“Teorie e pratiche dell’Antropocene”

La rivista scientifica Culture della sostenibilità lancia un invito a presentare articoli per il numero del secondo semestre 2016.

La scadenza è il 31 agosto 2016.

 
 

Qualche giorno prima degli attentati di Parigi, in quella stessa città si era chiuso il convegno Comment penser l’Anthropocène?, (5-6 novembre, Collège de France, Paris), benevolmente patrocinato da Monsieur Hollande in vista della imminente 21a Conferenza (delle Parti) sul clima COP21 (summit per l’adozione di misure condivise contro il cambiamento climatico). E alla discussione del significato di queste misure, per non parlare del dibattito degli accademici, nei media italiani si è dato poco o nessuno spazio. Ma l’ipotesi dell’Antropocene, ovvero in breve, che il cambiamento climatico sia effetto principalmente dell’attività umana, verrà verificata, smentita o confermata nel 2016 ad opera dell’Anthropocene Working Group, appositamente istituito dalla Commissione Internazionale per la Stratigrafia, a sua volta emanazione del Comitato Internazionale di Scienze Geologiche – una delle istituzioni accademiche indipendenti più antiche e autorevoli.

E se la teoria che unifica i parametri della crisi ambientale sotto il segno dell’anthropos e della sua agency geologica venisse confermata dalle ricerche scientifiche fatte negli ultimi dieci anni non solo nel campo delle scienze ambientali, la scala cronologica del nostro pianeta sarà nuovamente modificata includendo una nuova età geologica: l’era dell’uomo sulla Terra – e del suo impatto ecologico sempre crescente, caratterizzato dalla progressiva appropriazione di ogni specie vivente animale e vegetale, fino all’irreversibile opera di distruzione del patrimonio di biodiversità costituitosi nell’arco di interi eoni.

 
Il dibattito sull’Antropocene – e quindi sull’unificazione disciplinare delle scienze umane e naturali intorno alla crisi ambientale – è di fondamentale importanza per la sua capacità di sintesi del quadro teorico, per l’unificazione delle lotte locali e transnazionali in difesa dell’ambiente e per lo sviluppo di modelli economici alternativi a quelli della insostenibile crescita geometrica del PIL. Per questo è necessario che anche in Italia, come sta accadendo in Francia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti si cerchi di trovare nuovi spazi di correlazione tra i luoghi del (sempre più astratto e condizionato) sapere accademico/istituzionale e quelli del sapere (più immediato e pragmatico, anche se emotivo) delle cittadinanze attive, per la definizione almeno di quadri teorici condivisi attorno ad esperienze di innovazione ecologica in campo economico e sociale.
 
In questo numero di Culture della Sostenibilità, che sarà dedicato a Teorie e Pratiche dell’Antropocene si ricercano categorie minime per definire la crisi ambientale causata dall’attività umana, considerata in quanto specie. Le discontinuità osservabili su più livelli (ecologico, biologico, economico, storico, filosofico… tutti riconducibili alla categoria di Antropocene), che si vivono in tutti gli angoli del Pianeta, sembrano restare ognuna isolata in una percezione frammentaria legata ai diversi luoghi dell’agire e singolarmente circoscritte negli ecosistemi locali, mentre la teoria sostiene che la nostra specie rappresenti il punto di rottura di tutti gli equilibri che coinvolgono le altre specie e in definitiva dell’ecosistema globale. Di fronte a questa percezione frammentaria della crisi, che impedisce anche di elaborare una sensibilità e una moralità e adeguate ai pericoli dell’Antropocene, è necessario creare un accordo almeno teorico sui termini e sui terreni su cui si giocano le ipotesi di cambiamento. Ci chiediamo allora:
 
  • Quali sono le formulazioni e le alternative possibili al pensiero normativo di un’agency geologica della specie, nell’ecologia politica, nell’economia, nelle scienze naturali e umane?
  • E invece, a quali esperienze di riorganizzazione socio-economica con effetti positivi sull’ambiente si vuole dare visibilità?
  • Come provare a descrivere il modo in cui ciascuno e ciascuna vive nella propria vita questa discontinuità storica che si svolge sulla scala delle decine di migliaia di anni, ma di cui sembra essere causa il nostro modo attuale di produzione, consumo e riproduzione?
  • E questo sistema è “naturale”?
  • Come reagisce il sapere scientifico alla domanda di cambiamento che proviene da una parte crescente della società?
  • E sulla scala dei gruppi sociali, in quali conflitti, modelli, esperienze, si misura l’azione distruttiva della specie?
 
 
 
Un secondo ordine di problemi riguarda la definizione dei confini cronologici dell’Antropocene. Così oltre a chiederci quanto e come il mondo sia vivibile (o non più vivibile, o meglio ancora, come possa ritornare vivibile), nella sezione successiva di Culture della sostenibilità, ci chiediamo quando e come abbiano avuto inizio le derive culminate con la società dell’energia fossile. Nella teoria le derive dell’Antropocene possono essere nate in diversi modi: con la macchina a vapore, la bomba atomica, la rivoluzione scientifica, con il genocidio degli indigeni delle Americhe. Si tratta in ogni caso di inizi recenti se paragonati alla storia della Terra e delle specie viventi, e dunque questi tanti inizi di ordine tecnologico, ecologico, filosofico … che implicano anche l’inizio di declino della biodiversità, hanno probabilmente altrettanto varie e innumerevoli vie d’uscita e soluzioni tutt’altro che inimmaginabili dai protagonisti stessi dell’Antropocene.

 

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