Pianeta azzurro, un mondo d’acqua

H2O è la sola formula chimica che tutti ricordano, l’acqua d’altronde è non solo la materia più diffusa sulla Terra, ma è anche la base, la sorgente della vita, che occorre conoscere e preservare.

Credere che l’acqua possa essere considerata principalmente come un bene economico, una risorsa monetizzabile, è un errore, poichè il bisogno d’acqua non risponde a un’opzione individuale, ma ad una necessità insostituibile. Bisogna evitare dunque che quello che viene definito anche l “oro blu” subisca le stesse sorti dell’”oro nero” e come sia tale sia sottoposto alle sole leggi del mercato.

Il problema non è nuovo se già in una lettera al “The Times” nel 1855 leggiamo “Se c’è una autorità sufficiente per rimuovere uno stagno putrescente dalle vicinanze di poche semplici dimore, certamente non dovrebbe essere permesso al fiume che scorre per così tante miglia attraverso Londra di diventare una fogna in fermentazione (…) Se trascuriamo questo problema non possiamo aspettarci di farlo impunemente; né ci dovremo sorprendere se, prima che siano passati molti anni, una stagione calda ci darà una triste prova della follia della nostra noncuranza.” (Michael Faraday, Lettera a “The Times”, 1855.)

Oggi oltre un miliardo e mezzo di persone non hanno accesso all’acqua potabile, nel 2020 saranno più del doppio.

Ed è per questo che il “Manifesto italiano per un contratto mondiale dell’acqua” elaborato nel 2000 si inserisce nella campagna mondiale che coinvolge ONG, enti pubblici, governi e imprese private per considerare l’acqua come un bene comune, patrimonio dell’Umanità.

Ma non basta…

Quando il Vecchio Marinaio di Coleridge diceva “Acqua, acqua dappertutto, ma non una goccia da bere” rendeva bene la situazione presente sul nostro pianeta.

Quella sua “goccia da bere” non è che un centesimo dell’un per cento delle acque del mondo. Sulla Terra, la percentuale di acqua dolce è mediamente alta, quasi il 4 per cento, ma la maggior parte di essa è custodita nei ghiacciai delle montagne e nelle calotte polari. Visto che l’acqua del mare è dannosa per la flora e la fauna che vivono sulle terre emerse, praticamente tutta l’acqua di cui necessitiamo viene estrapolata da quel prezioso centesimo dell’un per cento. A differenza  di altre risorse naturali l’acqua è rinnovabile, però, in quanto viene costantemente rigenerata dal ciclo idrologico, ciclo messo in pericolo dall’agire spesso sconsiderato dell’uomo, che pretende di sottomettere la natura ai suoi desideri più immediati.

Pianeta Azzurro venne definita la Terra dai primi astronauti sbarcati sulla Luna, un pianeta azzurro che noi, nuovi “acquanauti” esploreremo, per presentarvene gli aspetti più curiosi, per rendervi partecipi delle notizie più interessanti, per affascinarvi con le meraviglie del mare e di quel Mare Nostrum, che lambisce le nostre coste, ma di cui spesso ignoriamo le risorse.

Dall’amore per questo elemento e dal desiderio di tutelarlo,  nasce l’inserto “Il Pianeta Azzurro” che la rivista “.eco” vi proporrà nell’arco dell’anno.

In ogni numero ci accosteremo all’acqua attraverso rubriche, interviste, articoli, rivelandovene segreti e problematiche con la nostra voce e le nostre immagini… 

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Com’è difficile parlare d’acqua

Di recente un amico mi ha coinvolto in un paio d’iniziative sull’acqua dove alcuni esperti dialogavano con gruppi di studenti. I temi affrontati sono stati i più vari, dalle esperienze delle scuole sul tema del riciclo e del risparmio delle risorse idriche alla visione culturale dell’acqua nelle civiltà antiche, all’importanza di lottare per questo bene indispensabile alla conoscenza dell’acqua come ambiente complementare al nostro mondo di esseri fondamentalmente terricoli.

Gli incontri sono stati appassionanti prima, durante e dopo, come succede quando gli argomenti sono particolarmente coinvolgenti, e le cose imparate parecchie. Da tutto ciò è però nata in me una riflessione e cioè che è difficile parlare d’acqua. Questo composto chimico, così importante per tutta la vita come chiunque riconosce, ha tra le sue capacità quella di sfuggire rapidamente alla nostra attenzione. Beninteso, queste sono riflessioni mie anzi impressioni e per questo, lo riconosco, ho una buona percentuale di probabilità di essere nel torto. Eppure un pizzico di verità sento che ci deve essere.

È cronaca recente lo stato di allarme sulla siccità. Tutti i mezzi di comunicazione si sono impegnati a profusione a presentarci catastrofiche visioni di estati torride e panorami sahariani nelle nostre pianure e adesso già si sente sostenere che di acqua ce n’è troppa, che il pericolo incombe e frane, alluvioni e smottamenti sono alle porte. E allora? Siamo ancora alla cronaca spicciola, dell’hic et nunc piuttosto che a un’opera di vera sensibilizzazione e di cultura. Ma forse, come dicevo, è colpa dell’acqua, difficile da circoscrivere anche mentalmente. L’acqua, è vero, ci serve per vivere, ma rimane una parte lontana dal nostro modo di pensare da esseri terrestri per i quali l’acqua è transitoria: la beviamo e la espelliamo, cade e poi evapora. Molto più importante l’aria (sono d’accordo) che ci permette di respirare. La cosa curiosa è entrambe sono, fisicamente parlando, dei fluidi, ma con l’aria abbiamo un rapporto diretto mentre con l’acqua è sempre mediato a cominciare da quella che utilizziamo nelle nostre case dove arriva nascosta dentro tubature che provengono da chissà dove. Insomma l’acqua c’è, ma non si vede.

Di recente ho ricevuto un kit con alcune indicazioni e suggerimenti per proteggere l’ambiente. Utilissimo e pratico, ma con particolare che sembra avvalorare quanto ho scritto: tra il materiale inviato c’è un poster con tante persone in un grande spazio verde, qualcuno passeggia, qualcuno va in bicicletta o sui pattini, ci sono aquiloni, palloncini, cani, qualcuno gioca e altri leggono o passeggiano. Tutto è verde, si respira un’aria pulita, ma…non c’è nemmeno una piccola pozza d’acqua. Appunto, l’acqua è optional.

Caparbio, ho fatto una prova. Mi sono letto l’elenco dei contributi contenuti negli Atti del 3° Congresso mondiale di educazione ambientale alla ricerca dei titoli contenenti un riferimento all’acqua. Ebbene, contando tutti i titoli che rimandano in vario modo a questo tema si arriva a poco più di 10 cui si potrebbero aggiungere i contributi filmati della sezione Blu del Weec. Poco considerata l’importanza del problema il che mi riconduce alla mia considerazione iniziale: parlare di acqua è difficile. Ma forse per questo è ancora più importante e interessante e vale la pena di riflettere e insistere. Da parte mia ringrazio chi mi ha aperto ancora una volta l’oblò per farmi gettare un altro sasso, nell’acqua naturalmente!    

 

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Comunicare è necessario

Si è creduto a lungo che solo l’uomo e poche altre specie avessero il potere di comunicare e quasi nessuna oltre a noi di condividere pensieri astratti. Oggi la ricerca etologica più avanzata e i semiologi stanno scoprendo l’esistenza di un mondo nascosto di cui pochi sospettavano l’esistenza. Ogni organismo vivente, infatti, è in grado, in qualche momento della propria esistenza, di lanciare segnali che contengono delle informazioni, e questo indipendentemente dall’ambiente considerato. L’intera biosfera – aria, terra o acqua – è, infatti, lo scenario di una continua trasmissione d’informazioni che ha raggiunto, grazie ai computer, livelli mai visti. Dopo la babele delle lingue, ricordata dalla Bibbia, ci si sta avvicinando paradossalmente ad una sorta di nuova unificazione in nome di internet a proposito del quale si parla abitualmente di navigazione. E allora, se di navigazione si tratta, spingiamoci anche sotto gli oceani, in quel pianeta azzurro che una frase poetica definiva in passato “il mondo del silenzio”. I mari, come è ormai noto, sono un ambiente ricco di comunicazioni che non hanno nulla da invidiare a quelle terrestri. La trasmissione di informazioni per via chimica (l’acqua è il migliore dei solventi possibili) regola la riproduzione di moltissime specie da quelle più semplici come le spugne o gli entozoi e tra questi un posto di rilevo spetta alle madrepore dei reef tropicali capaci di dare il via ciclicamente alla più grande riproduzione di massa che si conosca per superficie e numero di individui interessati proprio grazie a mediatori chimici che altro non sono che segnali. La comunicazione avviene anche per mezzo di segnali ottici paragonabili ai nostri cartelli pubblicitari. Il linguaggio dei colori è, infatti, uno dei più utilizzati in acqua nonostante le enormi differenze nella trasmissione della radiazione luminosa che si registrano sotto la superficie del mare dove i colori dell’arcobaleno scompaiono progressivamente con la profondità. Ma, come si è andato scoprendo, ci sono altre radiazioni come i raggi ultravioletti che gli animali acquatici sfruttano per comunicare mediante la lettura di strie, bande, macchie, pallini dimostrando chiaramente che il mondo delle acque è ben lungi dall’essere come appare. Infine, esiste il vasto mondo della comunicazione “verbale” dei mammiferi marini. Come non osare definire così i fischi dei delfini o i canti delle megattere soprattutto quando è ormai evidente che esistono pure i dialetti all’interno delle differenti popolazioni oggetto di studio.

Prendere consapevolezza dell’esistenza di sistemi di comunicazione così variati, e tanto simili a quelli in uso nella nostra specie, potrebbe o dovrebbe trasformarsi in un momento di riflessione sulle affinità che uniscono tutti gli esseri viventi e nello stesso tempo portarci a considerare anche il linguaggio come un elemento della biodiversità e spingerci a recitare un sentito mea culpa insieme al de profundis per i linguaggi che andiamo estinguendo trasformando in lingue morte come quelle degli antichi Egiziani o dei Sumeri parte della ricchezza dell’umanità.   

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Ambiente e comunicazione

Qualche tempo fa ho assistito a un dibattito in televisione durante il quale i vari esperti discutevano tra loro sulla capacità della televisione di influire sugli stili di vita e le scelte della gente. Tutti, chi più chi meno, erano sostanzialmente d’accordo che la televisione è in grado di determinare cambiamenti importanti nella vita quotidiana su scala planetaria e, infatti, qualcuno considerava la nascita della televisione come uno dei grandi eventi che hanno influito sulla storia dell’umanità. Tutto ciò mi ha portato a chiedermi, da semplice spettatore, se anche nel settore dell’ambiente la televisione ha prodotto qualche effetto soprattutto sulla nostra sensibilità ecologica e nel nostro modo di considerare il pianeta. Certamente la televisione, massima esponente della galassia dei mass media e definibile, forse, come il sesto potere, avendo superato ampiamente le capacità del quinto così mirabilmente tratteggiato da Orson Welles in uno dei suoi film più celebri, ha avuto ed ha un ruolo di mediatore nel rapporto tra ambiente e uomo-spettatore, influendo sulle rappresentazioni ambientali delle persone. Grazie a essa tutti possono scendere sul fondo del mare, trovarsi in mezzo a squali e cetacei, ammirare le bellezze delle barriere tropicali o seguire la caccia dell’orso bianco o quelle di leoni e ghepardi nella savana africana. La televisione, ovviamente, non è solo lo spettacolo di una meravigliosa natura. Essa ci porta naufragi e maree nere, Chernobyl, i disastri legati al cambiamento climatico e altri fenomeni che dovrebbero aiutarci ad acquisire una consapevolezza ambientale diffusa e a farci sentire ecosolidali al di là di ogni barriera ideologica e razziale. Esiste una grande verità di fondo sulla quale forse non ci si sofferma abbastanza e cioè che se le religioni sono tante, e quindi possono essere fonte di contrasti (nonostante i fondamenti siano sovente identici), il nostro pianeta è uno solo e questo sì potrebbe essere il vero legame universale tra gli uomini.

Purtroppo il potere della televisione è in questo senso limitato. Se così non fosse non ci si spiegherebbe perché l’ambiente non susciti manifestazioni di piazza paragonabili a quelle cui si assiste per una partita di calcio o la vincita di una coppa e perché la TV sappia influire sulle economie dei mercati indicendo a comprare questo anziché quello e non sappia educare al rispetto dell’ambiente. Forse chi di ambiente si occupa non riesce a utilizzare questo mezzo in maniera efficace per mancanza di fondi e di aggressività. Se la comunicazione ambientale fosse affidata a una grande agenzia di pubblicità, scelta tra quelle che danno vita a martellanti campagne per la vendita di prodotti di consumo,  e i manifesti fossero realizzati, per esempio, da Oliviero Toscani, solo per fare un nome famoso per le sue capacità dirompenti, cambierebbe qualche cosa? Penso proprio di sì.

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Abbecedario amazzonico aspettando i mondiali‏: lettera H

Con i mondiali alle porte e la nazionale italiana che si prepara a giocare il suo primo match nella rovente e umida Manaus, sale la curiosità verso questa regione lontana e affascinante che è l’Amazzonia. Sia l’Italia sia l’Inghilterra si stanno preparando atleticamente al momento in cui dovranno giocare alle alte temperature tropicali, ma forse non sanno che ciò che li aspetta e che forse li sorprenderà di più è una cultura creola, con usi e tradizioni, leggende e credenze molto diverse dalle nostre.

Prepariamoci anche noi, prima di questo grande incontro, con qualche pillola sull’Amazzonia: un racconto per ogni lettera dell’alfabeto!

Historia

La storia dell’Amazzonia non comincia con l’arrivo dei portoghesi, nel secolo XVII. Si sa, ma è facile dimenticarlo. Fortunatamente, negli anni Novanta del secolo scorso, alcune nuove ricerche hanno contribuito a ravvivare il dibattito sulla preistoria amazzonica, interagendo con questioni molto attuali.
Innanzi tutto, il numero degli abitanti dell’Amazzonia prima dell’arrivo dei portoghesi era consistente: la stima formulata da Meggers nel 1966, di circa 2,5 milioni di persone, simile a quella di Julian Steward del 1949, è stata recentemente rivista al rialzo: circa 5 milioni di persone, una cifra a cui si è tornati solo negli anni Settanta del Novecento (1). Meggers aveva fondato il suo calcolo sulla densità della popolazione che, a suo avviso, visto l’ambiente e le tecniche disponibili, non poteva essere stata più alta.

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Abbecedario amazzonico aspettando i mondiali‏: lettera G

Con i mondiali alle porte e la nazionale italiana che si prepara a giocare il suo primo match nella rovente e umida Manaus, sale la curiosità verso questa regione lontana e affascinante che è l’Amazzonia. Sia l’Italia sia l’Inghilterra si stanno preparando atleticamente al momento in cui dovranno giocare alle alte temperature tropicali, ma forse non sanno che ciò che li aspetta e che forse li sorprenderà di più è una cultura creola, con usi e tradizioni, leggende e credenze molto diverse dalle nostre.

Prepariamoci anche noi, prima di questo grande incontro, con qualche pillola sull’Amazzonia: un racconto per ogni lettera dell’alfabeto!

O Garimpeiro

Garimpeiro è l’uomo vero, quello che non ha paura di niente
quello che insegue la sfida, che non è mai pago
Per lui, l’oro non è ricchezza, ma Sogno, tatuato sulla pelle,
chiaro negli occhi di febbre,
inciso nei denti

Un minatore, in Amazzonia e in tutto il mondo, conduce una vita faticosa e pericolosa che consta di ritmi di lavoro irregolari, nessuna tutela sanitaria e igienica. Indipendentemente dal minerale estratto, il lavoro in miniera è costituito principalmente dalle attività di scavo e spostamento di pesanti carichi, anche a parecchi metri di profondità. Leggi tutto “Abbecedario amazzonico aspettando i mondiali‏: lettera G”

Evviva la citizen science!

Qualcuno si ricorderà di quello scienziato che viveva in una torre d’avorio da cui contemplava il mondo spargendo gocce di scienza preziosa che spiegavano il perché e il percome dell’universo. Oggi quella torre è disabitata o quasi sia perché molti scienziati hanno deciso di abitare nel mondo sia perché la ricerca ha sempre più bisogno del mondo per continuare nella sua missione, cioè per produrre conoscenza. Ovviamente la spiegazione non è così semplice, ma si può considerare accettabile per introdurre l’importante argomento della “citizen science” o scienza del cittadino. L’avvento di questa forma di “attività scientifica partecipata” è la naturale evoluzione, favorita anche da un più facile accesso (purché se n’abbia voglia) alle informazioni scientifiche, di movimenti più o meno spontanei (per esempio, d’appassionati di conchiglie od ornitologi “dilettanti”) che da sempre si sono formati attorno ad istituti o istituzioni legate in qualche modo alla ricerca e allo sviluppo delle scienze. Società scientifiche, più o meno aperte, esistono da secoli e ad esse si sono aggiunte nel tempo associazioni o gruppi d’appassionati, spesso con alti livelli di preparazione, con l’intento di stabilire un contatto più stretto con il mondo scientifico ufficiale e con esso collaborare.

La nascita di questi sodalizi non è sempre stata facile o ben accetta, con alti e bassi secondo la loro disponibilità e munificenza. Assai più difficile da accettare è stato il coinvolgimento d’appassionati sparsi, cioè non riconducibili ad una precisa associazione. Ancora una ventina d’anni fa, almeno nel nostro paese, la collaborazione tra cittadini appassionati e scienza era un tabù e non era cosa facile organizzare progetti che andassero in tale direzione. Eppure la volontà c’era. Con la rivista Aqva, quando ci lavoravo nel secolo scorso, facemmo alcune campagne per raccogliere dati sulla distribuzione delle praterie di posidonie lungo le nostre coste oppure per fotografare rari nudibranchi (oggi si tengono i Nudibranch Days). Un caso a parte, sempre legato ad Aqva, è stato la nascita della cetologia italiana grazie all’iniziativa di uno scienziato anomalo (per quegli anni) come Giuseppe Notarbartolo di Sciara che riuscì a coinvolgere numerosi dipartisti per iniziare un primo monitoraggio dei cetacei del Mediterraneo fino a quel momento studiati quasi esclusivamente a seguito di fortuiti spiaggiamenti.

Più lento è stato lo sviluppo tra subacquei e scienza soprattutto perché i primi (quelli italiani almeno perché all’estero la collaborazione era già iniziata) si sono portati dietro per anni la fama di predoni del mare. Oggi non è più così e dopo i primi esperimenti del collega Stefano Goffredo dell’Università di Bologna inerenti madreporari mediterranei ci sono stati progetti sostenuti dalla Scuba School International dedicati a cavallucci marini, a specie indicatrici del Mediterraneo, un’idea poi estesa con successo al Mar Rosso, a cui se ne sono aggiunti molti altri, anche proposti da Pianeta Azzurro e Scholé, nati per iniziativa di ricercatori più aperti che hanno saputo avvalersi proficuamente dell’entusiasmo e, perché no, delle capacità di tanti cittadini.

Questi sono solo alcuni esempi e ogni lettore potrà scoprirne molti altri sul web e magari decidere di collaborare con alcuni di questi progetti. La citizen science si può perciò considerare un settore importante per lo sviluppo di una vera cultura scientifica, quella che può aiutare ciascuno di noi ad accrescere le nostre conoscenze e ad utilizzarle per vivere meglio e per imparare a distinguere la vera scienza da quella falsa. Certo, la citizen science non si può improvvisare. Ci sono regole e procedure da rispettare se si vogliono fare le cose seriamente. Per esempio, è importante trovare una ricerca che sia utile e accattivante, organizzare un team d’esperti che sappiano sviluppare un metodo di ricerca e materiali di supporto precisi ma non pedanti (meglio poche domande mirate che un centinaio), riuscire a sollecitare l’interesse dei potenziali volontari, imparare a addestrarli, raccogliere i dati ed elaborarli e, soprattutto, divulgarli e dimostrare la loro utilità, un elemento questo spesso sottovalutato, ma che ha l’importante scopo da un lato di gratificare i volontari, riconoscendone l’utilità e l’impegno, e dall’altro di certificare la validità del progetto iniziale.

Con questi presupposti la citizen science può diventare uno strumento importante per la nostra crescita e per una migliore conoscenza e gestione del nostro pianeta. 

Angelo Mojetta

 

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AQUA (Adopting of Quality water Use in Agro-industry sector)

La scarsità dell’acqua sta diventando un fenomeno che desta sempre maggiore preoccupazione, al punto che anche il mondo dell’industria e della produzione cerca di attivarsi al fine di ridurne gli sprechi.

In tal contesto si è sviluppato un interessante progetto LIFE denominato AQUA (Adopting of Quality water Use in Agro-industry sector) finalizzato alla realizzazione di un “kit” per il miglioramento dei processi di gestione della risorsa idrica nell’ambito della filiera agroalimentare della Pianura Padana.

Il “kit” è costituito da un insieme di strumenti e procedure volte a monitorare i consumi idrici e a definire una strategia per ridurne il fabbisogno. E’ pensato come un percorso ciclico, che prevede campagne di raccolta dati, valutazione e rendicontazione dei risultati e revisione di quei processi che non risultano performanti a livello di consumo di acqua.

Questi gli step fondamentali previsti dal “pacchetto di lavoro”:

Fase 1) il punto di partenza è la valutazione, attraverso un semplice software, della conformità normativa: rispondendo ad alcune domande il programma restituirà un’immagine dello stato di rispondenza dell’azienda alle norme riguardanti la gestione e l’utilizzo delle risorse idriche;

Fase 2) valutazione dei consumi idrici attuali e delle modalità di utilizzo dell’acqua all’interno dell’azienda – azione questa da ripetere nel tempo al fine di evidenziare eventuali miglioramenti ottenuti nel tempo a seguito di specifiche azioni correttive;

Fase 3) la terza fase è diversificata in base alla filiera agroalimentare di riferimento secondo queste categorie: filiera ortofrutticola, delle carni, lattiero-casearia, vitivinicola, settore seminativo e grandi culture. In particolare, per ogni filiera è possibile visualizzare i processi produttivi tipici, le aree di maggior intensità idrica e i consumi medi previsti dalle migliori tecnologie disponibili sul mercato. In particolare, questi ultimi sono utilizzati come indicatori di confronto rispetto ai consumi evidenziati nella fase 2; inoltre, le attività che comportano un maggior consumo idrico sono collegate direttamente a suggerimenti e tecnologie per il risparmio dell’acqua;

Fase 4) analisi e valutazione di tutte le tecnologie e gli interventi che possono essere adottati per risparmiare acqua – divisi per settore produttivo –  al fine di definire una propria strategia aziendale di risparmio idrico;

Fase 5) approfondimento di tipo economico, finalizzato a facilitare la scelta delle azioni da implementare per ridurre il consumo idrico attraverso una valutazione delle opportunità e della convenienza delle diverse alternative individuate al punto 4, basato sul calcolo del tempo di ritorno dei diversi investimenti;

Fase 6) definizione di un Piano d’azione da interpretarsi come impegno concreto per la tutela della risorsa idrica da parte dell’azienda. Tale Piano, affinché possa considerarsi efficace, dovrà essere rivisto annualmente e aggiornato in base agli obiettivi raggiunti; inoltre costituisce uno strumento di comunicazione e trasparenza verso gli stakeholder rispetto all’impegno e alla responsabilità sociale dell’azienda verso il territorio in cui essa opera.

 

Per approfondimenti:

http://kit.life-aqua.eu/

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Blue growth, la Crescita blu

La crescita blu è la strategia a lungo termine per sostenere una crescita sostenibile nei settori marino e marittimo. La strategia riconosce che i mari e gli oceani rappresentano un motore per l’economia europea, con enormi potenzialità per l’innovazione e la crescita, e rappresenta il contributo della politica marittima integrata al conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

La cosiddetta “economia blu” impiega 5,4 milioni di persone e genera un valore aggiunto lordo di quasi 500 miliardi di euro l’anno, ma alcuni settori presentano ulteriori margini di crescita.

(fonte e per saperne di più www.ec.europa.eu)

Comunicato stampa: WATER CREW, l’equipaggio dell’acqua!

Si è concluso da poco il progetto di educazione marina e turismo sostenibile WATER CREW a bordo di Nave Italia con la Fondazione Tender to Nave Italia, iniziato il 13 maggio dal porto di Genova e conclusosi a Livorno con l’accoglienza di alcune scuole, nato da un’idea dell’Istituto per l’Ambiente e l’Educazione Sholé Futuro ONLUS, all’interno dell’area dedicata all’acqua, il PIANETA AZZURRO.

L’imbarco è stato preceduto da un evento di inaugurazione che si è tenuto a Genova, occasione oltre che per conoscersi, anche per presentare il servizio di video collegamento subacqueo, tecnologia d’avanguardia di OCEAN REEF, con la squadra dell’Istituto degli Studi sul Mare di Milano, un vero e proprio documentario live dai fondali marini. Leggi tutto “Comunicato stampa: WATER CREW, l’equipaggio dell’acqua!”