Green economy: il parere degli imprenditori

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  • I due terzi delle imprese non credono nelle ricette economiche tradizionali: l’uscita dalla crisi può venire solo da un profondo cambiamento che coniughi innovazione e impegno ambientale.
  • Un’impresa su tre è già entrata pienamente nella green economy.
  • Più del 40% lo farebbe, con sostegni e politiche adeguate.
  • Ma c’è anche qualcuno che ha gettato la spugna, di fronte agli ostacoli.
  • Oltre cento imprese torinesi dicono la loro su situazione e prospettive della economia “ecologica”. In vista del convegno internazionale “Eco&Eco. Verso Rio+20, scenari e prospettive della green economy” (tenutosi a Torino, 3 novembre 2011, ecoandeco.educazionesostenibile.it), l’Istituto per l’Ambiente e l’Educazione Scholè Futuro ha chiesto a oltre cento imprenditori di Torino e provincia quali sono i loro comportamenti e le loro attese verso l’economia ecologica, qual è il ruolo dell’innovazione e quali le prospettive di medio e lungo periodo.

    Il 40% di quanti hanno risposto al questionario sono società (Srl, Spa, cooperative, consorzi), il restante 60% imprese individuali o società di persone.
    Un numero consistente di imprenditori (il 35%) si sta già impegnando per una maggiore efficienza nell’uso delle risorse e del patrimonio naturale.
    Sono solo una minoranza quanti pensano che alla propria attività non possano essere applicati cambiamenti (12%), mentre sono il 16% quanti non intendono, almeno per ora, avviare azioni volte ad aumentare la sostenibilità dell’azienda, perché gli ostacoli sono troppo alti o pensano, e un gruppetto di imprese (10%) segnala, ed è un dato allarmante, di avere sospeso o rallentato la propria iniziativa in questo campo di fronte alle difficoltà incontrate. Un’impresa su quattro, insomma, denuncia un’insufficiente azione di sistema per lo sviluppo di una “green economy”.
    Lo confermano i molti imprenditori che dichiarano che vorrebbero o potrebbero fare di più se potessero contare su finanziamenti agevolati e/o agevolazioni fiscali (43%), politiche economiche certe e di lungo periodo (40%), informazioni e supporto tecnico-scientifico esterno (17%) o piani formativi adeguati (11%).
    Tra chi si sta già impegnando, le misure adottate più frequentemente sono gli interventi sui sistemi energetici (42%), l’introduzione di prodotti ecologici negli acquisti di materiali di consumo (40%), il miglioramento della gestione dei rifiuti (38%) e la riduzione degli imballaggi (32%), alimentando così tutto un nuovo mercato di prodotti e servizi.
    Interessante anche quel 20% di imprese che esprime la propria responsabilità sociale realizzando attività di sensibilizzazione e formazione per i propri addetti o campagne di sensibilizzazione e educazione e progetti di tutela ambientale e sviluppo sostenibile, in proprio o tramite riviste di settore, siti web e portali, organizzazioni non profit.

    Opportunità e prospettive per il futuro: gli innovatori sensibili alla green economy sono la maggioranza

    Gli imprenditori, infine, sono stati interrogati circa i settori di attività in cui pensano che ci siano maggiori opportunità di innovazione di prodotto e/o di processo, in un’ottica di responsabilità sociale e di sostenibilità ambientale delle imprese.
    I due terzi indicano le energie rinnovabili, il risparmio e l’efficienza energetica. Consistente però anche il numero di quanti indicano i sistemi per la riduzione dell’inquinamento (24%) o ritengono necessaria la ricerca di materiali eco-compatibili e/o la sostituzione di materiali in via di esaurimento con nuovi materiali (22%).
    Riscuotono interesse, tra le molte opzioni prospettate, anche i mezzi e le infrastrutture per la mobilità sostenibile (17%), i sistemi di risparmio idrico e di difesa e ripristino delle risorse idriche (14%), la difesa del suolo (11%).

    Molto netta è l’opinione delle imprese circa le prospettive per il futuro, di fronte alla grande crisi internazionale.
    Qui gli imprenditori si dividono in innovatori (i più), in tradizionalisti (una minoranza), con un piccolo gruppo di fatalisti (“C’è poco da fare, bisogna aspettare che passi”, l’8%) e di ottimisti “generici” (“È una fase da cui gradualmente, anche se faticosamente, riusciremo a uscire, chi più chi meno, anche grazie alla laboriosità e alla creatività degli italiani”, il 6%).
    Una larga maggioranza (i due terzi), infatti, pensa che si debba cambiare radicalmente modello di produzione e di consumo e in generale gli stili di vita. Strada che, aggiungono in molti, richiede politiche e condizioni quadro che rendano possibili nuovi modi di creazione di valore, ad esempio potenziando da un lato la ricerca e l’innovazione e dall’altro l’aggiornamento e la formazione degli addetti, nonché sensibilizzando i consumatori all’acquisto o all’uso dei beni e dei servizi più innovativi. Solo le imprese più innovative, osserva qualcuno, se la caverà.
    Meno di un’impresa su quattro crede invece a ricette economiche “tradizionali”, come la ripresa dei consumi grazie all’aumento del potere di acquisto dei consumatori, l’aumento della produttività o l’aumento della fiducia degli investitori, rassicurando i mercati finanziari.
    Se un aumento dei redditi è possibile, osservano ad esempio alcuni, lo si può ottenere “solo spostando il peso fiscale dal lavoro e dalle imprese verso le attività più inquinanti e dannose per l’ambiente, attraverso l’attribuzione di un prezzo all’inquinamento e alle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera”.

    “La ricerca è il segnale di una tendenza molto interessante: gli imprenditori sono pronti a grandi cambiamenti e si attendono politiche più innovative e coraggiose”, commenta il sociologo Mario Salomone, presidente dell’Istituto per l’Ambiente e l’Educazione Scholè Futuro onlus.

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