Gli orti urbani più grandi d’Italia

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Nella difficile periferia bolognese, il quartiere del Pilastro, una esperienza di coltura e cultura, in cui giovani e immigrati giocano un ruolo di primo piano

 

di Andrea Ferrari Trecate

 

Continua la serie di reportage di Andrea Ferrari Tracate da orti urbani e sociali di varie città italiane

 

Quando la porta dell’ufficio degli orti di Via Salgari si chiude, sembra davvero di essere in piena campagna. Le pareti di legno, come quelle di un minuscolo cascinale, mi separano dall’area di orti urbani più grande d’Italia, da una terra che viene curata e coltivata da decenni.

I racconti di Claudia Boattini e Roberto Burresi, vicepresidente dell’Associazione degli Orti di Via Salgari, spesso si sovrappongono: sono molti i ricordi, le speranze future. La storia del quartiere del Pilastro è costellata di eventi umanamente tanto ricchi quanto complessi.

Gli orti si addossano all’ombra dei 700 metri di cemento del cosiddetto “Virgolone”, il colossale spazio abitativo che il comune di Bologna creò per assorbire la pressione delle numerose famiglie di operai provenienti da tutta Italia che, negli anni passati, giunsero nelle periferie del capoluogo emiliano.

 

Il buono che germoglia

 

Già dagli anni ‘50, il Pilastro si connota come una zona di forte immigrazione soprattutto di provenienza meridionale. Nell’estate del 1970, a fronte del decreto di espulsione emesso dalla neonata dittatura di Gheddafi, si aggiunge anche parte dei molti esuli italiani in fuga dalla Libia. 

Contestualmente alla costruzione del complesso abitativo, gli spazi coltivabili vedono la luce. Inizialmente deputati ad occupare il tempo libero degli anziani, grazie alla dedizione ed al lavoro costante dell’Associazione oggi contano su un 30% di giovani e svolgono anche un’importante attività di integrazione sociale, annoverando almeno 40 etnie diverse tra gli affidatari dei lotti ortivi.

 

Ma le cattive notizie si vendono di più

 

ortipilastro bologna webNegli anni, gli sforzi per sfruttarne le buone pratiche hanno continuato a scontrarsi con la realtà difficile della periferia. Nel ’91, la Banda della Uno Bianca compie l’ennesima strage proprio al Pilastro e porta la zona di Via Salgari in prima pagina nella cronaca nera nazionale. Proprio quella cronaca che si ostina ancora oggi a definire il Pilastro come il ‘Bronx di Bologna’ senza riuscire a vederne il buono: quel buono che germoglia tra i filari e le piccole aree ortive. Le cattive notizie, si sa, vendono di più e meglio.

È proprio tra gli spazi verdi che i vari responsabili, tutti rigorosamente volontari, gestiscono le molteplici attività legate agli orti: da eventi sociali come sagre e feste di quartiere, alla collaborazione con le altre aree ortive di Bologna e, ultime ma non certo per importanza, le numerose attività svolte con le scuole.

Insegnare i tempi della terra, osservandone i cicli e rifiutando l’uso dei pesticidi e di prodotti chimici al fine di far comprendere ai più piccoli i valori del rispetto della natura e di una sana alimentazione. In una zona peraltro influenzata dalla presenza del cosiddetto “Frullo”, il termovalorizzatore di Bologna, l’attenzione verso una vita salubre è, ovviamente, massima.

 

Ci sono anche gli onconauti

 

Un luogo di coltura e di cultura, come ama definirlo Patrizia Petri, presidentessa dell’Associazione. Un luogo di incontro per persone di età e culture diverse, unite dai temi dell’ecologia, della sostenibilità e della salute.

Fondamentale nel futuro degli orti sarà il proseguimento e il rafforzamento del programma di Ortoterapia. Proprio dall’esperienza personale di Patrizia Petri, gli orti sono diventati anche un luogo deputato ad aiutare i malati oncologici. Un programma di supporto psicofisico che, grazie anche alla collaborazione della LILT (Lega Italiana Lotta ai Tumori), si basa sulla socialità, sul valore terapeutico della cura della terra, sull’avvicinamento ad un’alimentazione più idonea alla cura e alla prevenzione delle forme tumorali.

Gli onconauti, così si sono definite le persone che affrontano un percorso attraverso la malattia tanto difficile sia dal punto di vista fisico che psicologico, hanno a disposizione uno spazio verde e, accompagnati da un tutor, trovano nel rapporto diretto con la terra da coltivare uno stimolo fondamentale per sfuggire alla trappola della depressione che le patologie spesso portano con sé.

Un percorso di evoluzione e rinascita, l’ennesimo che gli orti promuovono e fanno proprio perché è nel loro DNA, nella storia del Pilastro e nella natura della terra.

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