Energia sostenibile dalle onde del mare

Energia sostenibile dalle onde del mare. E’ questo il risultato ottenuto da un team di ricercatori norvegesi che hanno convertito un ex peschereccio in una piccola centrale elettrica in grado di stoccare energia sotto forma di idrogeno.
Si tratta di un’idea che nella sua semplicità è brillante, in quanto permette da un lato di produrre energia rinnovabile e dall’altra di ridare vita ad una vecchia imbarcazione che altrimenti sarebbe in disuso.
Il funzionamento della centrale elettrica galleggiante ricorda quello di una pompa per biciclette. Per prima cosa sono state installate a prua quattro grandi camere nelle quali confluiscono le onde; l’aumento del livello dell’acqua in questi spazi genera a sua volta un aumento della pressione dell’aria che mette in modo quattro turbine, una per ogni camera.
Inoltre, la progettazione dei volumi delle diverse camere è tale da far sì che ognuna di esse sia in grado di recepire differenti altezze delle onde, in modo da non perdere nessuna opportunità di produrre energia.
L’impianto produce energia elettrica con l’ausilio di una cosiddetta “colonna d’acqua fluttuante”, che entra in funzione ogni qualvolta l’imbarcazione oscilla, il tutto con un controllo da terra in remoto. Inoltre, l’impianto galleggiante è dotato di un sistema di ancoraggio che gli permette di orientarsi sempre in direzione delle onde in arrivo.
La capacità nominale dell’impianto è di 200kW e, dai primi calcoli messi a punto, l’impianto sembra essere in grado di produrre fino a 320 MWh/anno.
La prima fase del progetto consiste nel testare il modello poi, se tutto funzionerà come ci si attende, l’idea è di ampliarne le applicazioni per arrivare in un futuro prossimo alla realizzazione di una piattaforma semisommergibile.

Il mare, quindi, come fonte di energia pulita e sostenibile.

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Acqua e limone

Come già ricordato più volte bere acqua è fondamentale per il nostro benessere psicofisico, senza esagerare naturalmente. Se vi aggiungiamo il succo di un mezzo limone otteniamo una bevanda dalle proprietà eccezionali!
Il limone è ricco di Vitamina C che svolge una forte azione antiossidante, previene la formazione di radicali liberi e ci protegge dalle infezioni, raffreddore in primis.
Inoltre contiene potassio, fondamentale per il buon funzionamento del nostro organismo, in particolare del sistema nervoso.
E’ un buon alcalinizzante, in sostanza ostacola l’acidificazione dei tessuti che favorisce l’infiammazione generale del corpo.
Alcuni studi evidenziano che il limone favorisce la perdita di peso. Ci aiuta a metabolizzare correttamente il cibo, in sostanza favorisce il consumo di calorie e limita l’assorbimento dei grassi.
Assunto con acqua tiepida favorisce la digestione e la peristalsi intestinale.
Per renderlo più gradevole possiamo aggiungervi mezzo cucchiaino di zucchero di canna. I suoi benefici sono massimi se assunto la mattina appena svegli, prima di colazione.
L’importante è tollerarlo, è sconsigliato a chi ha particolari problemi di stomaco o semplicemente non lo trova gradevole.

 

Quindi che dire…una mela al giorno, ma mai senza mezzo limone in un bicchiere d’acqua.

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Cambiare la storia

La storia che vi propongo di cambiare non è quella ufficiale con la S maiuscola, ma una filastrocca. La filastrocca in questione mi è stata raccontata più volte da mia moglie cui veniva narrata da sua nonna Stella per farla giocare con le dita della mano. La filastrocca, (adattata all’oblò, e quindi un po’ diversa dall’originale) parla delle dita, dal mignolo al pollice, e così recita: “Il primo ha comprato i semi di zucca (la filastrocca ha origini mantovane), il secondo li ha seminati, il terzo ha coltivato le zucche, il quarto le ha raccolte e il quinto (il pollice, il dito più grosso) le ha prese tutte e se le è mangiate.”

Sembra una storiella da nulla eppure è fin troppo vera, e citarla a proposito dell’acqua, in occasione della giornata mondiale dedicata a questa preziosa risorsa, può essere utile così come potrebbe essere importante ricordarla come una sintesi semplice, ma, credo, esemplificativa di come sono gestite tante altre risorse preziose dove il lavoro di tanti non viene riconosciuto o quasi e schiacciato dall’interesse di pochi. Parlando di acqua, il passo è breve, si deve ricordare la situazione delle risorse biologiche (pesci, molluschi, crostacei, alghe) che vi si trovano e che in molti casi, troppi, sono gestite male, sfruttate come molti che le pescano.

Anche qui il movente è fondamentalmente economico (dar da mangiare agli affamati….se hanno di che pagare), con una distribuzione dei guadagni che appare come una piramide invertita: pochi guadagni alla base (indice, anulare, medio, indice per rifarmi alla filastrocca) e tanti al vertice senza alcuna o poche preoccupazioni per l’ambiente e la Natura e con tutte le conseguenze che ne derivano. Ovviamente non voglio demonizzare l’economia, che condivide con l’ecologia sei lettere e qualche concetto, ma sperare, come in molti chiedono, che l’ecologia e l’economia abbiano almeno pari dignità.

E riprendendo un recente articolo sui cambiamenti climatici, gli ambiti cui potremmo agganciare la nostra filastrocca sono moltissimi: la fame, il consumo di energia, la salute, il cambiamento climatico, la sicurezza, la crescente urbanizzazione, la sostenibilità, l’innovazione e l’impatto della tecnologia. Soluzioni? Ce ne sarebbero, ma bisogna fare come succede in un piccolo libro che, guarda caso, riguarda ancora le dita della mano e che avevo avuto tra le mani (tanto per cambiare) tanti anni fa. Si tratta di “La mano schiaffona” di Giancarlo e Walter Buonfino (in internet se ne trovano tracce) in cui si racconta come le dita di una mano si impadronirono del mondo fino a quando le altre mani capirono che unendo le loro dita avrebbero potuto ribaltare la situazione e così fu. Come si sarebbe detto una volta “Dita di tutto il mondo unitevi!”.

Allora gli autori la definirono una favola, ma a rileggerla oggi qualche dubbio viene.

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Acqua ossigenata

Oggi parliamo di un acqua particolare, l’acqua ossigenata.
In realtà si tratta di un perossido, il perossido d’idrogeno, la cui formula è H2O2 che si decompone in acqua e ossigeno attraverso una reazione esotermica importante. Per questo motivo la si diluisce in soluzione acquosa e va maneggiata con cautela a seconda delle concentrazioni. L’acqua ossigenata si trova in farmacia sotto forma di soluzione acquosa. La concentrazione di acqua ossigenata viene indicata in “volumi”, ogni volume indica un litro prodotto da un litro di soluzione.
Un litro di soluzione di H2O2 a 5 volumi può sviluppare 5 litri di ossigeno, equivalente ad una concentrazione dell’1,46% in peso. Normalmente conosciuta come antiseptico viene impiegata in vari processi chimici ed utilizzi. Tutti ci ricordiamo le bollicine che l’acqua ossigenata produce a contatto con ginocchia e gomiti sbucciati ed è in quelle bollicine bianche che si nasconde il suo potere disinfettante. Non va utilizzata sulla cute sana, ma solo sulle escoriazioni, dove l’enzima catalasi rilasciato dalle nostre cellule danneggiate libera ossigeno dall’acqua ossigenata. Questo ossigeno (le famose bollicine) agisce da ossidante e denatura le proteine di eventuali patogeni presenti oltre a ripulire la ferita da tessuti morti e sporcizia. In concentrazioni più alte, circa il 15%, viene usato per decolorare i capelli e lo troviamo in molti prodotti utilizzati dai parrucchieri. In concentrazioni dall’85 al 98%  costituisce un composto a reattività altissima  e viene utilizzato come propellente per i razzi.

Quindi, come diciamo sempre, con l’acqua non si scherza!

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L’orto senz’acqua

Secondo Legambiente, circa il 70% dell’acqua prelevata in Italia è destinata all’agricoltura, mentre il 95% dei prelievi superficiali che hanno luogo nel bacino idrografico del Po è destinato all’irrigazione.
Bastano questi due dati per rendere conto dell’ingente utilizzo della risorsa idrica del nostro Paese per usi legati al settore agricolo.
Il quadro descritto, però, non deve essere intrepretato come uno strumento per “demonizzare” l’agricoltura, ma piuttosto come un’importante occasione di riflessione sulla necessità di rivedere l’attuale modello di sviluppo in un’ottica di razionalizzazione delle risorse. A questo proposito, un’interessante proposta arriva da Jacky Dupety, studioso francese che porta all’attenzione della comunità scientifica la possibilità di coltivare riducendo notevolmente l’utilizzo dell’acqua attraverso il ricorso al cippato.
Il cippato di ramaglie fresche è una tecnica ecologica di coltivazione che consiste nell’arricchire il terreno con ramaglie sminuzzate in modo da apportare sostanza organica, migliorare la struttura e aumentare la ritenzione idrica. Così facendo, è possibile coltivare ortaggi e cereali senza il bisogno di trattamenti chimici e di una costante irrigazione, con una riduzione drastica delle lavorazioni e dello spreco di risorse. Inoltre, in un’ottica di chiusura dei cicli, tale procedura permette di trasformare gli scarti vegetali in risorse ad elevato potenziale economico.
Che dire, quindi, perché non sperimentare la realizzazione di un “orto senz’acqua?”

Per ulteriori approfondimenti, si rimanda al libro “L’orto senz’acqua”, di Jacky Dupety, Terra Nuove Edizioni, Firenze, 2013.

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Quando arte e scienza si incontrano in mare

Quando Arte e scienza si incontrano in mare – MyShot, fa parte di una collana di “agili testi” di facile consultazione e utilizzo su grandi tematiche ambientali e sociali. Molti titoli, come questo, si riallacciano alle iniziative dell’Istituto comprese nell’area de il Pianeta azzurro, che si occupa di divulgare i temi sulla risorsa acqua. Troverete in questa pubblicazione alcune riflessioni sull’utilizzo della fotografia subacquea come strumento di rilevazione e di divulgazione scientifica. Il concorso fotografico MyShot rappresenta un momento di confronto artistico ma anche di incontro e di scambio. Numerosi programmi scientifici si stanno avvalendo sempre più della fotografia come mezzo di monitoraggio e la partecipazione di Reef Check all’edizione del conocorso Myshot 2014 ha dimostrato come arte e scienza possano e debbano incontrarsi..in mare.
Tutte le pubblicazioni sono gratuite, sino a esaurimento scorte, e possono essere richieste all’indirizzo mail pianetazzurro@schole.it

 

LEGGI LA PREFAZIONE di Stefano Moretto

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Dopo Genova e Milano, anteprima di Water Crew a Torino

Un gruppo di ragazzi, a bordo del più grande brigantino a vela del mondo, scopre il valore della diversità: è questa, a grandi linee, la trama di Water Crew, il film del regista Edo Passarella che verrà proiettato lunedì 22 dicembre alle ore 18 all’Ecofoyer – Casa dell’Ambiente di corso Moncalieri 18.

Il film è dedicato al programma di educazione marina e turismo sostenibile, realizzato all’interno del progetto il Pianeta azzurro nel maggio 2014 a bordo di Nave Italia, in collaborazione con l’Istituto per l’Ambiente e l’Educazione Scholè Futuro Onlus. L’esperienza di navigazione e formazione ha coinvolto un gruppo di ragazzi diversamente abili.

Nel corso dell’evento ci sarà la presentazione in anteprima del volume, edito dalla Collana del Faro, intitolato “Water Crew, appunti di navigazione”. Copie gratuite verranno distribuite fino ad esaurimento scorte.

Il documentario integrale di Water Crew sarà disponibile online a partire dal 1° Gennaio 2015, sul sito www.educazionesostenibile.it, in questa sezione.

INGRESSO LIBERO. Per partecipare è necessario registrarsi all’evento, inviando una mail a segreteria@schole.it

Considerazioni contemporanee sul maltempo

Quest’oblò non può che essere dedicato a Genova, la città – così la si potrebbe definire per quanto è successo – “martire dell’acqua”. A decidere di parlare di Genova sono stato indotto da una fotografia in particolare. Non si è trattato di una delle tragiche immagini delle vie spazzate dall’acqua del Bisagno e degli altri torrenti che attraversano il capoluogo ligure bensì di uno scatto che mostrava una serie di auto infangate, sconquassate e accumulate in uno spiazzo. Questa foto mi ha fatto tornare in mente uno scatto analogo del 1970 quando tra il 7 e l’8 ottobre caddero su Genova 948 mm d’acqua in 24 ore con conseguenze catastrofiche. Ebbene, allora le tante macchine distrutte dalla furia delle acque furono utilizzate per realizzare una barriera sottomarina affondandole al largo di Varazze. All’epoca frequentavo ancora il liceo, e anche se avevo una certa qual intenzione di occuparmi di mare non sapevo che sarei diventato a tutti gli effetti un biologo marino e avrei avuto modo di vedere e toccare con mano i risultati di quell’esperimento, un esperimento che oggi non si potrebbe certo ripetere almeno con le modalità di allora. Eppure, a modo suo, si trattò di un esperimento importante che da lì a poco avrebbe dato il via a una vivace stagione tutta italiana di studi, ricerche e progetti riguardanti la realizzazione di barriere sottomarine artificiali, esperienze di cui si nota un certo risveglio se si pensa all’idea, vincente per molti esperti ma non, a quanto pare, per il nostro Ministero per l’Ambiente, di trasformare in oasi biologica le strutture d’acciaio subacquee realizzate per il recupero della Costa Concordia a proposito della quale avevo scritto, in un OBLO’ del 2012, che se fosse affondata avrebbe fatto la fortuna del Giglio attirando plotoni di subacquei da tutto il mondo per tutti gli anni a venire.

A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi che cosa abbiano a che fare auto, barriere artificiali sommerse ecc. La risposta è presto data. Da quando vennero affondate le auto distrutte dall’alluvione del 1970 io sono cambiato e ho imparato qualche cosa, la biologia marina ha fatto passi avanti scoprendo che le barriere artificiali non si fanno affondando semplicemente carcasse di auto e gli scienziati, è storia recentissima, sono riusciti a spedire una sonda su una cometa raggiunta nel punto voluto dopo dieci anni di viaggio nello spazio. L’uomo può imparare, pianificare e realizzare imprese quasi impossibili e allora perché Genova è ancora in balia dei suoi fiumi? Non prendiamocela con la natura o con l’acqua, che cade con ritmi ormai da monsone tropicale, bensì con chi dovrebbe decidere e assumersi la responsabilità di agire nell’interesse di un bene comune che si chiama ambiente e che comincia da casa nostra per estendersi a tutto il pianeta. E a proposito di acqua come non trovare ancora attuali le parole usate da Indro Montanelli (il nome dice ancora qualcosa a qualcuno?) in uno dei suoi articoli dedicati a Venezia e scritti nel novembre 1968: “Si prenda esempio dalla Serenissima che da sola e coi poveri mezzi di allora, per sette secoli, seppe salvare Venezia dalla doppia insidia del mare e della terra. Anch’essa aveva il suo alto commissario. Si chiamava Magistrato delle Acque. Era il secondo personaggio della Repubblica, e la sua parola per quanto riguardava la laguna, cioè la vita di Venezia, faceva legge. Ma il Doge nell’investirlo di questi supremi compiti, lo presentava al popolo con queste parole: Pesatelo, pagatelo e, se sbaglia, impiccatelo”. Senza arrivare a simili barbari estremi (basterebbe un licenziamento in tronco senza buonuscita o altre prebende e la rifusione dei danni provocati), bisogna davvero cominciare ad agire per evitare che i disastri si ripetano come fotocopie anno dopo anno. In fondo, se l’acqua fa l’acqua perché quello è il suo compito, perché non pretendere altrettanto da chi ha l’incarico di fare?  Shakespeare in “Come vi piace” scrisse “Tutto il mondo è un teatro/e tutti gli uomini e le donne non sono altro che attori”, ma gli attori possono anche prendere dannatamente sul serio la loro parte e allora facciamo davvero la “nostra parte”. E questo è ancora più urgente perché non vorrei che avesse ragione il prof. Ferdinando Boero, uno di quelli che non correrebbero certo il rischio di essere impiccati a Venezia, quando scrive “noi che ci occupiamo di ambiente stiamo passando dalla denuncia, alla rabbia, alla rassegnazione”. 

Angelo Mojetta

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Batteria ad acqua

L’acqua è una risorsa preziosa e fonte di energia rinnovabile, basti pensare all’utilizzo che se ne fa negli impianti idroelettrici. Ma, secondo un recente studio proposto dai ricercatori della Stanford University (California) esistono anche altre modalità grazie alle quali produrre energia dall’acqua. In particolare, un team di studiosi che fa capo al professore Yi Cui, ha recentemente ideato una batteria in grado di generare energia elettrica sfruttando la differenza di salinità tra l’acqua dolce e quella marina. Grazie a questa innovativa tecnologia, è possibile produrre energia ovunque ci sia un incontro tra acqua dolce e salata, dove, cioè, l’acqua dolce confluisce in mare. Ne deriva che estuari e foci dei fiumi diventino luoghi privilegiati per la generazione di energia secondo questa modalità.

Il funzionamento della batteria che sta alla base del processo è relativamente semplice. La batteria, costituita da due elettrodi – uno positivo e uno negativo – viene immersa in acqua dolce giungendo ad una configurazione in cui essa risulta debolmente caricata. Successivamente, viene prelevata e inserita nell’acqua di mare, che, essendo salata, possiede un numero da 60 a 100 volte maggiore di ioni rispetto a quelli riscontrabili nell’acqua dolce. Questi ioni fanno aumentare la tensione nella batteria che, quindi, produce molta più energia di quella necessaria per attivarla. Una volta scaricata l’acqua di mare, il processo può ripetersi ciclicamente, arrivando ad accumulare progressivamente energia. Nel corso dei diversi esperimenti portati a termine, il team di ricercatori ha conseguito un’efficienza pari a circa il 74 % ma si ipotizza di raggiungere valori prossimi all’85 %. Se così fosse, installando centrali di questo tipo su tutti i fiumi del mondo, si potrebbero produrre fino a 2 terawatt di energia elettrica ogni anno – pari a circa il 13 % dell’attuale consumo mondiale annuo di energia elettrica.

Ma questa tecnologia, sicuramente interessante da un punto di vista energetico ed affascinante per le sue peculiarità, presenta ancora dei forti limiti.

Innanzitutto, è necessario lavorare sul materiale da utilizzare per produrre l’elettrodo negativo. Ad oggi, infatti, la scelta ricade sull’argento, troppo costoso per risultare utilizzabile su larga scala. In secondo luogo, è necessario ridurre al minimo l’impatto che tale tecnologia potrebbe generare sull’ambiente. In questo senso, è fondamentale ipotizzare modalità di deviazione di solo una piccola parte dell’acqua dei fiumi coinvolti  per poi reintrodurla nell’oceano, in modo da gravare il meno possibile sugli ecosistemi fluviali e marini. Infine, sorge il problema della quantità massima di acqua dolce di cui è possibile disporre per alimentare le batterie. Infatti, mentre si dispone di una quantità praticamente infinita di acqua di mare salata, lo stesso non si può dire di quella dolce. Per ovviare a questo inconveniente, i ricercatori propongono l’utilizzo di acqua di scarico trattata, in modo da trasformare un prodotto di scarto in una preziosa risorsa.

Fonte: http://www.scienze-naturali.it/, La Rivista Italiana sul Mondo delle Scienze

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La riabilitazione in acqua

La riabilitazione in acqua, metodologia conosciuta e praticata fin dall’antichità, consiste nel fare svolgere al paziente vari esercizi con il corpo parzialmente immerso nell’acqua. L’idroterapia è indicata sia come mezzo di preparazione fisica in vista dell’intervento chirurgico sia come efficace strumento riabilitativo nella fase di rieducazione post-operatoria e post-traumatica.
I trattamenti, basandosi su specifiche proprietà fisico-biologiche dell’acqua, forniscono un contesto ideale per vari i trattamenti riabilitativi, preventivi e correttivi.
Il programma di esercizi andrà impostato in seguito ad un’attenta valutazione dei bisogni del paziente e degli obiettivi prefissati.
In linea di massima la rieducazione in acqua, si compone di due o tre sedute settimanali per un periodo variabile in relazione al grado di disabilità individuale. Spesso i percorsi riabilitativi si limitano a far compiere al paziente esercizi molto simili a quelli che si eseguono in palestra.
Per potere eseguire gli esercizi non occorre essere dei nuotatori esperti. Nelle vasche il livello dell’acqua normalmente non supera i 120 cm e sono comunque presenti piccoli attrezzi per favorire il galleggiamento. Il calore dell’acqua (T>32°<34°) in cui il paziente è immerso aiuta ad alleviare il dolore, riduce lo spasmo muscolare ed induce alla distensione.
La diminuzione della forza di gravità, rende i movimenti più naturali e meno stressanti per le articolazioni consentendo l’esecuzione di movimenti impensabili a secco.
La resistenza offerta dall’acqua è graduale, senza punti morti; ciò consente di mantenere una tensione muscolare uniforme durante i movimenti favorendo il recupero del tono e della flessibilità muscolare.
Il progressivo sviluppo e le conseguenti ricerche nel campo della riabilitazione hanno evidenziato l’importanza dell’idrokinesiterapia come approccio riabilitativo, per le patologie del sistema nervoso dell’apparato locomotore e del sistema circolatorio.

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