Rojava, tra guerra e pace

Ambiente e conflitti. Chissà quando ne usciremo fuori… Viaggio nel Kurdistan siriano e le sue contraddizioni e speranze di futuro
di Pier Luigi Cavalchini

 

(Di ritorno dal Kurdistan siriano) Forse molti dei lettori sono stati in qualche modo toccati dalla particolare del Kurdistan, che non è un’arte marziale o un prodotto d’artigianato esotico, bensì un territorio con un popolo suddiviso in quattro o cinque Stati diversi senza la possibilità di averne uno unico “riassuntivo” ed autonomo. Veramente una situazione assurda, diretta conseguenza della spartizione del Medio Oriente fra i principali Stati coloniali tra Ottocento e Novecento. Bene. Con una serie di associazioni in qualche modo collegate all’attività dell’UNHCR mi trovo in questi giorni proprio in questi luoghi ameni e pieni di storia. Purtroppo ciò che colpisce di più è la totale assenza di una cultura ambientale, che verrà anche dopo la soddisfazione dei bisogni primari ma che, comunque, è e rimane la base per qualificare il modo di vivere di ciascuno. L’aria sa di petrolio (siamo al confine tra Siria e Irak), le discariche segnano, a volte, i bordi delle strade – quasi come “guard rail” naturali -, la polvere (sottile, pesante, con sezioni di ogni tipo) è ovunque, come ovunque sono torme di cani inselvatichiti. Un paesaggio, purtroppo, comune a molti Paesi del Terzo Mondo che, in quelli interessati da conflitti più o meno striscianti, diventa quasi infernale.
Così, ormai da quasi una settimana (siamo al primo di ottobre) continua. Il viaggio da “Mille e una Notte”. Il riferimento va interpretato nel senso che c’e’ molto buio e poca luce, nelle terre dei Parthi e degli Assiri. Qui, anche se le strutture sono un po’ vecchiotte, quando sono in piedi, i fili volanti sono la norma e le discariche a cielo aperto sono parte del paesaggio, si respira un’aria di freschezza e voglia di vivere che noi abbiamo perso da molto. Il miglior modo di rispondere a quei pazzi sanguinari vestiti di nero che fanno di una sbagliata concezione religiosa la loro ragione di vita (anzi di morte). 
Nel resoconto (esclusivo) che segue ci sono continui riferimenti al rispetto dell’ambiente (di quello che è rimasto), della possibilità di garantire diritti e opportunità per tutti. Il primo a crederci fermamente è il presidente del Cantone principale.
 
Rojava. Uniti nelle diversità
 
Incontro Akram Hesso presidente dell’Executive Council of the Jazeera Canton, Rojava, Siria. Per questa nuova giornata di lavoro dedicata, per i noti fatti di confine (limitazione ai soli giornalisti facenti parte della delegazione), a un gruppo ristretto di interlocutori, si inizia con un incontro al vertice che vede coinvolto, perfettamente disponibile e bene informato Hesso, presidente del Cantone di Rojava. Alla domanda su come si è arrivati alla situazione attuale di forte instabilità con i tre cantoni di Rojava direttamente coinvolti in un’opera titanica, quella di dare un nuovo senso alle istituzioni democratiche, per poi “esportare” l’eventuale modello in altre zone di ciò che rimane della Siria e altrove, si dimostra immediatamente disponibile e dichiara: «in conseguenza delle rivolte continue che, alla fine, hanno portato all’autonomia del territorio di Rojava, l’insieme dell’area occupata dalla Siria si è gradatamente svuotata e, a partire dal gennaio del 2014, si è avuta l’opportunità per i tre cantoni di Rojava di procedere in modo autonomo». Sempre di quel periodo è l’inizio dell’embargo che riguarda un po’ tutti i confini del territorio: la Turchia e Daesh (o Isis) a nord e a sud, con l’aggiunta di problemi striscianti con i collegamenti con il Kurdistan Irakeno (anch’esso autonomo) e le rimanenti aree lealiste rimaste all’esercito siriano di Bashar el Assad. Continua dicendo che «questo ha portato a un forte e progressivo impoverimento del Rojava con conseguenze difficilmente prevedibili». L’embargo secondo Hesso «è praticamente su tutto». Infatti, fa una lunga lista di materiali e servizi che mancano o che sono stati limitati per forza maggiore: medicine di primissima emergenza, vari materiali e prodotti per interventi specialistici, prodotti edili, materiali e filtri per la depurazione, macchinari di vario genere e prodotti per l’agricoltura e la zootecnia.
Se richiesto, scrivendo alla mail ekrem-hesso@hotmail.com, si impegna a dare ulteriori indicazioni in merito, anche rispetto a nuovi contatti con un produttore farmaceutico che, nonostante l’embargo, sta dando una grossa mano alla comunità.
 
Le ombre della guerra
 
La conversazione, comunque, scivola lentamente verso la situazione militare con la conseguente necessità di stanziare più del 60 per cento del bilancio complessivo a disposizione in entrata proprio per i servizi di difesa. Su questo punto Hesso è molto drastico: «La Turchia sostiene l’Isis e l’Isis scambia con la Turchia un po’ tutto». Il riferimento va alle autorizzazioni ai passaggi facilitati attraverso il suolo turco di combattenti ISIS diretti in territorio Daesh e all’assistenza fornita per la logistica e la cura dei feriti. Quando poi fa riferimento alla Francia e alla Russia come a due nazioni che stanno aiutando fattivamente il popolo del Rojava, sorge spontanea una domanda ai giornalisti presenti: «Pare che la Francia abbia bombardato veramente le postazioni Daesh, diverso invece l’atteggiamento russo che, pare, attaccare solo le postazioni dei nemici del presidente Bashar Assad, il gruppo di Al Nusra in particolare…». A questo rilievo risponde immediatamente che Al Nusra è strettamente collegata al Daesh-Isis per cui ben vengano entrambi gli interventi.
Anche su un altro punto si è dimostrato molto chiaro andando a rispondere a più domande che erano state poste dai giornalisti: “Può ancora avere un futuro uno Stato siriano come quello che abbiamo conosciuto fino a qualche anno fa oppure si deve ormai parlare solo e solamente di singoli spicchi di territorio di questo o quel gruppo o etnia?». La risposta lapidaria «Rojava è parte dello stato di Siria» chiarisce ogni dubbio. Va anche oltre il presidente Hesso: «Essendo parte della Siria, la sua sperimentazione democratica è la base per un nuovo modello in Siria, proprio perché sta cominciando a dare i suoi frutti con la costituzione – e la messa in funzione – di consigli locali ben coordinati e funzionali alle necessità di volta in volta evidenziate… E così via verso gli organi superiori fino all’organo di governo massimo, per il momento piazzato nella città centrale di Amudè, con i servizi ministeriali decentrati specie nella più grande Qamislo».
 
La minaccia turca
 
Continuando sulle questioni riguardanti l’andamento del conflitto, fa presente che non c’è bisogno di truppe di terra (a questo pensano le varie divisioni legate alla realtà locali del Kurdistan), ma sarebbero molto utili attacchi mirati ed intensificati alle varie postazioni Isis dall’aria, per mezzo di uno spiegamento di forze aeree coordinate e ben equipaggiate». All’interno di queste valutazioni fa anche riferimento all’indubbio aumento progressivo di uomini che sta registrando Isis nelle varie aree operative, «soprattutto a causa della Turchia che fa da collettore esterno di volontari DAESH provenienti un po’ da tutto il mondo, con Cecenia, Afghanistan, Algeria, Marocco e Pakistan a dare il maggior contributo esterno».
Sempre sulla questione di chi è più o meno vicino viene fatta una precisazione che va a correggere un’affermazione precedente: «Sia ben chiaro che noi e il vicino Kurdistan irakeno (sud Kurdistan) siamo a tutti gli effetti fratelli, o meglio, i due popoli sono stretti fratelli, su chi dirige le cose in Sud Kurdistan ho però delle perplessità». E, ancora su questo argomento, ricorda che un discorso simile può essere fatto per gli abitanti (sia turchi che kurdi) della Turchia, ben più sensibili ai problemi rispetto al governo di Ankara.
Fa presente che è stato attivato, su precisa domanda di uno dei giornalisti, un Ufficio speciale di orientamento delle associazioni e che il TEV-DEM può essere un’ottima risposta a ogni tipo di disponibilità di collaborazione e di compartecipazione ai progetti da qualsiasi Stato provengano le associazioni stesse. Il colloquio, ispirato a massima cordialità e amicizia, termina con una richiesta fatta direttamente al giornalista francese Guion per un’intercessione – tramite Le Monde – per una visita del presidente francese Hollande in Rojava.
Ancora sollecitato sulla questione del nuovo tipo di Stato e le nuove proposte per la realizzazione di un’autentica democrazia, fa presente alcuni concetti fondamentali a cui è legato:
1. Ogni etnia, ogni gruppo, ogni aggregazione religiosa sarà sempre tutelata per garantirne libertà di espressione ed autonomia (come esempio utile pone quello dei “Cantoni Svizzeri”).
2. Immediatamente dopo l’emergenza militare si porrà mano a un piano di rilancio sociale, ambientale ed economico ispirato dalla sostenibilità ambientale e dal rispetto dei diritti di tutti (con relativi stanziamenti ).
3. Come consacrazione di questa multipolarità fa presente che si sta superando l’attuale bandiera del Kurdistan, quella col sole grande al centro, per realizzarne una più rappresentativa di ogni cantone, gruppo ed espressione autonoma.
 
Una combinazione vincente per il Kurdistan: ambiente, turismo e antichità
 
La giornata è continuata con miriadi di piccoli incontri e scambi di opinioni sulle questioni più diverse, da Berlusconi, alla nazionale italiana di calcio fino a Matteo Renzi che qui ben pochi (inceredibile ma vero) conoscono. Infine sempre con lo stesso gruppo di giornalisti ci rechiamo nel Palazzo del Ministero di Ambiente, Turismo e Antichità, presieduto da un esponentel KESK (partito verde del Kurdistan), Luqman Ahme. Dopo le presentazioni di rito si passa immediata mente alle questioni più scottanti ed è proprio Ahme che fa presente che fino al 1960 non esisteva nulla di paragonabile ad una qualche preoccupazione per l’ambiente, ognuno buttava, inquinava, stoccava, abbandonava rifiuti senza nessun tipo di limitazione, tanto meno per l’eventuale inquinamento dell’aria che trovava nella signoria del petrolio (e suoi derivati) a buon prezzo il primo motivo di inquinamento pesante. Cosa peraltro ancora rilevabilissima oggi, con percentuali di ppm (parti per milione) e di PM10 ben al di sopra delle normative europee o americane. Su questo, come su altro – purtroppo – la risposta è lapidaria «Sappiamo benissimo qual è la situazione in cui siamo costretti a vivere ma a queste condizioni non c’e’ oggi alternativa». E, anche qui, viene ricordato il 60 e passa per cento sistematicamente dedicato alla difesa e al potenziamento militare in genere. A questa situazione recente, dovuta alla guerra violentissima con Daesh, si aggiunge l’embargo della Turchia, per esempio per la fornitura d’acqua alla città di Qamislo, interrotto addirittura nel 1990. Le motivazioni erano allora legate, secondo Ahme, alla «necessità di intervenire per indebolire la resistenza dei combattenti kurdi all’esercito regolare turco, visto che questa – la zona di Al Jazeere era uno dei retroterra della resistenza». Da quel periodo si è continuato a cercare di recuperare acqua potabile e per usi industriali nei modi più disparati, il primo – e alla lunga il più sbagliato – è stato quello di costruire pozzi profondi anche sessanta metri in modo, purtroppo, poco più che artigianale, con il risultato di aver portato l’inquinamento della prima falda superfiale fino alla terza o quarta falda, visto che il sifone di perforazione non era dotato di doppia camera.
 
Inquinamento e piani ambientali
 
Proprio da questo argomento dell’acqua si passa a quello delle sostanze nocive disciolte nelle acque stesse con quantità di pesticidi e concimi al fosforo che farebbero saltare ogni rilevatore di un nostro qualsiasi laboratorio. In alcune zone, inoltre, è molto presente (e in aumento) il problema di forti quantità di idrocarburi disciolti nelle acque, situazione difficile da affrontare poiché la scarsa economia di Rojava non può permettersi di chiudere (anche solo per manutenzione) gli impianti di prelievo che, in alcuni casi risalgono agli anni Quaranta dello scorso secolo. Sempre riguardo l’acqua, tema di continua attualità in Rojava, anche per far fronte alla prevedibile penalizzazione derivante dai nuovi grandi impianti previsti in Turchia nella Valle del Munzur e nella zona di Hasankeif (con conseguente eliminazione di alcuni villaggi e sommersione di buona parte del patrimonio storico artistico di quell’antichissima città ) si è deciso l’impegno di fondi del Rojava (senza quindi aiuti esterni di banche o altri contributi) per la costruzione di un impianto idroelettrico di 100 ettari di estensione nella località di Hayaka-Sappha, con previsione di un progetto esecutivo comprensivo di Valutazione di Impatto Ambientale e concomitante impianto di circa diecimila alberi intorno alla diga stessa, divieto di caccia e pesca (con costituzione di un parco regionale specifico). Per noi una condizione minima, per chi vive in Rojava un primo passo verso un nuovo atteggiamento nei confronti di ambiente e beni comuni.
La domanda successiva ha invece riguardato la curiosa combinazione di deleghe che compongono le funzioni dell’“authority”. Anche su questo Ahme è stato chiarissimo: «Il nostro obiettivo finale è avere sicurezza, ambiente, aria e acqua pulite, bei posti e buona organizzazione, proprio per incentivare gli europei, i russi, gli americani stessi o chiunque lo vorrà a venirci a trovare qui in Rojava, perché sono veramente tante le cose che possiamo offrire».
 
Un grande patrimonio storico
 
Stimolato immediatamente su quali “cose” intendesse, è letteralmente fiorito: «Questo è un territorio, nei soli suoi tre cantoni da noi governati, che ha recensiti dall’ONU, tramite UNESCO, ben 1043 siti archeologici, dal periodo sumero-ittita fino alle prime presenze arabe certificate, quindi fino a metà del VII sec. dopo Cristo. Abbiamo almeno tre tipologie diverse di costruzione nelle case tradizionali, centinaia di varietà nei costumi e nei tessuti provenienti dalle tradizioni antiche, attività artigianali di grande livello nella lavorazione del rame, del vetro e della pietra. Il tutto, oggi è ben documentato da fotografie di scavi e documentazioni in microfilm (quando non è possibile conservare altrimenti i materiali) e nostri reperti sono al Museo di Damasco a quello di Erbil, a Soleymania e in molti altri punti espositivi».
Il problema è, riassumendo, che l’Authority è costretta a tenere segrete le ubicazioni, a spendere denaro per il rinterro e ad aspettare occasioni migliori per la valorizzazione. Viene anche fatto il nome di un illustre studioso italiano, il prof. Giorgio Baccellati che, con la sua équipe, è stato uno degli scopritori del sito degli Arii-Mitanni di Orkhesh (Girè Mozan). Su questo Ahme è molto sicuro: «Se ci fosse qualche associazione che ci aiutasse nel riprendere i contatti con le università europee (tre italiane) potremmo cominciare subito un’opera di rilancio (alcune informazioni possono essere reperite online http://www.academia.edu/4703069/Palmira_gli_anni_del_Mandato).
Stesso discorso, quello dell’appoggio ad associazioni o a Onlus europee, tramite gli strumenti offerti dal TEV-DEM, vale per i piani di avvio della raccolta differenziata nelle principali città di Rojava e nelle informazioni di supporto alla scelta di tecnologie idonee alla trasformazione dei rifiuti in biogas senza aumentare l’inquinamento già presente.
Dopo questo tour de force ci salutiamo con affetto con un impegno, per noi, riguardo la corretta divulgazione delle notizie offerte.

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