Equità nell’ utilizzo della risorsa acqua

L’ONU dichiara che il diritto minimo di acqua  per ogni persona sulla Terra è di 40 litri al  giorno. Se si pensa che il consumo medio  giornaliero di un africano si attesta sui 10 litri, mentre ogni italiano ne consuma in media per le sole esigenze di  natura domestica più di 210 (l’equivalente di due vasche  da bagno), è subito chiara  l’importanza di pervenire a una maggiore equità nell’utilizzo di questa risorsa. Volete entrare ancor più nel dettaglio? In particolare ogni italiano consuma in media 40-50 litri di acqua per cucinare e lavare le stoviglie; dagli 8 ai 30 litri ogni volta che si tira lo sciacquone; 100 litri per ogni bagno nella vasca; 50 litri per ogni volta che si attiva la lavastoviglie e 170 per la lavatrice, mentre sono solo 2 litri quelli utilizzati per bere. Inoltre a questi consumi va aggiunto l’utilizzo di risorse energetiche per il riscaldamento dell’acqua. L’Enea ha calcolato che in un anno ciascuno di noi è responsabile della combustione di oltre 320 litri di petrolio sotto forma di docce e di 250 litri per la lavastoviglie. Ecco, allora, che anche i piccoli accorgimenti possono contribuire a grandi risultati: optate per la doccia piuttosto che per il bagno, fate funzionare lavatrice e lavastoviglie solo a pieno carico, non utilizzate l’acqua potabile per lavare la macchina ma attendete l’arrivo della pioggia. Lo sappiamo tutti ma nella pratica quanti di noi lo fanno?

Per approfondimenti:
Micro guida Acqua, per un consumo critico e responsabile, a cura di Franco Mori e del Gruppo di Acquisto Solidale di Pisa.

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Le acque minerali

Se si sceglie di consumare delle acque minerali occorre sapere che non sono tutte uguali, anzi le differenze tra l’una e l’altra possono essere sensibilmente marcate. Occorre dare uno sguardo attento alle etichette, non solo per capire se l’acqua è frizzante grazie all’aggiunta di anidride carbonica, ma anche da dove viene, quanti km ha percorso e quali dei 48 parametri di analisi di legge sono riportati in etichetta. Il valore del residuo fisso a 180° indica la quantità di sali minerali disciolti, sotto i 50 mg/L l’acqua è minimamente mineralizzata ed è indicata nell’alimentazione dei neonati, per gli ipertesi, per chi soffre di calcoli e favorisce la diuresi. Tra i 500 e i 1000 mg/L l’acqua è mediominerale e può essere utile agli sportivi che devono reintegrare sali minerali dopo attività fisica. Il sodio dovrebbe essere sotto i 20 mg/L per combattere l’ipertensione e la ritenzione idrica. I nitrati sono un parametro da tenere d’occhio, dovrebbero essere inferiori a 10 mg/L per l’alimentazione dei neonati e inferiori ai 45 mg/L per il consumo degli adulti. Le acque con calcio superiore a 150 mg/L (calciche) sono indicate in gravidanza e per chi soffre di osteoporosi, con ferro bivalente superiore a 1 mg/L (ferruginose) sono indicate per gli anemici, i lattanti e gli sportivi, con cloruro superiore ai 200 mg/L (clorurata) può avere effetti lassativi, con fluoro superiore a 1mg/L (fluorata) rinforza i denti, ma deve essere consumata con moderazione. In generale, l’acqua che beviamo deve rientrare nei parametri di legge, deve essere controllata, trasparente, microbiologicamente pura e consumata nelle giuste quantità. Il nostro consiglio? Rimane sempre lo stesso: usate quella del rubinetto!

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C’ è ancora una strada

Cominciamo con una buona notizia, una di quelle che portano a pensare che il diritto, la giustizia e il rispetto dell’ambiente non siano concetti astratti relegati nei digesti e nelle pandette. La Corte d’Appello del Botswana ha annullato la sentenza che negava ai Boscimani del Kalahari
l’accesso all’acqua nelle loro terre ancestrali. Sostenuti dall’appoggio di Survival International, in prima fila per la difesa della dignità e dei diritti di chi sembra non averne più, i Boscimani avevano fatto ricorso in appello contro  una sentenza della Corte Suprema del 2010 che impediva loro di accedere a un pozzo da cui dipendevano per procurarsi l’acqua. La giuria, composta di cinque giudici, ha sentenziato che: 

– I Boscimani hanno il diritto di attingere acqua dal loro vecchio pozzo, che il governo proibisce loro di utilizzare;
– I Boscimani hanno il diritto di scavare nuovi pozzi;
– Il comportamento tenuto dal governo verso i Boscimani è un “trattamento umiliante”;
– Il governo deve pagare i costi sostenuti dai Boscimani per ricorrere in appello.

Dopo questa premessa, passiamo ad altri problemi. All’inizio di marzo due giorni di pioggia hanno devastato le Marche lasciando lutti e distruzioni. Ma il clima, sconquassato, non fa che il proprio dovere, al contrario dell’uomo che non ha ancora compreso come aria, acqua,
terra, energia, e conoscenza siano risorse speciali, beni primari da cui tutto dipende e la cui fruizione richiede quindi attenzioni particolari e la cui gestione non può essere fatta applicando logiche di mercato. Nel settore acqua giungono le conclusioni del dossier Liberate i fiumi, presentato dal WWF con l’intenzione di sensibilizzare alla tutela, alla rinaturazione e alla valorizzazione dei nostri corsi d’acqua. Innumerevoli i mali causati dall’interferenza umana individuati: dalla canalizzazione e infrastrutturazione della rete idrografica, al consumo e all’impermeabilizzazione dei suoli, dalla distruzione della vegetazione naturale ai progetti di navigazione come ultima scusa per cavare sabbia e ghiaia dal letto dei fiumi, che poi vengono riempiti con discariche, fino all’impatto ambientale di agricoltura e florovivaistica.
Eppure qualche fiume in buono stato, tanto da aiutarci a capire che cosa potrebbe essere un corso d’acqua, c’è ancora e i sistemi per provare a invertire queste tendenze ci sarebbero. Ma, evidentemente, i principi del laissez faire sono duri a morire. Se i fiumi piangono, i mari non ridono. In Sardegna, una condotta di una centrale di Fiume Santo ha perduto migliaia di litri di olio combustibile, che si sono riversati in mare interessando un tratto di costa di una quindicina di chilometri. Nulla di paragonabile a quanto successo nel Golfo del Messico e forse per questo la notizia è passata quasi sotto silenzio in tutta la penisola. Ormai le catastrofi devono essere gravi e mortali perché conquistino il diritto di cronaca, preceduti da stragi, omicidi, malaffare politico e altri argomenti simili. Ci rimane l’aria, ma anche qui non va bene, lasciatevelo dire da uno che sfida incoscientemente tutti i giorni polveri sottili e PM 10. A Milano la situazione non è rosea, anzi, è nera direbbero i nostri polmoni e intanto i portafogli diventano verdi per una primavera anticipata dovuta a una multa che ci costerà, dicono, per la violazione della direttiva comunitarie, attorno ai 700 milioni di euro l’anno. Soldi che pagheranno anche gli abitanti dei più ameni e salubri paesini d’Italia.  E il clima? Il grande climatologo James Hansen, uno dei maggiori a livello internazionale, professore del Department of Earth and Environmental Sciences alla Columbia University e direttore del prestigioso Goddard Institute for Space Studies della Nasa, ha scritto Tempeste, un libro sul clima che stiamo per lasciare in eredità ai nostri figli – e forse anche a qualche generazione più in là. In queste pagine l’autore afferma: «credo che il maggiore ostacolo alla soluzione del problema del riscaldamento globale sia il ruolo del denaro nella politica, l’interferenza indebita degli interessi privati. Potreste dire :”Ma è impossibile fermare la loro influenza”. Sarebbe meglio non fosse così, ma le persone, e in particolare i giovani, dovranno essere coinvolti in modo più significativo perché gran parte diqu ello che i politici stanno facendo sul fronte dei cambiamenti climatici è puro greenwashing – e anche se le loro proposte sembrano buone, stanno ingannando voi e se stessi. I politici pensano che se un problema appare di difficile soluzione, il compromesso sia un buon approccio.
Sfortunatamente, la natura e le leggi della fisica non scendono a compromessi – sono quello che sono…». E, forse, è per questo – aggiungerei – che a detta di alcuni la cultura, quella cosa che non dà da mangiare, va ridimensionata o combattuta. Se non conosci, infatti, puoi credere a tutto quello che ti dicono. 
Insomma, a primavera sicuramente rivedremo rose e fiori, ma non so quanto dovremo gioirne. Però, a giudicare da come vanno le cose, l’ambiente non ha perso tutte le occasioni di far parlare e discutere su organi di stampa, televisioni e mass media. C’è ancora una strada a cui forse non avevamo ancora pensato e che non deve essere sottovalutata: facciamo sapere a tutti, gridiamolo nelle piazze che anche l’ambiente sta andando a puttane (e senza nessun impedimento).

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Idrosolidarietà

Conseguenze del cambiamento climatico sono da un lato la diminuzione delle precipitazioni nevose e dall’altro l’aumento delle piogge:
quello che ne deriva è una crescente incapacità da parte delle montagne di accumulare acqua, che a sua volta si manifesta con un aumento delle portate dei fiumi di inverno e una loro drastica riduzione in estate. Tutto ciò, oltre a conseguenze gravi sulla salute degli ecosistemi montani, comporta anche effetti economici e politici significativi. Secondo recenti studi di settore entro 40-50 anni, se non si interverrà con politiche adeguate, la produzione di energia idroelettrica diminuirà di oltre il 15% rispetto a quella attuale. Nel tentativo di mitigare questi effetti, numerosi sono gli istituti di ricerca, le università e gli enti pubblici che negli ultimi tempi hanno indirizzato la loro attenzione verso questa problematica. In particolare, un’iniziativa interessante è quella proposta nella dichiarazione di Megevè attraverso l’introduzione del concetto di “Idrosolidarietà”. Come dice il termine stesso, si tratta di una forma di sostentamento economico che le aree di
pianura sono invitate a fornire alle regioni di montagna per affrontare la sfida della gestione sostenibile delle risorse idriche. In sostanza, i cittadini e le amministrazioni pubbliche della pianura possono contribuire con una tassa per far sì che le Alpi, il serbatoio idrico d’Europa, migliorino con il tempo il loro stato di salute.

Per approfondimenti:
http://eauenmontagne.org
http://www.lemonde.fr/planete/article/2010/09/25

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L’ impronta idrica di produzione

L’impronta idrica di produzione è un indicatore relativo all’utilizzo delle risorse idriche nelle diverse nazioni e fornisce informazioni circa la domanda di acqua per lo svolgimento delle attività in un certo territorio. Quello che emerge dal calcolo dell’impronta idrica per tutti gli Stati con una popolazione maggiore di un milione di abitanti è che le diverse nazioni consumano volumi d’acqua estremamente differenti, con un conseguente stress idrico variabile da caso a caso. Attualmente, ben 45 Paesi sono caratterizzati da un livello di stress idrico tra il moderato e il grave. In questa categoria trovano collocazione i maggiori produttori di merci agricole: India, Cina, Marocco. Preoccupa il fatto che, senza l’introduzione di politiche adeguate di gestione delle risorse idriche, questo problema tenderà a crescere sempre più, in modo proporzionale rispetto all’aumento della popolazione e allo sviluppo economico. Secondo l’Unesco, nel 1995 erano circa 1,8 miliardi le persone che vivevano in zone sottoposte a grave stress idrico, mentre ci si attende che nel 2025 oltre due terzi della popolazione mondiale risiederà in territori caratterizzati da stress idrico tra il moderato e il grave. Da qui la necessità di intervenire, sia con politiche globali, sia
con la modifica delle abitudini del singolo cittadino. Se partiamo dal dato tale per cui una tazzina di caffè da asporto con latte presenta un’impronta idrica di 200 litri, emerge da subito come i nostri gesti quotidiani possano condizionare i grandi risultati.

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L’ acqua è sportiva?

Il tema che i curatori di queste pagine mi hanno suggerito per quest’anno è affascinante e mi riporta ai tempi in cui gareggiavo sulle piste di atletica, niente di particolare, anche se i ricordi sono belli e qualche medaglia me la sono portata a casa, soprattutto nei certami agonistici studenteschi. Ma non parlerò certo di quello che fu. Di quel periodo, però, mi sono rimasti i valori insiti nello sport: che si vince senza trucchi e che vince il più bravo. Per rompere il ghiaccio mi sono posto un obiettivo piuttosto ambizioso, provare a rispondere a una domanda sicuramente insolita: ma l’acqua è sportiva? Di sicuro lo è come elemento chiave di tutti gli sport, agonistici e non, che si possono definire acquatici, dal nuoto ai tuffi, dalla vela al canottaggio, per arrivare, se volete, alla pesca sportiva. Quanto alla domanda sopra, proverò a dare una risposta che vada oltre il semplice sì.
Per farlo dovrò scomodare il famoso barone Pierre de Frédy di Coubertin, conosciuto per essere il fondatore dei moderni giochi olimpici. A lui si deve il motto olimpico “Citius, Altius, Fortius!”, un’espressione in latino che significa “Più veloce, più in alto, più forte!”. Sì, bene, citazione interessante.

Ma l’acqua? Eccola! Rileggiamo il motto sopra citato. Non vi pare che si possa adattare anche all’acqua? L’acqua si muove e per definizione quando incontra la superficie terrestre cerca di raggiungere il piano (il vasto mondo degli oceani) seguendo le linee di massima pendenza, il che la porta a scorrere il più veloce possibile. Ovviamente, come nello sport ci sono acque più veloci e altre più lente, ma la competizione come la intendiamo noi all’acqua non importa. Il suo dovere è correre, chiudere il ciclo e questo fa. Più in alto? Di nuovo dobbiamo rifarci al ciclo dell’acqua che deve salire in alto, molto in alto, per passare dallo stato aeriforme o gassoso di vapor d’acqua a quello liquido.
Evaporando, infatti, l’acqua sale, sempre più in alto, nell’atmosfera per svariati chilometri, per poi ricadere sulla Terra sotto forma di pioggia o neve.
Dopo il “sempre più in alto”, l’acqua deve cimentarsi in prove di forza. E in questo compito probabilmente non ha rivali. La sua forza è colossale e l’uomo, che la subisce o la sfrutta, lo ha imparato a sue spese. Non sempre però ce lo ricordiamo o meglio, dato l’argomento che stiamo trattando, spesso abbiamo sottovalutato il nostro avversario con le ovvie conseguenze che questo modo di agire di solito comporta.
Forse se trattassimo l’acqua in maniera più sportiva, rispettandola cavallerescamente come si deve fare con gli avversari, finiremmo per guadagnarci. Ma in fondo, poi, perché considerarla un avversario? Pensiamola piuttosto come a un amico da sfidare lealmente in qualche competizione, magari convinciamola ad allearsi con noi, ad aiutarci come ha sempre fatto. Ne guadagneremo tutti.

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Il sale

Il cloruro di sodio, comunemente identificato con il sale, è per la maggior parte concentrato nei mari. Dall’evaporazione delle acque salate, durante le varie ere geologiche, si sono formati depositi di salgemma che variano da pochi centimetri a centinaia di metri.Disponibile e facile da lavorare ha un costo di produzione che si aggira sui 50 euro la tonnellata. Utilizzato in molti processi industriali, fa parte della nostra quotidianità ed è tra gli elementi integranti della nostra dieta. 
Usato nelle cucine di tutto il mondo come condimento per i cibi, svolge un ruolo fondamentale nei processi di conservazione. La sua capacità di attrarre acqua lo rende un conservante naturale eccezionale.
Il plasma sanguigno contiene lo 0,9% di cloruro di sodio, così come la “soluzione fisiologica” utilizzata in medicina. E se è vero che non possiamo vivere senza sale, va assunto con moderazione. Al giorno d’oggi dobbiamo tenere presente che alla maggior parte dei cibi lavorati ne viene aggiunta una quantità variabile, ed è facile abusarne senza rendersene conto.Una dose superiore ai 5 grammi al giorno può essere dannosa per il nostro fisico. Un’assunzione eccessiva di cloruro di sodio porta a un 
aumento della pressione sanguigna e a ritenzione idrica con possibili gravi conseguenze come ictus o problemi cardiaci. 
Quindi sale sì, ma solo un pizzico.
 

L’impronta idrica

L’acqua è una risorsa fondamentale per la vita, sia della natura che degli esseri umani. Ma la comunità scientifica ha un’idea esatta di quanta ne venga utilizzata ogni giorno in giro per il mondo? Alla domanda ha tentato di dare una risposta il professor Arjen Y. Hoekstra che, a questo scopo, ha messo a punto nel 2002 il concetto di “impronta idrica”. Si tratta di un indicatore che mira a quantificare il volume totale di acqua dolce utilizzata per produrre i beni e i servizi consumati da un determinato individuo, comunità o impresa. Il principio su cui si fonda è il fatto che gli impatti attualmente generati sulle risorse di acqua dolce presenti sul pianeta siano riconducibili principalmente al consumo umano. Le attuali problematiche di scarsità e di inquinamento delle risorse idriche possono essere quindi meglio comprese e affrontate considerando il processo produttivo di un bene nel suo complesso, andando a quantificare il reale consumo di acqua legato a ogni fase della filiera produttiva. Alcuni esempi? Secondo l’approccio dell’impronta idrica, la produzione di un chilogrammo di carne di manzo richiede 16.000 litri di acqua, quella di una tazza di caffè 140. Scopo di questa rubrica non è affrontare dal punto di vista scientifico il concetto di impronta idrica, ma partire dalla sua definizione per individuare spunti di riflessione. Quali comportamenti possiamo adottare ogni giorno per ridurre la nostra impronta? Quali azioni virtuose vengono intraprese nel mondo per migliorare la gestione delle risorse idriche? Quali sono, invece, gli esempi da condannare? Ne discuteremo sui prossimi numeri de il Pianeta azzurro, in uno spazio che vuole essere un momento di incontro e di riflessione sull’importanza dell’acqua dolce e salata, sulle sue modalità di utilizzo e gestione.

www.waterfootprint.org

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Il mal d’acqua

La disidratazione è uno stato di malessere causato da un insufficiente apporto di acqua e sali minerali, in pratica vengono introdotti meno liquidi di quanti ne vengono consumati dall’organismo. Ovviamente deve non deve essere sottovalutato specialmente nei bambini, negli anziani e negli sportivi. Le estati torride purtroppo causano numerosi decessi da disidratazione tra gli anziani, soggetti spesso debilitati che in più perdono progressivamente la percezione della sete. In caso di patologia intestinale vomito e diarrea portano ad una rapida perdita di liquidi causando un forte stress per l’organismo. In questi casi la terapia gold standard consiste nell’assunzione di soluzione salina, ne esistono vari tipi disponibili in farmacia e nel caso non sia possibile ingerire liquidi si viene sottoposti ad infusione di soluzione fisiologica da parte del personale medico. Ci è ben chiaro quanto sia importante bere, almeno 1,5 litri al giorno che possono diventare il doppio in caso di caldo o attività fisica intensa. Non tutti sanno che la percezione della sete è differente tra i vari individui è può modificarsi nel corso della vita o in particolari condizioni fisiche. Alcuni di noi avvertono uno stato di malessere, mal di testa, sonnolenza, ma non propriamente sete. Stanno emergendo evidenze scientifiche che la corretta idratazione può prevenire e addirittura curare la cefalea di alcune persone. Quindi se vi viene mal di testa provate a bere un bicchier d’acqua potrebbe risolvervi la giornata, male non vi farà di sicuro

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Tutti al mare con la Talassoterapia

La Talassoterapia è un trattamento benefico la cui azione si basa sugli effetti curativi del clima marino (dal grecoThalassa, mare e thérapeia, trattamento). Inventata nel XIX secolo in Bretagna viene praticata in molti centri benessere e località della penisola. Non esistono prove scientifi che che ne validano i vari utilizzi, ma è scontato che l’acqua di mare e il clima marino, in assenza di particolari patologie, sono un toccasana per il
nostro organismo. La Talassoterapia si è man mano differenziata in cure e applicazioni specifi che come la Balneoterapia, in cui i bagni di acqua di mare vengono effettuati a diverse temperature a seconda delle necessità. Vi è anche la semplice Climatoterapia, che possiamo eseguire passeggiando lungo le rive del mare associandola all’elioterapia. Possiamo cimentarci nell’Algaterapia o nella Peloidoterapia dove vengono eseguite applicazioni di alghe o fanghi. La Talassoterapia sembra portare giovamento a chi soffre di problemi circolatori, allergie, patologie infi ammatorie, patologie respiratorie, affaticamento e a chi vive un periodo di convalescenza. Certi del fatto che una bella gita al mare è più salutare di una passeggiata nel centro di una grande città, in caso di disturbi gravi è sempre meglio consultare il medico prima di effettuare una qualsiasi terapia di supporto. Per il resto buona Talassoterapia a tutti.

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