Gita scolastica: onere e onore

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La tragedia che in Svizzera ha spezzato tante giovani vite e i sogni e le speranze di altrettanti padri e madri, non può che provocare profondo sgomento e dolore in tutti noi. La sciagura ha devastato uno dei momenti belli e pieni della vita bambina, la gita scolastica, che spesso rimane nella memoria dei ragazzi e contribuisce a costruire, magari anche solo come minuscola tessera, quello spirito di empatia, di amicizia, di condivisione, di legame con gli altri e con i luoghi del mondo, condizione fondamentale per la sedimentazione di humus relazionale, aperto, via via maturo ed equilibrato. È quindi normale che il peso, comunque enorme, di un senso di incolpevole responsabilità, oltre che gravare su organizzatori, accompagnatori e quanti coinvolti direttamente, si riverberi anche sulla situazione specifica in cui si è prodotta la sciagura, la gita scolastica appunto, momento di allegria e potenziale formazione tramutatosi subitaneamente in lutto e dolore.

Le indagini appureranno, forse, la responsabilità diretta che parrebbe del conducente – la fatica della guida, una distrazione fatale – ma non serviranno a limitare il progressivo allontanamento da questa tradizionale pratica scolastica; contribuiranno anzi ad aumentare un’idea di “insostenibilità” di queste situazioni didattico/educative, che da tempo si sta insinuando, soprattutto, fra quanti si fanno carico in prima persona di responsabilità che risultano per vari motivi sempre meno sopportate e accettate, cioè gli insegnanti.

La complessità organizzativa, la fatica dell’accompagnamento e della gestione e la responsabilità di gruppi di ragazzi e giovani adolescenti, la cui vivacità risulta notoriamente esaltata da prime sensazioni di autonomia e indipendenza, la fatica di abbinare e legare a queste dinamiche la funzione didattico/educativa, la consapevolezza di doversi affidare necessariamente ad altre persone. In tutte queste situazioni si possono annidare stanchezza, rischio, negatività, insufficienze che a lungo andare possono rendere poco sostenibile – o non più sostenibile – l’uscita scolastica, intesa e vissuta come viaggio di istruzione o solo come gita.

Sul quotidiano torinese La Stampa di giovedì 15 marzo u.s. Flavia Amabile analizza la situazione delle uscite scolastiche in Italia. In un’intervista al prof. Rosario Drago che «ha trascorso buona parte della sua vita ad occuparsi di gite scolastiche», rileva in che misura queste gravino sul lavoro del docente, mentre nell’articolo “Troppe responsabilità sui prof. Meglio altre forme di istruzione”, conclude affermando che «la scuola deve riuscire a mostrare i luoghi in modo diverso altrimenti meglio non partire».
È una situazione che, per quanto comprensibile e motivata, rischia di contrarre la scuola, la funzione didattica, la funzione educativa alla prassi e alle modalità tradizionali dell’insegnamento, nell’ambito circoscritto e protetto dell’edificio scolastico (anche se purtroppo in questo caso il destino può essere malevolo, come nel caso del giovane studente morto e un altro gravemente leso per il crollo del soffitto dell’aula in una scuola dell’area torinese) che esalterà una conoscenza “virtuale” del mondo attraverso l’ausilio di un ampliato ventaglio di strumentazioni informatiche e audiovisive.
È un peccato, perché di nuovo si insinua un concetto di chiusura, di isolamento, di separatezza cui i “deboli” (e giovani acerbi e imberbi in gruppi chiassosi, svagati e sognanti migranti per le città e i paesi sono la “debolezza” nel loro incontro/confronto con il mondo adulto fatto spesso di irritazione, fretta, prepotenza, irrisione) soccombono perdendo l’occasione di confondersi, invece, e scoprire “dal vero” questo mondo che è la loro storia, con cui dovranno relazionarsi e in cui dovranno vivere.

Il declino dell’educazione calata nella realtà naturale

Tranne una breve esperienza come docente ho comunque trascorso la mia vita lavorativa occupandomi di “educazione ambientale” come dipendente della Regione Piemonte. Presso l’Assessorato all’Ambiente e quindi in un rapporto stretto, se pur non diretto, con il mondo della scuola, dell’istruzione, ho mantenuto una posizione di cerniera fra le finalità educative di quest’ultimo e le sempre più pressanti esigenze di tutela e qualità ambientale.
Come molte altre amministrazioni la Regione Piemonte ha cercato negli ultimi trent’anni, proprio a partire da una rinnovata ricerca di relazione/conoscenza dell’ambiente e del territorio, di proporre e affiancare il mondo della scuola nella sua azione educativa favorendone il contatto con il territorio e l’ambiente. Questa operazione deve avvenire in modo non estemporaneo o occasionale bensì orientato e strutturato in un “progetto educativo” fortemente calato nella realtà naturale o modificata dalla cultura umana che fosse.
Basti ricordare l’esperienza “Pracatinat”, ancora in essere anche se temo appannata dalla forte contrazione di risorse da un lato ma anche di idealità nei responsabili della “cosa pubblica” – ai tanti livelli in cui questa responsabilità si esprime – che non hanno potuto, saputo o voluto sostenere e alimentare l’idea di “educazione” nella relazione sociale (sono lontani i tempi in cui si alternavano nelle strutture di Pracatinat ispettori del Ministero dell’allora Pubblica Istruzione per riconoscerne la peculiarità e l’adeguatezza come struttura extrascolastica per attività didattico/educative fuori sede, in un periodo, anche allora, di forti restrizioni alle uscite).
Ma è a un’altra importante esperienza che intendo riferirmi, anch’essa “strutturale” e potenzialmente organica al “processo didattico educativo” sviluppato nelle scuole, che per quanto proposta e diffusa a più riprese presso tutte le scuole piemontesi di istruzione secondaria non è riuscita a radicarsi nella prassi scolastica come forse sarebbe stato il caso.
Richiamo questa iniziativa pubblica, ambiziosa e molto articolata, sviluppata in collaborazione con gli Assessorati all’Ambiente e al Turismo della Regione Piemonte su proposta dell’Istituto per l’Ambiente e l’Educazione Scholè Futuro, proprio perché, a fronte del discorso introduttivo, intendeva proporre al mondo della scuola modalità e obiettivi “sostenibili” per le uscite di istruzione. Il termine “sostenibilità”, che può riferirsi a tutti i casi dell’agire umano, è nato ed è stato alimentato dall’infinità di discorsi e politiche riferite all’ambiente, concetto che a sua volta si è ampliato ed è traslato dall’ambiente naturale a quello sociale e umano in senso lato.
L’iniziativa sviluppata negli anni 1994/95 prese il nome di “Rete Iter – Il Piemonte come ambiente” e si tradusse nella pubblicazione di due volumi con 347 punti visita tra natura e cultura, in 30 aree omogenee piemontesi, classificati per tipo di interessi e collaudati per uno stile di viaggio semplice e senza fretta. Tutte le informazioni pratiche per un divertente programma di montaggio di centinaia di itinerari “su misura”.

La responsabilità ambientale richiede coerenza

È difficile riuscire a dare il senso dell’operazione in poche righe perché si corre il rischio di snaturarlo e banalizzarlo per cui rimando la lettura delle parti introduttive dei due corposi volumetti a chi avrà la capacità e la fortuna di recuperarli. Mi limito a riprodurre alcuni passaggi del capitolo introduttivo “L’educazione ambientale e il Progetto reteiter” curato da Carla Calcagno, in suo ricordo, perché proprio in questi giorni ci ha lasciati.
«….Sapendo che possiamo sbagliare, dobbiamo essere prudenti e evitare scelte irreversibili. Dobbiamo valutare con attenzione le conseguenze delle decisioni a breve, ma anche a lungo termine. Dobbiamo tutti assumere in prima persona la responsabilità ambientale verso il pianeta nella sua interezza: gli elementi fisici, gli altri viventi, gli uomini nostri contemporanei e le generazioni future.
La responsabilità ambientale richiede alle persone e ai gruppi di agire in modo coerente con valori e saperi che li rendano capaci di migliorare e proteggere l’ambiente, cioè di assumere stili di vita compatibili. Possiamo perciò assumere come finalità dell’educazione ambientale (dell’ educazione alla relazione n.d.r.) proprio la modificazione consapevole dei comportamenti, attraverso la metodologia indicata, ma non solo. Infatti negli ultimi tempi si è cominciato a dare importanza anche ad altri aspetti: alle percezioni e alle sensazioni delle persone, alle loro preconoscenze, all’effettivo coinvolgimento affettivo, alle opportunità di agire in modo autonomo in situazioni concrete. Il messaggio ambientale dovrebbe essere proposto con attenzione alla dimensione affettiva, relazionale, con modalità e linguaggi che la gente possa capire».
Oppure nelle parole di Annelise Caverzasi il cui messaggio ancor meglio si collega a un’idea di “sostenibilità” dell’uscita scolastica.
«L’affermazione di una cultura del territorio che superi dunque una dimensione puramente e semplicemente “panoramica” costituisce l’obiettivo di educazione ambientale che Reteiter promuove, con la proposta di una serie di itinerari piemontesi, allo scopo di ricercare un rapporto di collaborazione più efficace tra sistema formativo (scolastico) e sistema turistico pubblico e privato sulle tematiche dell’ambiente, avvalendosi di un’occasione formativa, la gita scolastica, spesso trascurata sotto il profilo didattico/educativo e consegnata ad un “rito” di pura e semplice evasione, ridotta a “scampagnata” da consumarsi in una serie di attività dannose e dissipative (nei confronti dell’ambiente), in un viaggio frenetico di cui nulla resta per la superficialità dei contatti».
Sono poche frasi, scelte necessariamente anche un po’ a caso ed estrapolate da un contesto ben più ampio ed articolato, che pur nella loro brevità consentono già di percepire lo spessore ed il senso di un messaggio e di un lavoro teso al miglioramento ed alla valorizzazione della “gita scolastica”.
Sono parole e proposte che risalgono a quasi vent’anni fa ma che conservano intatta tutta la loro validità.
Progetto che già da subito, purtroppo, diede anche spazio alla superficialità ed alla disattenzione di chi avrebbe avuto il potere “politico” di sostenerlo ed affermarlo (un consigliere della competente Commissione consiliare che si doveva esprimere sulla qualità del progetto e sulla relativa approvabilità e spesa) che lo ridimensionò alla redazione di mere e già viste “guide turistiche”.

Carlo Bonzanino

20 marzo 2012

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