Comunicare è necessario

Si è creduto a lungo che solo l’uomo e poche altre specie avessero il potere di comunicare e quasi nessuna oltre a noi di condividere pensieri astratti. Oggi la ricerca etologica più avanzata e i semiologi stanno scoprendo l’esistenza di un mondo nascosto di cui pochi sospettavano l’esistenza. Ogni organismo vivente, infatti, è in grado, in qualche momento della propria esistenza, di lanciare segnali che contengono delle informazioni, e questo indipendentemente dall’ambiente considerato. L’intera biosfera – aria, terra o acqua – è, infatti, lo scenario di una continua trasmissione d’informazioni che ha raggiunto, grazie ai computer, livelli mai visti. Dopo la babele delle lingue, ricordata dalla Bibbia, ci si sta avvicinando paradossalmente ad una sorta di nuova unificazione in nome di internet a proposito del quale si parla abitualmente di navigazione. E allora, se di navigazione si tratta, spingiamoci anche sotto gli oceani, in quel pianeta azzurro che una frase poetica definiva in passato “il mondo del silenzio”. I mari, come è ormai noto, sono un ambiente ricco di comunicazioni che non hanno nulla da invidiare a quelle terrestri. La trasmissione di informazioni per via chimica (l’acqua è il migliore dei solventi possibili) regola la riproduzione di moltissime specie da quelle più semplici come le spugne o gli entozoi e tra questi un posto di rilevo spetta alle madrepore dei reef tropicali capaci di dare il via ciclicamente alla più grande riproduzione di massa che si conosca per superficie e numero di individui interessati proprio grazie a mediatori chimici che altro non sono che segnali. La comunicazione avviene anche per mezzo di segnali ottici paragonabili ai nostri cartelli pubblicitari. Il linguaggio dei colori è, infatti, uno dei più utilizzati in acqua nonostante le enormi differenze nella trasmissione della radiazione luminosa che si registrano sotto la superficie del mare dove i colori dell’arcobaleno scompaiono progressivamente con la profondità. Ma, come si è andato scoprendo, ci sono altre radiazioni come i raggi ultravioletti che gli animali acquatici sfruttano per comunicare mediante la lettura di strie, bande, macchie, pallini dimostrando chiaramente che il mondo delle acque è ben lungi dall’essere come appare. Infine, esiste il vasto mondo della comunicazione “verbale” dei mammiferi marini. Come non osare definire così i fischi dei delfini o i canti delle megattere soprattutto quando è ormai evidente che esistono pure i dialetti all’interno delle differenti popolazioni oggetto di studio.

Prendere consapevolezza dell’esistenza di sistemi di comunicazione così variati, e tanto simili a quelli in uso nella nostra specie, potrebbe o dovrebbe trasformarsi in un momento di riflessione sulle affinità che uniscono tutti gli esseri viventi e nello stesso tempo portarci a considerare anche il linguaggio come un elemento della biodiversità e spingerci a recitare un sentito mea culpa insieme al de profundis per i linguaggi che andiamo estinguendo trasformando in lingue morte come quelle degli antichi Egiziani o dei Sumeri parte della ricchezza dell’umanità.   

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