Da ScalaMercalli le sollecitazioni più importanti

In un giro del mondo in sei puntate su RAI 3, l’encomiabile tentativo di Luca Mercalli di risvegliare le coscienze e di indicare la strada migliore per affrontare le sfide del problematico rapporto società umane-pianeta, proprio come aveva fatto decenni fa il Club di Roma con il celebre rapporto del 1972

 

di Pierluigi Cavalchini

 

“Ce la faranno i nostri eroi a invertire una tendenza che sembra impossibile da fermare?” È questa la domanda sottesa alle trasmissioni centrali del programmone in sei puntate del metereologo Luca Mercalli che, come sempre, cerca di dare informazioni, fornire dati, far vedere immagini, far capire che il tempo è poco, bisogna agire al più presto, altrimenti…

Ecco, è proprio su questo “altrimenti” che – in realtà – divergono le interpretazioni e, di conseguenza le reazioni. Che il cambiamento sia in atto, che sia prossimo al punto di “non ritorno” (o che forse l’abbia già superato) è presente a tutti e non c’è nessuno (tranne qualche tristo “bastian contrario”) che lo nega.

I problemi, anzi le miriadi di problemi, sorgono quando si vuole cercare qualche soluzione e, anche in buona fede, si cominciano ad evitare le questioni più spinose cercando conforto in un “amarcord” inutile e pericoloso.

L’impatto d’apertura della trasmissione di sabato 14 marzo è di quelli che fanno accapponare la pelle: visioni di enormi ghiacciai in disfacimento, di danni incalcolabili assestati alle nostre montagne che, si capisce da centinaia di riferimenti, per riavere una copertura simile a quella di inizio secolo dovranno aspettare quattro o cinquecento anni. In cui, beninteso, tutti “facciano i buonini” e con la coda fra le gambe provino ad aggiustare quel che possono. Si vede il ghiacciaio alpino dello Chardonnay che scomparirà entro trent’anni, lo stesso per il Monte Rosa o il Cervino, ma sono solo alcuni fra i tanti citati. C’è il tempo pure di far vedere l’”Uomo di Similaun” un esempio di cacciatore – raccoglitore dell’età preistorica (di quasi cinquemila anni fa) che è stato “scongelato” proprio a causa del riscaldamento globale ed ora deve stare in una teca (in un museo a Bolzano) a meno quattro gradi, pena la completa dissoluzione. Un fenomeno che riguarda l’Antartide, le Ande, le Montagne Rocciose, il “permafrost” siberiano, le stesse catene di Himalaya e Karakorum. Un danno enorme che tutti fan finta di non vedere.

 

Drammi sottovalutati

 

E se si sciolgono i ghiacci il primo risultato è l’innalzamento dei mari con variazione di correnti e salinità accluse. Un altro dramma che stiamo sottovalutando ma che, insieme al riscaldamento delle acque – ormai generalizzato – che sta portando ad alterazioni profonde un po’ tutti i mari, è quello delle specie non autoctone che portano ad alterazioni irreversibili nei vari cicli vitali, Sempre nel corso della trasmissione ci viene ricordato che stanno morendo i coralli di mezzo mondo, stanno cambiando le stesse faune ittiche se non addirittura prossime all’estinzione o, meglio, verso la sostituzione ad opera delle onnipresenti meduse.

Su questo ci viene in aiuto (… è uno degli ospiti più presenti nei programmi di Mercalli) lo zoologo marino Ferdinando Boero che, senza giri di parole, ci ricorda “quanto siamo cattivi”, anzi – per essere più chiari – “quanto siamo incoscienti”. Il mare è la componente base del nostro pianeta, danneggiarlo porta automaticamente ad una serie di problemi per noi.

Quasi senza accorgercene il buon Luca ci porta a Dacca in Bangladesh, quello che una volta era il Pakistan orientale e prima ancora parte integrante dell’enorme “English Empire”. Qui i problemi sono molti e stratificati; dall’avanzamento degli oceani, alla salinizzazione delle terre (le mitiche “Sunderbounds” di salgariana memoria), all’organizzazione dei servizi primari, difficoltosi quanto mai in presenza di un aumento continuo di popolazione. E da buon seguace dei principi del “Club di Roma”, Mercalli non manca di mettere in luce l’importanza della limitazione delle nascite, quasi di una loro razionalizzazione, possibilmente non coercitiva (giustamente vengono criticati gli esempi nefasti della Cina e della vicina India). Sia il Bangladesh che lo Sri Lanka in questo si sono mostrati “moderni” e accorti e, di fatto, hanno vinto con la convinzione e l’esempio la loro guerra all’eccessivo numero di nascite. Che significa, bocche da sfamare, scarsa scolarizzazione, lavori saltuari, emigrazioni forzate e, a volte, incremento della malavita.

Artefice, fra gli altri, di questo piccolo miracolo è stato (ed è) l’economista Moustafa Yunus, punto di riferimento per chi chiede piccole sovvenzioni e per le associazioni che fanno informazione e cultura in questi territori lontani ma, in realtà, molto più vicini e collegati a noi di quanto vorremmo pensare.

Luca Mercalli prova, nel suo encomiabile tentativo di “risveglio delle coscienze” a presentare figure femminili importanti che hanno fatto della “condivisione” e della “autolimitazione” una ragione dei vita. Proprio con una di queste giovani autrici (Serenella Jovino) prova a ricordare i capisaldi della scienza ecologica ed i principi sani dell’ambientalismo. Così si rievocano la Rachel Carson del basilare “Silent Spring” del 1961, come pure vengono riprese le tesi di una delle fondatrici di Legambiente Italia: Laura Conti.

Buona conclusione (e, in un certo qual modo un collegamento con la successiva puntata del 21 marzo) la visita nello studio di Stoccolma ai due studiosi (Rockstrom e Strand) che sono considerati fra i primi ad aver recuperato le antiche tipologie di costruzione”tradizionali” in senso sostenibile. Gran chiacchierata, pacche sulle spalle, impegni a rivedersi e, lasciatemi dire, alla fine sempre un po’ di amaro in bocca perché basta aprire la porta finestra del salotto per rientrare nella triste normalità.

 

Puntate spettacolari

 

Altrettanto spettacolare – ma sicuramente ne avrebbero volentieri fatto a meno i curatori – l’inizio della quarta puntata. Questa volta i protagonisti sono gli uragani, i tifoni, i tornado, secondo le zone del mondo dove vanno a manifestarsi. Fenomeni che ci sono sempre stati, è vero, ma che da un po’ di tempo hanno preso una piega tutta particolare che, di solito si porta dietro morte e distruzione. Viene citato, e ampiamente documentato, ciò che è successo a Yu Yao presso Shanghai nell’ottobre del 2013, come pure si è dato il giusto spazio all ‘uragano degli uragani” quel Katrina che ha cambiato per sempre i connotati ad una città unica e meravigliosa come New Orleans. I numeri sono quelli che già conosciamo per averli più volte provati sulla nostra pelle qui in Italia: “Assurdo. In un solo giorno 500 millimetri di pioggia…quanto normalmente ne cade in un anno”. E poi, ancora “nessuno ci ha avvisato di nulla…ci siamo dovuti arrangiare…e i morti sono stati tanti, troppi”. Potremmo aggiungere che l’allarme è stato dato solo “il giorno dopo” e che solo la buona volontà delle città cinesi vicine ha permesso (alla già citata Yu Yao) di venirne fuori. Addirittura, e qui si rasenta il ridicolo se anche questo passaggio non fosse ben conosciuto dalle nostre parti, si è atteso il via libera (sessanta ore dopo il disastro) da parte delle autorità militari per fare uscire dagli “hangar protetti” gli enormi anfibi “Dong Feng” che da soli avrebbero sicuramente portato giovamento e, forse, salvato vite umane. Ma, a quanto pare, ogni Paese ha le sue contraddizioni e, di fatto, abbiamo fatto il callo anche a questo sperando sempre che – dati i cambiamenti climatici – debba capitare a qualcun altro.

Tre video in serie ci portano ancora più addentro a questi fatti di cronaca che, se visti tutti insieme ed in sequenza, ci fanno capire quale sia la vera situazione che ci troviamo a fronteggiare. Sto facendo riferimento al breve flash sul “Vathnayokull” islandese che è stato distruttivo ma ben contenuto dal locale sistema di protezione civile, al documentato “promotional” sulla FEMA americana, La Federal Emergency che ha fatto scuola in tutto il mondo per professionalità, mezzi e prontezza di intervento anche se sono i primi loro a dire che bisognerebbe sempre intervenire a monte e non a cose avvenute. Già. Parole sante, riprese immediatamente dopo nello “spezzone” Rai riguardante le ripetute alluvioni di Genova. Le cause, in questo caso, vanno ricercate nella struttura della città che negli ultimi cento anni ha portato ad un costipamento tale da non permettere più ai fiumi (specie a Bisagno e Polcevera) di avere i loro sfoghi in condizioni di naturalità. E anche qui a imprecare, a segnalare danni, a chiedere la testa di questo o quello ma, poche volte , portando il discorso sul livello più proprio, quello delle cause e – soprattutto – quello della globalità dei fenomeni stessi. Anche qui si ha l’impressione che vinca lo “stellone” e …”speriamo che capiti a qualcun altro”.

Il nostro meteorologo chiude, infine, con uno sguardo alla civile Olanda, allo Zuider Zee e zone vicine, facendo presente che con la minaccia delle acque questo popolo è abituato a convivere da centinaia d’anni. E i risultati, seppure localizzati, si vedono. Qualsiasi emergenza, anche la più catastrofica, viene segnalata e affrontata in modo opportuno, salvando prima di tutto le vite umane e ponendo attenzione poi ai beni comuni e all’insieme delle opere realizzate. Il tutto con un’attenzione naturale, non forzata, alla sostenibilità e, se possibile, all’integrazione con il bel paesaggio del “ polders”.

Per non terminare con un arrivederci ai prossimi appuntamenti… però, è il caso di provare ad affrontare l’insieme dei problemi messi sul tappeto da un altro punto di vista, quello dei decisori. Da questo punto di visuale diventa importante l’appuntamento di fine anno 2015 con il COP 21 e con tutto quello che potrebbe andare a significare.

 

 

In vista di COP21. Parigi dicembre 2015

 

Come è universalmente noto, le trattative internazionali su questo particolare fenomeno che va sotto il nome di “cambiamento climatico” sono aumentate sempre di più – in termini di frequenze e di contenuti – a partire dal primo grande meeting sull’argomento, quello di Rio de Janeiro del 1992. Dopo l’ufficializzazione del “Protocollo dei Kyoto” del 2005, di cui sono ben noti i pregi .- sulla carta – e gli ostacoli nelle realizzazioni, ha sempre più preso piede una visione “articolata” e di lungo termine, che va sotto il nome di Bali plan del 2007, essendo stata pensata durante quell’appuntamento di quasi dieci anni fa.

Un tipo di approccio che si è sostanzialmente mantenuto nella Conferenza di Copenhagen del 2009 con l’obiettivo dichiarato di “contenere” il riscaldamento termico entro i 2 gradi C rispetto ad una “situazione pre-industriale”, volendo usare la definizione “ufficiale”. L’appuntamento di Cancun del 2010 ha, infine, stabilizzato e concretizzato in qualche modo ciò che era stato prefissato con la creazione di un “Fondo verde per il Clima” collegato ad uno “Studio per tecnologie di attenuazione” che si è dimostrato abbastanza efficace. L’intenzione di agire collettivamente e di ricercare l’obiettivo dei +2 gradi percentuali si è tradotto nella creazione nel 2011 della ADP “Piattaforma di Durban” che ha proprio come intento prioritario quello di far riunire insieme tutti i Paesi tradizionalmente definiti come “sviluppati” di concerto con quelli “in via di sviluppo”, al fine di lavorare per un “protocollo” comune. Sostanzialmente si dovrebbe trattare di uno strumento giuridico o di una qualche forma di Statuto che abbia caratteristiche e vincoli di legge”.

L’obiettivo, come è evidente, è di portarne l’attuazione in tutte le aree dove è riconosciuta la Onu Climate Convention o almeno tentare quello che per molti è solo un “sogno da ecologisti” .

 

Di conferenza in conferenza, il tempo passa

 

Interessante la definizione perentoria utilizzata alla fine dell’ultima conferenza COP del 2013: “Il nuovo strumento dovrà essere adottato a partire dal 2015 e si troverà ad operare a pieno regime nel 2020”. Questo dovrebbe essere il punto di partenza di “Paris dec. 2015” che si appresta a diventare uno snodo cruciale anche perchè la recente Conferenza di Doha (2013) ha reso possibile il pieno coinvolgimento di nuove Nazioni prima refrattarie ad ogni idea di regolamentazione, accettando un periodo di “prova”, in pratica di “compatibilita’” con quanto ciascun Paese ha espresso in termini di scelte economiche e di strategie di protezione.

Sempre dal punto di vista storico e giusto per inquadrare meglio i fatti sarà utile ricordare che la “Conferenza di Varsavia”, sempre del 2013, ha posto le basi per giungere ad un “accordo universale” che dovrebbe – finalmente – realizzarsi a Parigi. Addirittura si è arrivati al punto di richiedere (con tanto di firma di impegni) la possibilità di avere una documentazione chiara riguardo le emissioni di varie tipologie di gas che saranno poi analizzate in sede di Conferenza sulla base di criteri comuni (in modo specifico per i primi sei mesi del 2015).

La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la COP21 o CMP11 si svolgerà a Parigi, in Francia, entro la fine di questo anno . Si terrà presso Le Bourgetsite dal 30 Novembre al 11 dicembre 2015. [ 1]. Si tratterà della sessione annuale della Conferenza delle Parti (COP 21) della cosiddetta Convenzione Quadro delle Nazioni Unite del 1992 sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC). Sempre nella stessa occasione si svolgerà l’ 11° sessione della Conferenza delle Parti (CMP 11) per il Protocollo di Kyoto del 1997. [ 2]

La conferenza si propone di raggiungere un accordo giuridicamente vincolante (a livello mondiale ) sul clima, con riconoscimento ufficiale firmato e sottoscritto da tutte le nazioni del mondo. La Leadership dei negoziati deve ancora essere determinata., anche se non dovrebbe essere il problema fondamentale.

Ban Ki-moon e addirittura il Santo Padre papa Francesco hanno – di fatto – indirizzato l’attenzione verso questo del 2015 con diversi accenni e riferimenti più o meno diretti. Per esempio una dichiarazione fatta da Ban Ki-moon appena prima del vertice sui cambiamenti climatici che si è tenuto a settembre 2014 (di fatto propedeutica alla successiva conferenza di Parigi di dicembre) evitando, però, di fare riferimenti alla Conferenza di Lima di metà 2014, conclusasi con timide apertura ed impegni ancora molto superficiali [ 3]. Motivo per cui, come si dice, si è glissato.

Secondo il comitato organizzatore, l’obiettivo della conferenza è quello di realizzare, per la prima volta in oltre 20 anni di negoziati ONU, un legame universale basato su di una convenzione sui cambiamenti climatici sottoscritto (e rispettato) da tutte le nazioni del mondo. [ 4]

Le convinzioni dei vari organismi ONU cominciano ad essere univocamente tese a finalità comuni, e già questo si puo’ considerare un risultato, anche se – in linea con la Conferenza di Lima, ancora “troppo superficiale” .

L’obiettivo principale della Convenzione, ambiziosissimo, è quello di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra per limitare l’aumento della temperatura globale di 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali. [ 6] . E’ utile ripetere il concetto perché, nonostante il dispiegamento di scienziati, tecnici e mezzi, i risultati tardano a venire e, sistematicamente, ad ogni Conferenza si trova una scusa per rilanciare e rimandare a Duemilae….l’eventuale soluzione. Una via difficile, paragonabile all’aspro itinerario propostoci nella famosa parabola evangelica o nell’altrettanto difficile percorso – addirittura nell’aldilà – intrapreso da quel grande personaggio che fu Dante Alighieri.

 

L’Irlanda alle prese con un passaggio cruciale

 

Oltre a servire da ispirazione per gli Americani quando si celebra il giorno di San Patrizio, l’Irlanda è nota come “Isola di Smeraldo” per i suoi verdeggianti paesaggi, per le dolci colline, e anche per la speranza che si può trovare in ogni irlandese di voler mantenere pulito e gradevole il proprio territorio.

Ma diversi fattori geografici e politici potrebbero creare problemi per l’isola ex Britannica , soprattutto in merito al possibile livello di sostenibilità. Un altro elemento di complicazione è lo storico attrito fra Irlanda del Nord (protestante filo inglese) e l ‘EIRE , o Irlanda con capitale Dublino, a forte maggioranza cattolica e con un forte spirito di indipendenza.

Nonostante ciò l’Irlanda sta dando una svolta alla sua politica energetica sia per i grandi impianti che per le piccole utenze, anche private. Ha fatto scalpore il suo impegno unilaterale per abbandonare – sì proprio “abbandonare” – ogni dipendenza dalle energie fossili come carbone petrolio e gas (in ogni loro forma) puntando tutto (dall’inizio alla fine delle produzioni di beni fino alle modalità di consumi) sulle varie forme di energie pienamente rinnovabili (soprattutto vento, idroelettrico e maree).

Infatti, da quando ci si è accorti degli effetti del “cambiamento climatico” ci si è resi conto dell’impossibilità di confinarlo in aree precostituite – tanto più in una piccola isola come l’Irlanda – anzi, sia Dublino che Belfast si sono rese conto di trovarsi a che fare con un elemento di grande pericolosità e di difficile previsione. Per questo motivo è ancor più significativo l’atto portato avanti da entrambi gli Stati dell’isola e che ha trovato la concretizzazione nel Market-Renewable-All-Island project . Un accordo che impegna l’Irlanda e l’Irlanda del Nord, a perseguire un “approccio armonizzato per le energie rinnovabili che tenga conto della produzione e distribuzione di energia, della sostenibilità e della competitività economica rispettando tutti i portatori di interesse.” (7)

E’ da ricordare inoltre che l’Irlanda è uno dei Paesi meno autosufficienti – dal punto di vista energetico – al mondo. Infatti, come avviene per molti Stati, tra cui l’Italia e il Giappone, circa il 90 per cento della sua energia proviene da importazioni, secondo i dati delll’autorità per l’Energia Sostenibile dell’Irlanda (Associated SCAI). Questa dipendenza dalle importazioni di energia ha stimolato sia la società civile irlandese che la sua classe politica ad impegnarsi sul serio per un rilancio ambientale ed economico.

L’Irlanda e l’Irlanda del Nord hanno, così, stabilito obiettivi per generare il 40 per cento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili con “step” credibili da mettere in pratica entro il 2020. Primo passo verso l’autonomia assoluta da raggiungere entro il 2100. Per raggiungere questo obiettivo, vi è lo sforzo di tutti, in qualche modo facilitato dai venti che sferzano l’isola; gli stessi venti che aiutano a mantenere l’ aria pulita e che da sempre caratterizzano il paesaggio irlandese.

 

Realizzare l’Irlanda

 

Nell’European Wind Atlas l’area con la maggiore presenza continua di venti, con la conseguente possibilità di poterne utilizzare gli effetti, segnata con azzurro profondo sulla carta è proprio la parte centrale dell’isola con alcune punte nelle fasce marittime, quindi tendenzialmente idonee per installazioni.

In Irlanda, i tassi di penetrazione dell’energia eolica (giorni complessivi di vento diretto per anno) si aggirano intorno ai 20 per cento annuo – uno dei più alti del mondo. Dal solo inizio dell’anno 2015 l’energia eolica ha raggiunto un terzo di tutte le domanda di energia elettrica da parte dei consumatori in Irlanda, dice il Irish Wind Energy Association andando a sostituire quantità di carbone e derivati del petrolio pari a 3 miliardi di sterline.

E questa grande redditività economica non è sfuggita alla vicina Inghilterra che sta prendendo accordi con le Utilities interessate agli impèianti irlandesi proponendone nuovi lungo la costa del Galles e nel Nord della Scozia. (8)

Un movimento di denaro, e prima ancora un graduale e sempre più forte interesse per le maree data la resa oggettiva degli impianti dislocati in più punti della costa (che trovano nella prima grande centrale di Rance in Francia un precursore importante) stanno portando l’opinione pubblica ad interessarsi sempre più di questa particolare fonte.

Secondo Associate SCAI, uno dei primi studi concernenti l’energia delle onde risorsa si è verificato che anche per i flussi ondosi le coste dell’Irlanda sono particolarmente fortunate: movimenti continui, di forte entità, con fondali medio-profondi, con la possibilità di installare impianti a filo d’acqua o entro i 15 – 20 metri sotto la superficie.

Per l’energia solare il discorso è più complesso in quanto si sono elaborate tecniche di “moltiplicazione di irraggiamento” grazie al posizionamento degli edifici e alle coperture esterne, sia dei tetti che delle pareti. Qui si è anche intervenuto molto sull’architettura tradizionale che fa dei tetti in erba e muschio e delle strutture massicce dei muri uno dei leit-motif di fondo.

 

Le basi del riscatto “verde”

 

Notissime sono le vicende dell’Irlanda a metà XIX secolo con ripetute epidemie, carestie (derivate soprattutto dalla patata a monocoltura) e conseguenti emigrazioni che hanno portato da una diminuzione fra 1800 e 1900 di circa il trenta per cento della popolazione. Ora è diverso. L’Irlanda, sia nelle sue grandi città che nei centri minori è diventata un elemento di forte attrazione anche per i giovani e, soprattutto, per grandi “firme” quotate nei vari centri finanziari mondiali

La doppia potenzialità (derivata da buoni collegamenti via aereo / mare e da detassazioni sugli oneri) come pure la possibilità di impiantare aziende o segmenti di azienda con facilitazioni bancarie e finanziarie hanno portato in questa parte d’Europa giganti come Google, Apple, Amazon e eBay.

Oltre che essere diventato un centro specializzato nell’high tech utilizzato – tramite internet – un po’ in tutto il mondo vi sono alcune specificità, specie a partire dal 2012 , che rendono queste aziende particolarmente interessate alle performances ambientali, alle tecnologie di rilevamento di fumi e inquinanti aerei, di tecnologie legate al controllo e alla valutazione delle acque.

Il legislatore Irlandese attualmente sta valutando un’ampia azione per il clima chiamato “azione per il clima e a bassa emissione di anidride carbonica entro il 2015 “ che definisce un piano nazionale di transizione dell’Irlanda verso un basso tenore di emissioni di carbonio, con un tipo di economia (con le conseguenti scelte di politica economica) che la renderanno pienamente “sostenibile” dal punto di vista ambientale a partire dall’anno 2050.

La legislazione prevede la preparazione di “Piani” di cinque anni che andranno a specificare il modo in cui le emissioni nazionali di gas serra saranno ridotte, in linea con i requisiti legislativi dell’Unione europea e gli impegni internazionali assunti nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC).

La legge è progettata in modo da fornire il quadro istituzionale necessario per consentire la rielaborazione del l’economia irlandese con basse emissioni di carbonio nei prossimi quarant’anni e oltre,” ha detto Alan Kelly, ministro irlandese per l’”Ambiente, Comunità e Governi locali”, in un recente discorso. “La mia visione dell’Irlanda è per la competitività, socialmente orientata e con un’economia fondata sulla sostenibilità.”.

Ovviamente l’Irlanda, anzi – per essere precisi – le due Irlande saranno insieme a Parigi per perorare la tesi della “necessità del limite”, del – se vogliamo – “mettersi una mano sulla coscienza” prima che sia troppo tardi. Proprio il 13 marzo scorso a Dublino lo stesso Kelly si è detto preoccupato “per le vicende internazionali legate a prevaricazioni, terrorismo e violenza” (11) che rischiano di mettere in secondo piano gli sforzi per una vita ed un ambiente migliore.

 

 

Note

 

(1). La Francia si è confermata come “ospite” della Conferenza sul clima che si terrà entro il 2015 (22.11.13 )

(2). 19° Sessione della Conferenza delle Parti della convenzione UNFCCC”. Istituto Internazionale per lo sviluppo sostenibile. 20 febbraio 2013.

(3). “Dichiarazione di Ban Ki-moon al Forum Economico Mondiale di Davos”. Nuovo Centro delle Nazioni Unite. 31 gennaio 2014.

(4). “problematiche e motivi dietro al francese offerta di ospitare la 21° Conferenza delle parti sui Cambiamenti Climatici 2015 “. Ministero degli Affari Esteri. 22 Maggio 2013. 31 gennaio 2014.

(5). “La Francia ha confermato per il 2015 Conferenza sul cambiamento climatico”. Ministero degli Affari Esteri. 22 Novembre 2013. 31 gennaio 2014.

(6). “Programma degli eventi”. Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. 12 novembre 2013.

(7). “Eye on nature” Michael Viney – Irish Associates 2010

(8). Global Ecology: Environmental Change and Social Flexibility , Vaclav Smil , 2008, Glasgow, BP editions

(9 . Cross-Sector Leadership for the Green Economy: Integrating Research and …

 a cura di Alfred Marcus,Paul Shrivastava,Sanjay Sharma,Stefano , 2003, Dublin, Harver

(10). Attitudes to the Environment in Ireland : “How Much Have We Changed between 1993 and 2002?

2007, Dr Mary Kelly , Department of Sociology , University College Dublin

(11). http://www.irishtimes.com/news/environment/a-surprise-2014-scenario-emerges-on-global-emissions-of-greenhouse-gases-1.2142731

 

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