L’invenzione dell’asfalto

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Ci sono delle cose che sembrano banali e scontate, ma che rivelano la loro importanza soltanto quando ci vengono a mancare. Avete mai provato a guidare in una strada non asfaltata, con la polvere che si solleva dietro le ruote? Ricordate il sollievo che si prova quando si torna su una strada decente?
Tale sollievo è oggi possibile perché fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento vari inventori e imprenditori si sono posti il problema di evitare la polvere sollevata nelle strade del tempo dalle automobili che stavano presentandosi nel mondo come nuovi ammirevoli mezzi di trasporto. L’asfalto, una scoperta italiana
Qualcuno ha così scoperto che varie rocce naturali contenevano una materia catramosa che poteva essere fusa e stesa sulle strade che diventavano adatte al traffico automobilistico. Queste rocce asfaltiche si trovano in Sicilia, nel Giura svizzero, nel Canada, negli Stati uniti, e in molti altri paesi. La storia della tecnica di pavimentazione stradale è confusa e ha avuto molti protagonisti. Gli svizzeri in questo 2002 ricordano con orgoglio un loro concittadino, Ernest Guglielminetti (1862-1943), figlio di italiani emigrati in Svizzera, medico coloniale, che proprio cento anni fa propose al principe Alberto I di Monaco di “asfaltare” 40 metri di strada sul lungomare del Principato con una miscela di bitume caldo, ghiaia e sabbia.

Una storia di tentativi
Naturalmente fu preso in giro e soprannominato “Dottor Asfaltò”, anche se col tempo furono riconosciuti i suoi meriti. Guglielminetti non volle brevettare la sua invenzione, ma ebbe onori da parte di molti paesi e governi.
Oggi “asfalto” e “bitume” sono termini merceologici ben definiti, ma, nel corso del secolo passato, la pavimentazione stradale è stata fatta nel mondo con diversissimi materiali, alla ricerca di manti stradali lisci, che non usurano le gomme dei veicoli sempre più pesanti, che attenuano il rumore del traffico, che resistono alla pressione dei mezzi di trasporto e alla pioggia, al ghiaccio e al caldo. Per la pavimentazione stradale è stato usato asfalto ricavato dalle rocce esistenti in natura, poi catrame residuo della distillazione del carbon fossile (un catrame i cui fumi erano dannosi per la salute degli operai che dovevano scaldarlo e stenderlo sulle strade), poi il bitume che residua dalla distillazione del petrolio dopo la separazione della benzina, del gasolio e degli oli combustibili.

Il riciclo dell’asfalto
Il bitume viene miscelato con sabbia, ghiaia, pietrisco e anche con residui di lavorazioni industriali; sono stati anche usati residui di gomma. Il materiale per la pavimentazione stradale deve possedere caratteristiche fissate per legge e con rigorosi capitolati; i rivestimenti stradali devono essere di lunga durata e devono assicurare un basso attrito con le ruote in modo da diminuire i consumi di energia e quindi l’inquinamento degli autoveicoli. Da alcuni anni sono stati addirittura inventati dei processi che permettono, quando il rivestimento stradale è usurato, di “strappare via” il manto superficiale che può essere macinato e fuso di nuovo e steso poi su altre strade, una forma di riciclo di molti materiali e di diminuzione dei costi di pavimentazione e manutenzione.
Quando sorpassate, talvolta con fastidio per il rallentamento che impongono al traffico, le squadre addette alla pavimentazione stradale, operai a torso nudo che spargono la miscela calda e la livellano con i compressori, rivolgete un piccolo pensiero all’alto contenuto tecnico-scientifico che tale operazione, apparentemente banale, ha in sé. E rivolgete un pensiero anche a quel nostro connazionale emigrato che oggi gli svizzeri ricordano e onorano.

Giorgio Nebbia

10 febbraio 2012

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