Una giornalista e l’etica. Ma è un film

Intervista virtuale a Sonia Caramma

 

Tiziana Carena

 

Sonia Caramma è speaker, doppiatrice, attrice e conduttrice televisiva…. . eco l’ha intervistata “virtualmente”.

D. Hai lavorato di recente in un film il cui centro è l’etica del lavoro del giornalista, pressato dai démoni della disoccupazione e dalle sirene del successo…

R. Il film si intitola Press regia di Paolo Bertino e Alessandro Isetta, realizzato da Lunafilm, Rai Cinema, con il contributo del MiBACT, in associazione con FIP Film Investimenti Piemonte, con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte, distribuito dall’ Istituto Luce Cinecittà.

Maurizio e Luca lavorano in una rete televisiva regionale. Maurizio è un giovane giornalista intraprendente, Luca è il suo cameraman. Preoccupato per gli imminenti tagli al personale e stanco dei servizi che gli vengono affidati, Maurizio decide di renderli più interessanti e curiosi, inventandoli in parte. Luca partecipa malvolentieri all’operazione.

I servizi giornalistici vengono “ritoccati” in maniera sempre più spudorata, ed hanno sempre più successo, ma tra Luca e Maurizio nasce un forte conflitto sull’etica del lavoro.

La caporedattrice (Margherita è il mio personaggio) venuta a sapere della falsità dei servizi proposti informa il direttore il quale convoca Maurizio nel suo ufficio avvertendolo che se la verità dei fatti trapelasse la responsabilità del grave gesto cadrà unicamente su Maurizio e sarà la rovina della sua carriera… questo si legge anche dalla scheda del film pubblicata in www.filmitalia.org.

 

D. Qual è stato il tuo percorso formativo?

R. Mi Sono laureata con Gigi Livio con una tesi sulla rivista italiana e il teatro di Macario che fu il primo attore che conobbi personalmente da bambina. Mi innamorai del teatro vedendo un suo spettacolo all’età di 8 anni; e in quel momento forse decisi di fare l’attrice. Ho iniziato a lavorare a teatro con diverse compagnie teatrali ma esigenze familiari mi hanno costretta ad abbandonare questa strada perché il teatro purtroppo non da’ da mangiare. Ecco che mi sono avvicinata alla pubblicità prestando voce e volto a numerosi spot per dedicarmi infine grazie alla mia versatilità ad un ruolo di presentatrice e conduttrice di programmi. Collaboro con Primantenna tv da 15 anni. L’attrice deve essere eclettica, saper fare un po’ di tutto… È vero che poi uno decide di fare il doppiatore o l’attore cinematografico o teatrale o lo speaker radiofonico. È bene conoscere tutte le discipline e imparare a recitare sia con il corpo che con la voce .Macario forse è stato la molla che mi ha spinto ad affrontare questo mestiere. La sua maschera (il suo volto memorabile, una delle tante maschere che spesso usiamo per essere diversi da ciò che siamo… perché l’attore ama fare l’attore anche fuori dalla scena, fingere anche nella vita, se costretto (e io questo l’ho imparato bene), ahimè per essere più credibili, per ottenere qualcosa, recitare per lavorare, per aiutare gli altri o forse per nascondere agli altri quello che sei veramente…).

 

D. Per essere, allora, in taluni casi, bisogna apparire?

R. In questa società dell’immagine, come posso apparire come sono, senza arrivare al paradosso che per essere devo apparire?

 

D. Chi esprime sé stesso, allora?…

R. Chi esprime se stesso è vincente. Ma non sempre è così.

Pirandello sosteneva che le persone nella vita indossano maschere per conformarsi meglio alle regole e ai luoghi comuni della società, ma nel privato voglio essere diversa. Io sono una mamma, una moglie, un’amica come tante rivelandomi nella mia autenticità dell’essere………

 

D. Che cosa pensi della tesi di Diderot secondo la quale per rendere bene sulla scena l’attore deve essere intimamente freddo?

R. La tesi di Diderot è piuttosto nota per il suo carattere paradossale: l’attore è tanto più bravo ed efficace sul palcoscenico quanto meno “sente” il personaggio e interpreta la parte per imitazione dei suoi atteggiamenti e dei suoi sentimenti. Se l’attore imita il personaggio riesce a renderlo efficacemente, se vuole entrare dentro di esso, comprenderlo, riviverlo, in sostanza “diventare” il personaggio da lui interpretato, risulta fiacco e inattendibile. Ciò contraddice tutti gli insegnamenti che gli attori ricevono nelle scuole di teatro prima di calcare il palcoscenico, soprattutto è in opposizione al modello di immedesimazione nel personaggio che contraddistingue il Metodo di recitazione di Kostantin Stanislavskij e poi ripreso in America da Lee Strasberg . Diderot sostiene infatti che l’attore è tanto più grande quanto più usa la testa e meno la sensibilità innata. Il talento da solo non basta, serve l’innesto della tecnica e della cultura. Il grande attore non è colui che si lascia andare alle proprie istintive emozioni, ma chi sa ricostruirle attraverso un lavoro a mente fredda.

Sicuramente l’attore ha un compito preciso: trasmettere emozioni allo spettatore e per rendere possibile questo compito e’ indispensabile che queste emozioni siano sentite o vissute dall’attore stesso. Non bisogna mai dimenticare che in scena si recita il falso, ma per far si che sia credibile occorre renderlo vivo con la sincerità delle passioni e la verosimiglianza delle sensazioni. Quindi, ben venga Stanislavskij con il suo metodo.

L’attore non deve “sembrare” o “fingere”, ma essere il personaggio, viverlo, essere “più vero del vero”, e deve esserlo in una situazione in cui tutto intorno a lui è falso (scene, costumi, trucco, luci, pubblico); nonostante tutto deve creare la sua verità e crederci fino in fondo.

Non è una cosa che viene naturale, bisogna prima imparare a concentrarsi, lavorare sull’immaginario, sapere controllare le proprie emozioni, liberarsi da ogni tipo di condizionamento, consapevole e non consapevole, permettersi di fare spazio in sé a qualcosa o qualcun altro da sé, diventare come un vaso vuoto che uno sceneggiatore, un regista, uno scrittore, un drammaturgo, possano riempire con altre vite, reali o immaginarie. L’attore come una cassa di risonanza, uno strumento che si mette a disposizione. Non è facile. Ma io sono una che non smette mai di imparare e di mettersi in gioco.

Raymundo Sesma a Torino: l’arte nel paesaggio

 
Il 17 dicembre in via Lombroso 16, ore 9,00, convegno con la partecipazione di Raymondo Sesma su “L’arte nel paesaggio”.
La presenza a Torino dell’artista messicano Raymundo Sesma è occasione per un interessante momento di discussione su arte contemporanea e riqualificazione urbana a San Salvario, quale momento di approfondimento di Torino Capitale del Paesaggio in occasione del Congresso Mondiale dei paesaggisti IFLA che si terrà nel capoluogo piemontese nel 2016.
Intervengono:
Alessandra Aires, Presidente AIAPP Piemonte Valle d’Aosta, Antonella Parigi, Assessore alla Cultura Regione Piemonte, Maurizio Braccialarghe, Assessore alla Cultura Città di Torino, Mario Cornelio Levi, Presidente Circoscrizione 8, Ferruccio Capitani, Comitato Organizzatore IFLA Torino 2016, Raymundo Sesma, Maria Flora Giubilei, Direttore Galleria di Arte Moderna di Genova, Fortunato D’Amico, Curatore d’Arte, Sopramaresotto, Francesco De Biase, Dirigente Servizio Cultura Città di Torino, Paolo Mighetto, Comitato di Redazione “Architettura del Paesaggio”, Enrica Pagella, Direttore di Palazzo Madama, premio ICOM museologa dell’anno 2012, Marco Minari, Commissione Locale per il Paesaggio di Torino, Paolo Naldini, Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, Biella, Dario Rei, Cattedra UNESCO per la Sostenibilità Ambientale, Tiziana Monterisi, N.O.V.A. Civitas, Biella, Paola Parmentola, Marco Addonisio, Mattia Cogato Baraldo, Coord. Commissioni Circoscrizione 8, Giuseppe Piras, Agenzia Sviluppo Locale San Salvario, Roberto Albano, YLDA, Alessandro Mercuri, Associazione Nessuno, Daniela Lenzi, Donne per la difesa della società civile, Mario Salomone, Ecofoyer-Casa dell’Ambiente, Raymundo Sesma, artista, Monica Saccomandi, Fabrizio Sibona, Accademia Albertina di Belle Arti di Torino.
Nel pomeriggio si terrà un interessante tavolo partecipativo con lo stesso Raymundo Sesma, rappresentanti dell’associazionismo locale e docenti dell’Accademia Albertina sul tema di Largo Saluzzo e di come, attraverso l’arte contemporanea, si possa migliorare il paesaggio urbano. Seguirà il sopralluogo in largo Saluzzo con la presenza, insieme agli altri intervenuti, di architetti del paesaggio AIAPP-Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio.
 
Raymundo Sesma è un artista multimediale messicano che dal 1980 vive e lavora tra Città del Messico e Milano. Fondatore dell’associazione Advento, negli ultimi 5 anni ha operato per integrare l’arte con l’azione di designer, architetti, paesaggisti e altri attori nell’ambito dell’arte pubblica. Ha condotto una serie di invenzioni in situ su architetture interne ed esterne, pareti di musei e gallerie in Messico, Stati Uniti, Svizzera e Italia. Le sue realizzazioni stimolano zone di contatto sociale e attivano processi sociali. I suoi lavori sono presenti in prestigiose collezioni internazionali, dal Metropolitan Museum of Art di New York al Victoria and Albert Museum di Londra, dal Musée d’Art Modern di Parigi al National museum of Modern Art di Tokyo, al Museo de Arte Moderno di Città del Messico, alla Fundaçao Calouste Gulbenkian di Lisbona.
 
 

Raymundo Sesma a Torino

(Torino) Il 17 dicembre in via Lombroso 16 alle 9,00 incontro con l’artista messicano Raymundo Sesma.
La presenza a Torino dell’artista messicano Raymundo Sesma è occasione per un interessante momento di discussione su arte contemporanea e riqualificazione urbana a San Salvario, quale momento di approfondimento di Torino Capitale del Paesaggio in occasione del Congresso Mondiale dei paesaggisti IFLA che si terrà nella nostra città nel 2016.
Nel pomeriggio si terrà un interessante tavolo partecipativo con lo stesso Raymundo Sesma, rappresentanti dell’associazionismo locale e docenti dell’Accademia Albertina sul tema di Largo Saluzzo e di come, attraverso l’arte contemporanea, si possa migliorare il paesaggio urbano. Seguirà il sopralluogo in largo Saluzzo con la presenza, insieme agli altri intervenuti, di architetti del paesaggio AIAPP-Associazione Italiana di Architettura del Paesaggio.
Intervengono: Alessandra Aires, Presidente AIAPP Piemonte Valle d’Aosta, Antonella Parigi, Assessore alla Cultura Regione Piemonte, Maurizio Braccialarghe, Assessore alla Cultura Città di Torino, Mario Cornelio Levi, Presidente Circoscrizione 8, Ferruccio Capitani, Comitato Organizzatore IFLA Torino 2016, Raymundo Sesma, Maria Flora Giubilei, Direttore Galleria di Arte Moderna di Genova, Fortunato D’Amico, Curatore d’Arte, Sopramaresotto, Francesco De Biase, Dirigente Servizio Cultura Città di Torino, Paolo Mighetto, Comitato di Redazione “Architettura del Paesaggio”, Enrica Pagella, Direttore di Palazzo Madama, premio ICOM museologa dell’anno 2012, Marco Minari, Commissione Locale per il Paesaggio di Torino, Paolo Naldini, Cittadellarte-Fondazione Pistoletto, Biella, Dario Rei, Cattedra UNESCO per la Sostenibilità Ambientale, Tiziana Monterisi, N.O.V.A. Civitas, Biella, Paola Parmentola, Marco Addonisio, Mattia Cogato Baraldo, Coord. Commissioni Circoscrizione 8, Giuseppe Piras, Agenzia Sviluppo Locale San Salvario, Roberto Albano, YLDA, Alessandro Mercuri, Associazione Nessuno, Daniela Lenzi, Donne per la difesa della società civile, Mario Salomone, Ecofoyer-Casa dell’Ambiente, Raymundo Sesma, artista, Monica Saccomandi, Fabrizio Sibona, Accademia Albertina di Belle Arti di Torino.

Fondatore dell’associazione Advento, Raymundo Sesma negli ultimi 5 anni ha operato per integrare l’arte con l’azione di designer, architetti, paesaggisti e altri attori nell’ambito dell’arte pubblica. Ha condotto una serie di invenzioni in situ su architetture interne ed esterne, pareti di musei e gallerie in Messico, Stati Uniti, Svizzera e Italia. Le sue realizzazioni stimolano zone di contatto sociale e attivano processi sociali. I suoi lavori sono presenti in prestigiose collezioni internazionali, dal Metropolitan Museum of Art di New York al Victoria and Albert Museum di Londra, dal Musée d’Art Modern di Parigi al National museum of Modern Art di Tokyo, al Museo de Arte Moderno di Città del Messico, alla Fundaçao Calouste Gulbenkian di Lisbona. Per Torino ha realizzato nel 2009 il progetto Campo expandido nell’ambito del progetto Star-T, L’arte sotto le stelle, promosso da Sopramaresotto (rotonda di via Orvieto angolo corso Mortara).

Street View Underwater

Una vera e propria mappa dei fondali marini americani. Realizzata con fotocamere innovative con capacità inedite. È questo il progetto a cui sta lavorando un gruppo di studiosi statunitensi che stanno imparando a usare speciali obiettivi “fisheye” nelle acque delle isole Keys in Florida. Nella speranza di poter creare presto una mappa “Street View” dei principali santuari marini nazionali. L’obiettivo è quello di realizzare un panorama in 3D e mondiale delle barriere coralline e di altre meraviglie subacquee sul modello di Google Street View.
Su Google Maps è già possibile visionare immagini sottomarine delle barriere coralline di Australia e dei Caraibi (ne sono state realizzate 400mila), ma è la prima volta che questa tecnologia approda nelle acque degli States.

(fonte www.repubblica.it/)

Acqua & Europa (di S. Moretto)

In Europa, le acque di superficie, come laghi e fiumi, rappresentano la fonte idrica prioritaria per l’industria, l’energia e l’agricoltura e forniscono l’81 % del totale delle acque dolci estratte. Al contrario, l’approvvigionamento idrico pubblico dipende prioritariamente dalle acque sotterranee perché generalmente sono di migliore qualità.
In tutta Europa, il 44 % dell’acqua estratta viene utilizzato per la produzione di energia, il 24 % per l’agricoltura, il 21 % per l’approvvigionamento idrico pubblico e l’11 % per l’industria. Questi dati se analizzati nel dettaglio evidenziano grosse dovergenze nell’uso settoriale di acqua nell’intero continente. Nell’Europa meridionale, per esempio, l’agricoltura impiega il 60 % dell’acqua estratta e in alcune zone anche l’80 %.
La desalinazione è ormai un’alternativa sempre più frequente alle fonti convenzionali di acqua, specialmente nelle regioni europee che soffrono di stress idrico.
Affinché a livello gestionale si passi dall’aumento dell’offerta alla riduzione al minimo della domanda, occorre avviare diverse politiche e prassi.
Un esempio virtuoso potrebbero essere delle misure di sensibilizzazione della popolazione, quali l’etichettatura ecologica, la certificazione ecologica e i programmi di educazione nelle scuole per un utilizzo sostenibile dell’acqua.
Ma non solo, per esempio devono essere affrontati i problemi rigurdanti le perdite nei sistemi di approvvigionamento idrico; in alcune zone d’Europa, la perdita d’acqua dovuta a questa motivazone può essere maggiore al 40 % della fornitura totale.
L’UN-WWAP (World Water Assessment Programme) è stato istituito dall’Unesco su mandato delle Nazioni Unite nel 2000 e dal 2007 ha sede a Perugia. E’ frutto della collaborazione di 65 soggetti tra agenzie ONU e altre entità appartenenti a UN-Water, fra cui organizzazioni internazionali, associazioni e ONG. Nasce con lo scopo di:

  • informare la comunità internazionale sullo stato e sui problemi, presenti e futuri, delle risorse idriche mondiali;
  • assistere e formare gli stati membri per la valutazione delle loro politiche sulle risorse idriche;
  • dal 2003, elaborare l’United Nations World Water Development Report (WWDR), con l’obiettivo di fornire ai decisori politici, alla società civile e al settore privato gli strumenti e le informazioni per promuovere l’uso sostenibile dell’acqua, anche attraverso un set di dati ed indicatori.

Il 23 Dicembre 2003 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2005-2015 Decennio Internazionale dell’Acqua “Water for Life”. Il Decennio è stato inaugurato il 22 Marzo 2005 in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua.
L’obiettivo principale del Decennio “Water for Life” è sostenere gli sforzi per realizzare gli impegni internazionali sull’acqua e le questioni relative entro il 2015.
Fra gli impegni più rilevanti, quello di dimezzare il numero di persone senza accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari di base entro il 2015.
Altrettanto importante è l’obiettivo per tutti i Paesi, concordato al Summit di Johannesburg, di porre fine ad uno sfruttamento “non sostenibile” delle risorse idriche e di sviluppare una gestione delle risorse idriche integrata e piani di efficienza idrica.

Manca un anno alla fine del 2015,
poi cosa succederà?
Intanto…non sprechiamolo!

http://www.un.org/waterforlifedecade/

http://www.unesco.org/water/wwap/

Profilo autore: Stefano Moretto, Diver e skipper, lavora e vive in Francia, si occupa di sviluppo ed innovazione di prodotti in campo subacqueo.Coordinatore redazionale e responsabile del progetto “il Pianeta azzurro” e de “La Collana del Faro”. Esperto in Biologia marina, giornalista, si occupa di divulgazione scientifica e coordina progetti di educazione ambientaleidrobiologica. Collabora alla realizzazione di progetti sportivi con integrazione sociale di diversamente abili. E’ stato coordinatore territoriale del Piemonte dell’associazione ambientalista Marevivo Divisione Subacquea. Fondatore ed organizzatore di associazioni sportivo-culturali, quali Associazione Bioma, Marine-life, Mondomarino, Aquax, Tritone eAgusta (www.agustaresort.com)

 

Considerazioni contemporanee sul maltempo

Quest’oblò non può che essere dedicato a Genova, la città – così la si potrebbe definire per quanto è successo – “martire dell’acqua”. A decidere di parlare di Genova sono stato indotto da una fotografia in particolare. Non si è trattato di una delle tragiche immagini delle vie spazzate dall’acqua del Bisagno e degli altri torrenti che attraversano il capoluogo ligure bensì di uno scatto che mostrava una serie di auto infangate, sconquassate e accumulate in uno spiazzo. Questa foto mi ha fatto tornare in mente uno scatto analogo del 1970 quando tra il 7 e l’8 ottobre caddero su Genova 948 mm d’acqua in 24 ore con conseguenze catastrofiche. Ebbene, allora le tante macchine distrutte dalla furia delle acque furono utilizzate per realizzare una barriera sottomarina affondandole al largo di Varazze. All’epoca frequentavo ancora il liceo, e anche se avevo una certa qual intenzione di occuparmi di mare non sapevo che sarei diventato a tutti gli effetti un biologo marino e avrei avuto modo di vedere e toccare con mano i risultati di quell’esperimento, un esperimento che oggi non si potrebbe certo ripetere almeno con le modalità di allora. Eppure, a modo suo, si trattò di un esperimento importante che da lì a poco avrebbe dato il via a una vivace stagione tutta italiana di studi, ricerche e progetti riguardanti la realizzazione di barriere sottomarine artificiali, esperienze di cui si nota un certo risveglio se si pensa all’idea, vincente per molti esperti ma non, a quanto pare, per il nostro Ministero per l’Ambiente, di trasformare in oasi biologica le strutture d’acciaio subacquee realizzate per il recupero della Costa Concordia a proposito della quale avevo scritto, in un OBLO’ del 2012, che se fosse affondata avrebbe fatto la fortuna del Giglio attirando plotoni di subacquei da tutto il mondo per tutti gli anni a venire.

A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi che cosa abbiano a che fare auto, barriere artificiali sommerse ecc. La risposta è presto data. Da quando vennero affondate le auto distrutte dall’alluvione del 1970 io sono cambiato e ho imparato qualche cosa, la biologia marina ha fatto passi avanti scoprendo che le barriere artificiali non si fanno affondando semplicemente carcasse di auto e gli scienziati, è storia recentissima, sono riusciti a spedire una sonda su una cometa raggiunta nel punto voluto dopo dieci anni di viaggio nello spazio. L’uomo può imparare, pianificare e realizzare imprese quasi impossibili e allora perché Genova è ancora in balia dei suoi fiumi? Non prendiamocela con la natura o con l’acqua, che cade con ritmi ormai da monsone tropicale, bensì con chi dovrebbe decidere e assumersi la responsabilità di agire nell’interesse di un bene comune che si chiama ambiente e che comincia da casa nostra per estendersi a tutto il pianeta. E a proposito di acqua come non trovare ancora attuali le parole usate da Indro Montanelli (il nome dice ancora qualcosa a qualcuno?) in uno dei suoi articoli dedicati a Venezia e scritti nel novembre 1968: “Si prenda esempio dalla Serenissima che da sola e coi poveri mezzi di allora, per sette secoli, seppe salvare Venezia dalla doppia insidia del mare e della terra. Anch’essa aveva il suo alto commissario. Si chiamava Magistrato delle Acque. Era il secondo personaggio della Repubblica, e la sua parola per quanto riguardava la laguna, cioè la vita di Venezia, faceva legge. Ma il Doge nell’investirlo di questi supremi compiti, lo presentava al popolo con queste parole: Pesatelo, pagatelo e, se sbaglia, impiccatelo”. Senza arrivare a simili barbari estremi (basterebbe un licenziamento in tronco senza buonuscita o altre prebende e la rifusione dei danni provocati), bisogna davvero cominciare ad agire per evitare che i disastri si ripetano come fotocopie anno dopo anno. In fondo, se l’acqua fa l’acqua perché quello è il suo compito, perché non pretendere altrettanto da chi ha l’incarico di fare?  Shakespeare in “Come vi piace” scrisse “Tutto il mondo è un teatro/e tutti gli uomini e le donne non sono altro che attori”, ma gli attori possono anche prendere dannatamente sul serio la loro parte e allora facciamo davvero la “nostra parte”. E questo è ancora più urgente perché non vorrei che avesse ragione il prof. Ferdinando Boero, uno di quelli che non correrebbero certo il rischio di essere impiccati a Venezia, quando scrive “noi che ci occupiamo di ambiente stiamo passando dalla denuncia, alla rabbia, alla rassegnazione”. 

Angelo Mojetta

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Batteria ad acqua

L’acqua è una risorsa preziosa e fonte di energia rinnovabile, basti pensare all’utilizzo che se ne fa negli impianti idroelettrici. Ma, secondo un recente studio proposto dai ricercatori della Stanford University (California) esistono anche altre modalità grazie alle quali produrre energia dall’acqua. In particolare, un team di studiosi che fa capo al professore Yi Cui, ha recentemente ideato una batteria in grado di generare energia elettrica sfruttando la differenza di salinità tra l’acqua dolce e quella marina. Grazie a questa innovativa tecnologia, è possibile produrre energia ovunque ci sia un incontro tra acqua dolce e salata, dove, cioè, l’acqua dolce confluisce in mare. Ne deriva che estuari e foci dei fiumi diventino luoghi privilegiati per la generazione di energia secondo questa modalità.

Il funzionamento della batteria che sta alla base del processo è relativamente semplice. La batteria, costituita da due elettrodi – uno positivo e uno negativo – viene immersa in acqua dolce giungendo ad una configurazione in cui essa risulta debolmente caricata. Successivamente, viene prelevata e inserita nell’acqua di mare, che, essendo salata, possiede un numero da 60 a 100 volte maggiore di ioni rispetto a quelli riscontrabili nell’acqua dolce. Questi ioni fanno aumentare la tensione nella batteria che, quindi, produce molta più energia di quella necessaria per attivarla. Una volta scaricata l’acqua di mare, il processo può ripetersi ciclicamente, arrivando ad accumulare progressivamente energia. Nel corso dei diversi esperimenti portati a termine, il team di ricercatori ha conseguito un’efficienza pari a circa il 74 % ma si ipotizza di raggiungere valori prossimi all’85 %. Se così fosse, installando centrali di questo tipo su tutti i fiumi del mondo, si potrebbero produrre fino a 2 terawatt di energia elettrica ogni anno – pari a circa il 13 % dell’attuale consumo mondiale annuo di energia elettrica.

Ma questa tecnologia, sicuramente interessante da un punto di vista energetico ed affascinante per le sue peculiarità, presenta ancora dei forti limiti.

Innanzitutto, è necessario lavorare sul materiale da utilizzare per produrre l’elettrodo negativo. Ad oggi, infatti, la scelta ricade sull’argento, troppo costoso per risultare utilizzabile su larga scala. In secondo luogo, è necessario ridurre al minimo l’impatto che tale tecnologia potrebbe generare sull’ambiente. In questo senso, è fondamentale ipotizzare modalità di deviazione di solo una piccola parte dell’acqua dei fiumi coinvolti  per poi reintrodurla nell’oceano, in modo da gravare il meno possibile sugli ecosistemi fluviali e marini. Infine, sorge il problema della quantità massima di acqua dolce di cui è possibile disporre per alimentare le batterie. Infatti, mentre si dispone di una quantità praticamente infinita di acqua di mare salata, lo stesso non si può dire di quella dolce. Per ovviare a questo inconveniente, i ricercatori propongono l’utilizzo di acqua di scarico trattata, in modo da trasformare un prodotto di scarto in una preziosa risorsa.

Fonte: http://www.scienze-naturali.it/, La Rivista Italiana sul Mondo delle Scienze

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La riabilitazione in acqua

La riabilitazione in acqua, metodologia conosciuta e praticata fin dall’antichità, consiste nel fare svolgere al paziente vari esercizi con il corpo parzialmente immerso nell’acqua. L’idroterapia è indicata sia come mezzo di preparazione fisica in vista dell’intervento chirurgico sia come efficace strumento riabilitativo nella fase di rieducazione post-operatoria e post-traumatica.
I trattamenti, basandosi su specifiche proprietà fisico-biologiche dell’acqua, forniscono un contesto ideale per vari i trattamenti riabilitativi, preventivi e correttivi.
Il programma di esercizi andrà impostato in seguito ad un’attenta valutazione dei bisogni del paziente e degli obiettivi prefissati.
In linea di massima la rieducazione in acqua, si compone di due o tre sedute settimanali per un periodo variabile in relazione al grado di disabilità individuale. Spesso i percorsi riabilitativi si limitano a far compiere al paziente esercizi molto simili a quelli che si eseguono in palestra.
Per potere eseguire gli esercizi non occorre essere dei nuotatori esperti. Nelle vasche il livello dell’acqua normalmente non supera i 120 cm e sono comunque presenti piccoli attrezzi per favorire il galleggiamento. Il calore dell’acqua (T>32°<34°) in cui il paziente è immerso aiuta ad alleviare il dolore, riduce lo spasmo muscolare ed induce alla distensione.
La diminuzione della forza di gravità, rende i movimenti più naturali e meno stressanti per le articolazioni consentendo l’esecuzione di movimenti impensabili a secco.
La resistenza offerta dall’acqua è graduale, senza punti morti; ciò consente di mantenere una tensione muscolare uniforme durante i movimenti favorendo il recupero del tono e della flessibilità muscolare.
Il progressivo sviluppo e le conseguenti ricerche nel campo della riabilitazione hanno evidenziato l’importanza dell’idrokinesiterapia come approccio riabilitativo, per le patologie del sistema nervoso dell’apparato locomotore e del sistema circolatorio.

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Remora”, la rete da pesca biodegradabile e rintracciabile

Il problema dell’abbandono in acqua delle cosiddette “reti fantasma“, che costituiscono una seria minaccia per l’intero ambiente marino è al centro di numerosi dibattiti (vedi anche dossier dedicato nel prossimo numero di “Il Pianeta azzurro” di prossima uscita). Recentemente per far fronte a tale problematica uno studente di ingegneria, Alejandro Plasencia, ha brevtettato la rete da pesca biodegradabile, provvista di sensori di tracciamento. La speciale rete da pesca, che è stata chiamata “Remora”, grazie all’aggiunta di un additivo nei materiali costituenti è destinata ad “auto-degradarsi” senza lasciare residui nocivi all’ambiente dopo circa quattro anni. Inoltre, grazie ad una speciale sistema di monitoraggio a radio frequenza (chiamato RFID), i pescatori potranno monitorare  la propria equipaggiatura da pesca permettendo anche di recuperare la rete in caso di perdita.

(fonte ANSA.it 18 novembre)

Qui sotto un video del “Remora Project”

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Le donne (giornaliste) vanno alla guerra

È uscito nella collana “Effetto farfalla” dell’Istituto per l’Ambiente e l’Educazione il volume di Marika Frontino Professione: inviate di guerra. Donne e war reporting in Italia (1991-2005), pp. 144, euro 15, ordinazioni sul sito www.educazionesostenibile.it.

La prefazione è dell’inviato de La Stampa Mimmo Càndito, la postfazione di Mario Salomone, presidente della Federazione italiana media ambientali, con testimonianze di Giuliana Sgrena, Barbara Schiavulli e Monica Maggioni.

Il libro prende le mosse da un fenomeno inedito che sorprende il pubblico televisivo italiano durante la seconda guerra del Golfo, nel 1991: il racconto delle numerose giornaliste al fronte.

Da dove nasce la decisione dei direttori dei telegiornali di affidare con sempre maggior frequenza alle donne l’informazione sui conflitti? Per chi si accontenta delle spiegazioni facili è sufficiente una sola risposta: ci sono sempre più inviate perché è aumentato il numero delle giornaliste, sempre più brave (o belle), sempre più gradite al pubblico.

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