Nuove frontiere per l’energia nel mondo. Alle idee far seguire percorsi concreti

In margine al secondo appuntamento del sabato con il meteorologo Luca Mercalli
 
di Pier Luigi Cavalchini
 
 
Sabato 5 marzo c’è stata la seconda puntata del ciclo di trasmissioni ideate e curate da Luca Mercalli. “Scala Mercalli” ha avuto 1 milione 147 mila telespettatori (5.05% di share), seconda trasmissione più vista di RAI3 dopo il programma di Fabio Fazio. Pubblichiamo il commento di Pierluigi Cavalchini
 
Sta sempre più prendendo una piega “didascalica” e di informazione verità il programma ScalaMercalli che, ormai giunto ad un terzo del suo viaggio, punta sempre di più sull’evidenza dei dati e sulle testimonianze. Una scommessa importante che va assolutamente vinta e che deve contribuire a scardinare le incrostazioni che stanno condizionando questo periodo storico, chiaramente di transizione.
E proprio il termine “transizione” è stato usato a circa metà trasmissione dall’esperto energetico del CNR che ci ha ricordato come sia cambiata anche l’Italia in questi ultimi decenni: «Una ventina di anni fa la documentazione ufficiale dei nostri consumi (la bolletta elettrica) ci informava che la copertura era garantita per il 48 % dalle centrali a gas e per il 27 % dagli impianti di “energie rinnovabili”. Oggi abbiamo una situazione rovesciata con le rinnovabili – compreso il comparto idroelettrico – a oltre il 40 % e il resto – ‘fossili’ incluse – sotto il 25%». Ma il professor Armaroli (1) non si ferma qui e ci ricorda, a metà tra il compiaciuto e il meravigliato, che l’Italia è “ il Paese al mondo che produce più elettricità tramite pannelli fotovoltaici (ormai quasi il dieci per cento)”. Mentre l’“eolico” rappresenta il 13% complessivo, un discreto risultato anche se inferiore a quello dei paesi del Nord Europa (poco meno del 30% in Danimarca e Svezia).
Di qui un accorato appello affinché “ le rinnovabili “ siano il più possibile incrementate in termini relativi e generali a tutto vantaggio di un rendimento energetico ‘sostenibile’. Ricorda, in una serrata intervista cui lo ha sottoposto Luca Mercalli in diretta – studio, che alcuni importanti provvedimenti legislativi ci hanno messo in queste condizioni favorevoli. In effetti i numeri di “solare”, “eolico”, “geo-termico” ecc. , sono cresciuti molto rapidamente nei primi dodici anni del millennio per poi subire un brusco rallentamento. Ed è proprio il coautore di Energia per l’Astronave Terra a puntualizzare: “Ci sono da alcuni anni provvedimenti nazionali che stanno mettendo il bastone fra le ruote al migliore sviluppo delle rinnovabili” con una burocrazia che sta crescendo e rende le cose “più difficili”. Fa presente, a ulteriore conferma, che alcuni articoli di alcune leggi “omnibus” hanno una funzione retroattiva, andando a far pagare “quote” prima non dovute secondo le precedenti disposizioni. Conclude, affermando che “a partire dal 2016 chi consuma di meno non viene premiato, anzi viene penalizzato”. Un chiaro segnale dato al mondo della politica… approfittando della cornice privilegiata di “ScalaMercalli”. Arriva, in questo accorato ‘grido di dolore’, a riecheggiare uno slogan di moda: “Ce lo chiede l’Europa…” proprio in vista di incentivi alle ‘rinnovabili’”. Un appello che evidenzia una conoscenza approfondita della situazione italiana con lobbies dell’energia – ben inserite nei Ministeri – ancora legate alle risorse energetiche fossili e condizionate da ‘rendite di posizione’ e ‘resistenze al rinnovamento’. Il tutto in presenza di un vero “massacro occupazionale” che ha portato i lavoratori dell’impiantistica e delle produzioni legate alle rinnovabili – specie del settore solare – da centomila unità circa a poco più di ventimila in tutta Italia. “E nessuno dice niente”, chiosa sconsolato il prof. Armaroli.
 
Un messaggio forte
 
Questo messaggio “forte”, con una componente didascalica preponderante, ha caratterizzato tutta la puntata di sabato 5 marzo 2016, sempre su Rai Tre e sempre dalla sede FAO di Roma.
Dopo aver ripreso i punti fondamentali della questione (2) lo staff tecnico del programma si è lanciato in una serie di denunce del “non fatto”, del “potrei ma non voglio “ documentando ogni situazione con abbondanza di video e dati. Drammatici quelli che riguardano l’estrazione del carbone in West Virginia, importante Stato industriale esteso sulla catena dei monti Appalachi nell’Est degli Stati Uniti d’America. Qui si sta pagando duramente la “transizione” (rieccola) da una sistema di estrazione del carbone secondo metodo classici (con forte inquinamento e rischi per la salute) ad un nuovo metodo ancor più invasivo (addirittura con l’esplosione di cariche piazzate in prossimità delle cime delle montagne) con effetti terribili per gli abitanti, per l’aria, le acque e l’insieme del territorio. Si cita anche una “class action” portata avanti dagli abitanti di un piccolo paese nei pressi di Charleston ma con esiti da “Terzo mondo”, cioè con risarcimenti minimi e estremamente difficili da ottenere.
 
Devastazioni negli Usa
 
Anche se siamo nei civilissimi ‘States’ la gente ha paura di parlare, i pochi ambientalisti rimasti si sentono minacciati e si vive in una condizione di perenne indeterminatezza che conosciamo bene in Italia, date le nostre problematiche legate a inquinamento e rifiuti. Nota di contorno non secondaria: aiutano molto le musiche di commento, tra il “country” e il sound di Simon & Garfunkel o Ry Corder. Belle canzoni che ricordano l’America profonda, quella delle torte della nonna, delle vacanze di Natale passate in famiglia ma anche dei pub-snack bar (oggi più o meno presentabili) dove una volta si ricordavano la guerra del Vietnam o le manifestazioni contro le centrali nucleari (oppure contro la guerra stessa) e dove , oggi – invece – campeggia in bella vista una grande bandiera a stelle e strisce con l’invito all’incontro con il candidato Senatore dello Stato, con tanto di cappellone Benson e fucile (con famiglia e cane). I tempi cambiano…
Si cambia pagina e si arriva – con il fil rouge del carbone – in Cina. Nazione che, ancora nel 2016, è ben al 50% del consumo generale di carbone di tutto il mondo, con conseguente forte inquinamento dell’ecosistema locale e con effetti climalteranti drammatici per tutti. E’ vero, anche se non viene ricordato nella trasmissione, che vi sono timidi segnali di riconversione anche nel Paese della Terra di Mezzo, ma siamo ben lontani da un processo di revisione concreto e “visibile”.
 
Ritorno a Fukushima
 
Appena il tempo di esprimere qualche valutazione e via subito con le testimonianze dirette che ci “fanno capire” (di nuovo la funzione didascalica”) che non si può più continuare come abbiamo fatto in questi ultimi cinquant’anni.
Così ci si tuffa in una doppia occasione di riflessione su ciò che è stato il “nucleare di fissione” e su un – possibile – futuro fornito dal “nucleare da fusione di idrogeno”. La partenza, per questa parte, è fornita da una serie di immagine a forte contrasto che riguardano la stazione e più in generale l’abitato di Fukushima, città giapponese sull’Oceano Pacifico interessata dal tremendo tsunami del 2011 e dai conseguenti incidenti a catena negli impianti nucleari TEPCO. I dati che vengono forniti in trasmissione sono ancora generici ma, comunque, forniscono un quadro della situazione: parti di centrale definitivamente chiuse, centinaia di migliaia di persone “sotto osservazione”, mare “off limits” per chilometri, divieti di pesca e di transito o coltivazione in zone cintate, popolazioni allarmate che stanno gradatamente convincendo le autorità a chiudere al più presto tutto il sistema nucleare giapponese. Si tratta, d’altra parte, di una filiera di produzione che – col tempo – ha dimostrato gravi pecche (soprattutto per il confinamento delle scorie e per i costi di manutenzione e smantellamento).
Diverso il discorso per il “nucleare da fusione” che, almeno per quanto ci ha fatto vedere la trasmissione, si presenta ‘ancora’ con prospettive interessanti e, soprattutto, con maggiori garanzie di sicurezza e controllo. Qui ci permettiamo di dissentire con il taglio “positivo” dato alla presentazione del centro di realizzazione di un nuovo “superphoenix” a Caradache nel sud della Francia. Le tecnologie richieste per il confinamento del plasma (praticamente atomi di idrogeni riscaldati a temperature di milioni di gradi e proiettati a velocità incredibili) non paiono ancora sufficienti a garantire quelle sicurezze a cui si accennava, anche in presenza di nuovi superconduttori che dovrebbero mantenere il tutto in equilibrio grazie alle proprietà del magnetismo.
Comunque, per il momento, stiamo facendo riferimento a impianti “in fieri” e, per quanto riguarda il “nucleare a fissione” non andiamo comunque oltre il cinque per cento complessivo di energia erogata a livello mondiale. Un chiaro sintomo di sofferenza, visto che discutiamo di una tecnologia vecchia di sessant’anni.
 
L’idroelettrico
 
Diverso il ragionamento se andiamo a riprendere uno dei capisaldi della produzione di energia rinnovabile: l’idroelettrico. In trasmissione vengono ben presentati gli esempi – di grande qualità – dell’invaso idroelettrico del Chiotas nell’alto cuneese e l’innovativo impianto della val di Primiero in provincia di Trento. In entrambi i casi vi è una buona – e continua – produzione di energia elettrica tramite turbine alimentate da movimenti d’acqua, quella di Trento con l’aggiunta di un medio impianto di produzione energetica da ‘cippato di legna di scarto locale’ (sic) poi immessa in una rete di teleriscaldamento (di circa 40 km, tutto in valle). Ottima l’idea e, come sempre, di “garanzia” la specifica scelta idroelettrica. Resta una perplessità rispetto all’impatto della centralina a cippato di legna, di cui ci piacerebbe conoscere in dettaglio l’entità dell’inquinamento dei fumi in atmosfera oltre che le modalità di costruzione e di conduzione del forno. Ma sono fisime da ambientalisti e, proprio per questo, non andiamo oltre.
A coronamento di una trasmissione tutta presa dall’“energia” che, oltre che per i video e per le interviste, si è caratterizzata per la qualità e la varietà delle colonne sonore, vi sono poi i due “passaggi in positivo” che riguardano l’“economia circolare”.
Per la verità il primo, l’esperienza della città di Zurigo, teso a concretizzare la sostenibilità negli atteggiamenti e nelle abitudini dei cittadini, non rientra nella rubrica curata da Roberto Cavallo di cui tratteremo tra poco, ma a tutti gli effetti ne è una degna anticipazione. Infatti, nella vicina Svizzera si è riusciti a creare – con conferma fornita da apposito referendum – una realtà pienamente vitale e produttiva che abbisogna di soli 2.000 kwh annui da consumare pro capite invece dei normali 6.000 – in media – consumati dagli europei. Una autodiminuzione di piccole/grandi operazioni, evidentemente non fondamentali, che portano ad un consumo energetico di un terzo di quanto consumato prima. Giusto per avere un’idea, vengono anche ricordati i consumi di Stati Uniti (16.000 kwh/anno pro capite) e dell’India con meno di mille, proprio per avere la piena percezione di quale sia la nostra “impronta ecologica” su questa Terra.
 
Priorità da rispettare, parola di svizzeri
 
Al proposito i giovani architetti ed esperti svizzeri di “sostenibilità applicata” ci fanno un preciso elenco delle priorità da rispettare per raggiungere obiettivi significativi:
1. Efficienza (ridurre i consumi senza intaccare confort).
2. Sostituzione (cambiare petrolio e carbone con fonti rinnovabili nei momenti originali di produzione).
3. Sobrietà (capacità di consumare ciò di cui si può avere veramente bisogno).
E sulla base di questi semplici parametri si passa a qualche esempio pratico: “passare da un uso medio dei trasporti aerei di americani ed europei pari a 50 h annue attuali a solo 2 h” , proprio perché si ha la conferma del forte consumo di carburante da parte degli aeroplani. Stesso discorso vale per il passaggio da auto a treno passeggeri su un tragitto di circa 100 km. In questo caso si passa da 40 kg di CO2 dispersa in atmosfera contro solo 1,4 kg in caso di uso del treno. E ancora: “acquistare prodotti locali e di stagione riduce da cinque a dieci volte il consumo di energia e la produzione di scarico di gas serra”. “Una volta a settimana “ viene raccomandato il consumo di carne o pesce, non di più. E ancora: “Privilegiare l’acqua dell’acquedotto rispetto a quella in bottiglia” e, cosa da analizzare con un po’ di attenzione “sempre positivo l’utilizzo del “pellets” per il riscaldamento delle case”. Ci viene anche ricordato che il consumo imputabile alla condizione di stand by degli apparecchi elettronici (in tutta la Svizzera) è pari alla produzione annuale della centrale nucleare di Mullenberg (della potenza di circa un Gigawatt elettrico). Anche per le costruzioni , sia nuove che antiche, vengono offerte consulenze e forniti suggerimenti per migliorare le performances energetiche. Il tutto, quasi per rispondere alle preoccupazioni del ricercatore del CNR di Bologna citato in apertura, “sempre con incentivi specifici delle autorità nazionali, cantonali e comunali”.
 
Infine, a Bergamo
 
Infine, come vero e riconosciuto esempio di “economia circolare” ritroviamo Roberto Cavallo nella località di Comun Nuovo in provincia di Bergamo alle prese con uno dei centri di recupero dei metalli meglio organizzati della Lombardia. Negli ultimi quindici minuti di ScalaMercalli ci vengono, così, presentati i vari percorsi presi dai metalli ferrosi (ripuliti, sminuzzati e pronti per la rifusione in fonderia) e dalle varie confezioni o prodotti in alluminio. Si tratta, ancora una volta, di un servizio essenziale che permette il risparmio di milioni di euro (evitando nuove estrazioni di bauxite in miniera e recuperando tutto ciò che è possibile). In tal modo si arriva con facilità alla produzione di barre di alluminio adatte per qualsiasi necessità, passando per la fase di pulitura dei pezzi, di fusione a 700 gradi e di confezionamento finale. E’ proprio il direttore dell’impianto che ci ricorda che “con cinquanta lattine si può costruire un elemento nuovo, perfettamente finito, di un termosifone in alluminio”. Con buona pace di chi afferma che “è tutto uguale…”, “tanto tutto finisce nel calderone delle discariche…”. Per fortuna non è così. E ciò ci basta per quanto riguarda l’applicazione dei principi dell’“economia circolare”, mai .- come in questo caso – messi a frutto in modo completo e corretto.
 
(1)  Nicola Armaroli, è Dirigente di Ricerca presso l’Istituto per la sintesi organica e fotoreattività del CNR di Bologna. Studia nuovi materiali per la conversione dell’energia solare e lo sviluppo delle nuove tecnologie di illuminazione, e il problema energetico nella sua complessità. Vincenzo Balzani è Professore di Chimica all’Università di Bologna. Si occupa di fotochimica sopramolecolare, nanotecnologie e fotosintesi artificiale. Recentemente ha vinto la terza edizione del Premio Galileo Nicola Armaroli, è Dirigente di Ricerca presso l’Istituto per la sintesi organica e fotoreattività del CNR di Bologna. Studia nuovi materiali per la conversione dell’energia solare e lo sviluppo delle nuove tecnologie di illuminazione, e il problema energetico nella sua complessità.
Mix energetico che usiamo oggi. Sono i due autori di Energia per l’Astronave Terra. Ediz. CNR 2015.
(2)  Nella comunicazione di Luca Mercalli viene fatto riferimento a “Prima, seconda e terza rivoluzione industriale” con indicazione delle conseguenze a lungo termine. Fa presente che la “Fame di energia continua a crescere dell’1,5 per cento ogni anno”, “ Continuando così nel 2040 avremo bisogno del 30% di energia in più”. Altroché diminuzione dei consumi. Ancora nel 2015 i combustibili fossili costituiscono l’80% delle alimentazioni primarie a livello mondiale. Il carbone copre – incredibilmente – ancora ben un terzo del consumo energetico mondiale. La Cina – da sola – utilizza la metà del carbone mondiale. E poi ancora: “il gas naturale arriva al 21 % globale dei consumi, mentre le varie tipologie di Petrolio vanno a coprire più di un terzo dell’energia prodotta al mondo”. Dati preoccupanti, assolutamente non in linea con quanto deciso a Parigi a fine 2015.

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