Alluvioni, la storia non insegna

Dal 1989 sono state censite 11.468 aree a rischio idrogeologico molto elevato che interessano il territorio di 2.875 comuni (oltre un quarto dei comuni italiani) in tutte le regioni. Ma ancora non si fa prevenzione
 
di Ugo Leone
 
 
Piove e l’Italia va sotto. Questa volta è toccato alla Campania: soprattutto alla provincia di Benevento.
Possiamo dire che è la solita storia anno dopo anno. Tra gli altri ce lo dicono i geologi quando, ricorrentemente intervistati, ci ricordano che in una terra come la nostra la natura, se maltrattata, risponde nel modo in cui sta rispondendo, come avviene ogni anno di questi tempi stagionali.
Qualcuno più avanti negli anni ricorda le alluvioni di Benevento (1949), di Salerno (1954), di Firenze e Venezia (1966), di Sarno e Quindici (1998 ) e via elencando avvicinandoci ai giorni nostri e sempre tra ottobre e novembre.
Questa annotazione serve per ricordare (la memoria va continuamente rinfrescata) che è autunno; in questo periodo piove; quando la pioggia è più abbondante fiumi e torrenti si ingrossano e portano più acqua i torrenti nei fiumi e i fiumi nel mare.
Questo secondo le regole della natura.
Poi, però, vi sono le sregolate regole umane. Quelle che hanno irreggimentato il corso di torrenti e fiumi in alvei innaturali e li hanno indirizzati in mezzo ad una selva di costruzioni che sottraggono suolo alla campagna dove qualche corso d’acqua più esuberante tenderebbe ad espandersi se ne trovasse la possibilità. Quando questa naturale possibilità non la trova esonda per le strade, nelle cantine e travolge tutto quello che trova lungo la strada.
 

Dalla prevenzione più vivibilità e più qualità della vita
 
È così che vanno le cose anno dopo anno.
Per i più giovani, quelli che non c’erano alle date delle “ricorrenze” che prima ricordavo vi è, comunque, un modo di ricostruire la storia. È quello di andare in emeroteca e sfogliare la raccolta dei quotidiani anno per anno di questi tempi.
È un modo di ricostruire la storia attraverso le cronache. Che sono, generalmente, cronache di danni, morti, feriti. La storia. La storia che, ci hanno insegnato sin dai primi livelli scolastici, è magistra vitae. Maestra? In realtà non ha insegnato proprio niente: certamente a chi non sa o non vuole imparare.
Per esempio per sapere che dal 1989 con il varo della legge n. 183 così come era avvenuto per il rischio sismico l’indomani del terremoto del 1980, si è provveduto ad individuare e perimetrare le aree a rischio idrogeologico e ad individuare le misure di salvaguardia di persone e beni materiali e i programmi di interventi urgenti per la riduzione di questo rischio. L’analisi ha consentito di individuare e perimetrare 11.468 aree a rischio idrogeologico molto elevato che interessano il territorio di 2.875 comuni (oltre un quarto dei comuni italiani) in tutte le regioni. Ai primi tre posti sono la Valle d’Aosta con il 20% del territorio esposto a rischio, la Campania con il 16,5% e l’Emilia Romagna con il 14,5% del territorio.
La Campania, molto più popolosa e densamente popolata della Val d’Aosta, è al secondo posto, ma non basta. Perché, come sappiamo, ci sono pure i terremoti e le eruzioni vulcaniche. Con una non trascurabile differenza nella ricerca delle responsabilità. Ed è che di terremoti ed eruzioni sappiamo che “certus an incertus quando”, mentre per alluvioni e frane certus est se e quando. Voglio dire che nel primo caso sappiamo con certezza che quei fenomeni si verificheranno, ma non abbiamo certezze sul quando. Nel secondo caso la certezza è sia sul verificarsi, sia sul quando, annualmente, ciò avviene.
Saperlo significa che esistono il dovere e la possibilità di prevenire una volta per tutte, vittime e danni materiali l’indomani di ogni pioggia più intensa del solito. Una prevenzione che, tra l’altro, comporta investimenti e gente che lavori per dare sicurezza e vivibilità al territorio e, quindi, migliorare anche in questo la qualità della vita.

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