Parigi vista dagli Inuit

Elisabetta Gatto

 

Inupiluk di Sébastien Betbeder è un film in cui reportage etnografico e fiction si mescolano, dando una testimonianza inconsueta della visita a Parigi di due cacciatori inuit, originari di Kullorsuaq, un piccolo villaggio della Groenlandia. Olee e Adam sono due amici dell’esploratore francese Nicolas Dubreuil e suoi ospiti durante il primo viaggio fuori dalla loro comunità. L’occasione fornisce il pretesto per il loro coinvolgimento in qualità di protagonisti di un film a fianco di due attori professionisti, che interpretano due ragazzi parigini incaricati di accoglierli e di portarli in giro per la città.

Immortalati i tentativi goffi di interazione, a cominciare dall’imbarazzo al momento dell’incontro all’aeroporto, sigillato da lunghi convenevoli. Difficile comunicare senza una lingua condivisa: Olee e Adam parlano solo la lingua inuktitut. Indispensabile allora fare ricorso al linguaggio non verbale dei gesti e alla riproposizione di slogan: i ragazzi francesi, entrambi di nome Thomas, per aprire un varco nella comunicazione replicano una serie di stereotipi (“Cosa conoscete della Francia? Edith Piaf? Mireille Mathieu?”) pensando che siano universali e che coincidano con l’immagine che gli altri hanno del loro mondo.

Espresso desiderio di Olee e Adam era quello di visitare uno zoo per vedere dal vivo animali che avevano visto solo in fotografia e una foresta, perché non ne esistono in Groenlandia, e infine di fare un bagno nel mare. I due Thomas li esaudiscono e la convivenza tra i due mondi suggerisce occasioni uniche di dialogo e scambio, a tratti divertenti, a tratti poetiche.

Accompagnare i due nuovi amici a fare delle cose per la prima volta riporta i due Thomas all’infanzia, all’epoca della scoperta. E parallelamente anche per loro questi giorni sono un momento di scoperta e di sperimentazione di nuove forme di interazione. Hanno ad esempio l’idea di registrare le conversazioni per poi farle tradurre in francese e conservare memoria dell’esperienza.

È buffo come, profondamente “urbani”, guardino al mondo “naturale” incarnato da Olee e Adam come al regno della saggezza, caricando le loro espressioni di una profondità di pensiero anche quando essi vogliono comunicare una banalità!

Esempio ben riuscito di un genere che avvicina il documentario alla commedia.

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