben programmati che si basano sulla massima “fare ciò che è possibile” tenendo conto dei condizionamenti (burocratici, ambientali e, a volte, comportamentali).

Riprendendo poi la parola, Andrea Ferrari Trecate ci ha portato un po’ in giro per l’Italia alla scoperta degli “orti” più significativi (come quelli alla Garbatella a Roma) oppure particolari ed originali come gli “Orti dipinti” e gli “Orti in cassettoni” a Firenze.

Idea, quella della coltivazione “in cassettoni”, che vedremo ripresa in più occasioni nelle varie comunicazioni e che ha trovato nell’associazione “Innesto” di Torino una delle migliori esemplificazioni. In questo caso, in un ampio spazio di fianco alla Dora, si è anche proceduto ad un recupero industriale, andando a piazzare grandi cassoni all’interno di quello che è stato definito “hortus conclusus”, una specie di coltivazione ben curata all’interno di arcate di capannoni industriali un tempo appartenute alla Michelin.

Importanti i contributi degli “Orti del Boschetto” con realizzazioni “ortolane” in zona Barriera di Milano (a Torino), dell’Officina Verde Tonolli con esperienze di “social garden” e dell’associazione Parco del Nobile con il progetto “Mirafiori Social Green”.

Spesso viene usato il termine “social” e non a sproposito, perché vi è uno stretto legame fra il “fuori” e il “dentro”, fra la calma che si respira in un appezzamento orticolo ben tenuto ed un proprio profondo equilibrio. Ci sono molti libri che hanno studiato questa funzione sociale che ci permette di “vedere le cose” in altra ottica. Di qui il successo della “terapia orticola” nella cura di alterazioni del comportamento, nella motivazione al lavoro e nel recupero di identità e valori.

 

 

Negli orti fiorisce l’innovazione sociale

 

Non deve, perciò, sorprendere l’incredibile numero di associazioni che sono fiorite in questi ultimi dieci anni sul tema specifico dell’orticoltura collegato al “ritorno alla terra”, ai suoi aspetti più antichi e pregranti, collegando strettamente il bene del corpo (grazie – per esempio – ad un’alimentazione salutare e a Km zero) con il bene dell’anima, con possibilità di ritrovare spazi di silenzio, di riflessione di riorganizzazione dei propri pensieri.

La vetrina delle realizzazioni è continuata con l’Orto Sociale di Collegno, diventato supporto stabile all’attività “sul campo” della stessa amministrazione comunale collegnese. Nel grosso centro della cintura torinese si è riusciti ad ottenere contributi per intervenire su fasce deboli, anziani, disabili e anche su membri della comunità Rom vicina all’area interessata agli “Orti”.

Gabriella Vergnano della Cooperstiva Frassati ci ha spiegato, invece, come è avvenuto il miracolo di seimila ettari di terreno semiabbandonato, con cascina annessa, trasformati in un’oasi produttiva e ben gestita. Di proposito le tecniche sono “tradizionali” con il dovuto peso dato all’impegno impersonale, all’attenzione e al più classico dei segnali di lavoro: il sudore. Discorso simile vale per la Rete Progetto Agrobarriera e per la associazione TERRA onlus. In questi casi viene dato particolare rilievo all’aspetto sociale dell’impegno in orticoltura, con operazioni mirate al recupero di aree dismesse, a rendere più fluidi i rapporti intergenerazionali, rivalutando la più sana delle attività manuali.

Un grande lavoro di migliaia di volontari e di decine di associazioni che hanno trovato nel ritorno alla terra e all’aria aperta nuove motivazioni di impegno. Queste diventano poi meritorie quando si riescono ad organizzare campi organizzati (e permanenti dal punto di vista del servizio) nell’isola di Lampedusa con l’obiettivo dichiarato di fornire possibilità di lavoro ai migranti che in massa giungono nell’isola.

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