Una “green education” per un’economia ecologica

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Proprio alla vigilia di IMAGE, il convegno che a Torino il 26 e il 27 maggio ha discusso delle professioni e delle professionalità della “green economy”, a Parigi l’OCSE ha reso noto il suo report che fa il punto sulle potenzialità di una economia “ecologizzata”.

Sui termini c’è dibattito, l’OCSE parla di una green growth, dimenticando i “limits to growth” ben spiegati già nel 1972 dal celebre studio del MIT. L’UNEP invece invoca un “Green New Deal” globale e l’economista inglese Tim Jackson, raccogliendo i frutti di cinque anni di lavoro di decine di esperti, in un volume recentemente tradotto in italiano da Edizioni Ambiente spiega come possa esserci una Prosperità senza crescita.

Ma tutti (potremmo citare molte altre ricerche e molti altri autori, tra cui Lester Brown) concordano su un fatto: la riconversione ecologica dell’economia è necessaria ed è lo strumento principe per dare a tutti un lavoro sicuro, giusto e dignitoso (“decent”).

Il rapporto OCSE contiene anche delle interessanti considerazioni sul ruolo fondamentale dell’educazione e della formazione.

Ci vuole una “green education” per un’economia sostenibile («In particular, the greening of the economy will have an impact on skills, and a major challenge for policy makers is to identify future hiring needs and skill requirements. Well-designed green education and training programmes will have an important role to play in helping workers to exploit the potentials of the emerging green economy»).

L’economia ecologica, come si è molto sottolineato anche al convegno di IMAGE, vede nascere nuove professioni, altre dovranno cambiare approccio e rinnovarsi, altre ancora spariranno, perché obsolete o anti-ecologiche.

Le agenzie educative devono dunque accompagnare questo processo, formando competenze trasversali, affrontando i temi della complessità e dell’approccio sistemico: è l’incapacità di agire in modo integrato, di capire le interconnessioni, di “fare rete” che ostacola la diffusione della green economy. È questa visione di insieme, questo largo respiro, non tanto le conoscenze specialistiche, che gli imprenditori chiedono alle molte persone che stanno trovando e che sempre più troveranno lavoro nella green economy.

Il percorso formativo può benissimo concludersi “sul campo”, imparando sul posto stesso di lavoro quelle conoscenze necessarie nei diversi settori. Ma, a monte, devono esserci stati l’imparare ad apprendere per il cambiamento, l’apertura della mente, la comprensione delle basi epistemologiche, etiche, scientifiche, sociali del nuovo modo di produrre e consumare che avanza, e che sempre più trasformerà le nostre vite.

Per il pianeta è una buona notizia, per chi è in cerca del proprio futuro è una indicazione preziosa. E per le agenzie educative (la scuola, l’università, la formazione continua, i mass media,…) è un severo richiamo a fare di più.

La green economy corre, ed è più avanti di tanti professori, decisori politici, giornalisti.

Leggi la sintesi delle tavole rotonde che si sono svolte durante il workshop IMAGE

Mario Salomone

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