Il silenzio del mare

Forse sarà banale, ma qualcuno di voi ha sentito par- lare del mare in questi ultimi tempi? Personalmente no. Ep- pure sono stato attento alla parola mare. Non intendo riferirmi a documentari o filmati che sicuramente sono stati trasmessi dalle tante emittenti che popolano l’etere, ma a notizie che riguardano il mare. La cosa in sé non dovrebbe preoccupare. Non tutti gli anni c’è uno tsunami a tenere banco e neppure tutti i giorni c’è un attacco di squalo o c’è da salvare un cetaceo in presa diretta. Petroliere non ne sono affondate, il livello dei mari sembra stabile e El Niño e la Niña sono solo all’orizzonte. Eppure il mare non se ne è andato. È lì, ai margini delle nostre terre, che respira al ritmo antico delle maree e ci racconta le sue storie, ora dolci ora terribili con il mormorio delle sue onde, quiete o di tempesta secondo la giornata. Il mare ci parla, ma come spesso accade non lo sentiamo e molti neppure provano a risentirne il rumore appoggiando l’orecchio a una conchiglia, splendido gioiello della natura anche se è quello di un semplice murice e non di una rara ciprea, magari un’aurantium. Forse per tutti noi è diventato un gioco da bam- bini, forse la spiegazione scientifica del fenomeno ha distrutto la poesia di un tempo e non abbiamo più qualche minuto da perdere ad ascoltare, timorosi di perdere l’ennesimo squillo del nostro cellulare che ci permette, quello sì, di comunicare. Eppure il suono esiste perché c’è il silenzio, quella pausa minima o lunga che separa due parole e le rende intelleggibili così come la contrapposizione del bianco e del nero permettono a voi di leggere questi pensieri. Il mare parla ed è silenzio. Forse in questo stesso istante si sta preparando a dirci qualche cosa e gli oblò di Pianeta Azzurro servono anche a questo, a ricordare, anche quando del mare non si parla, che lui oppure lei (il mare è femminile in molte lingue e culture) è più vicino di quanto crediamo, pronto a dare o a ricevere, immenso e antico quasi quanto la Terra, un motivo per ripensare in chiave ecologica alla famosa “scommessa” di Pascal che assomiglia moltissimo al cosiddetto “principio di precauzione” che altro non è che quello che un tempo eravamo soliti definire, semplicemente, buon senso. 

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