Gang e forze speciali: stessa faccia stessa razza?

Elisabetta Gatto

 

The kings surrender di Philipp Leinemann è un noir metropolitano che mette a confronto il mondo delle bande giovanili dei sobborghi di una città tedesca con quello delle forze dell’ordine: lo scontro non è solo tra chi infrange la legge e chi è preposto a farla rispettare – e qui l’altra questione sollevata dal film: dove sta la giustizia? -, ma tra bande rivali, tra squadra mobile di polizia e forze speciali e all’interno di quest’ultime tra chi ammette ogni sorta di violenza per raggiungere la verità o meglio per compiere la propria vendetta e chi crede che un’altra soluzione sia possibile.

Il film è un crescendo di brutalità, le scene sono spietatamente crude, ci si immerge nel clima delle periferie per sentirne la solitudine delle vite ai margini. Lo stratega inconsapevole di una serie di eventi cruenti, un ragazzino tredicenne, è egli stesso vittima del degrado in cui è costretto a vivere e il motore che lo spinge ad agire è il desiderio di colmare il vuoto dell’abbandono con l’amicizia “estorta” al capo di una delle bande rivali.

Le scelte del giovane Nazim, a cui si intreccia il caso, innescano un concatenarsi di risse, omicidi, aggressioni nella caccia al colpevole che è sempre più sfuggente. Così come lo è la verità. Non ci sono eroi, solo uomini. E una donna, Nadine, una poliziotta, uno dei personggi più controversi.

Sia le gang di teppisti, sia i corpi speciali non lesinano nell’abuso della forza, nell’esaltazione dell’azione, nel delirio di onnipotenza con il pretesto di difendere l’onore ferito e vendicare i propri compagni. E quando Kevin, uno della squadra delle forze speciali, domanda al capo della polizia quale sia allora la differenza tra “noi” e “loro” la risposta con cui si chiude il cerchio è: “Noi possiamo”.

 

 

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