Un azzurro sempre più intenso

Sono passati dieci anni da quando Stefano Moretto mi ha fatto l’onore di coinvolgermi nel progetto Il Pianeta azzurro e nelle attività dell’Istituto per l’Ambiente e l’Educazione Scholé Futuro e della rivista .eco. Non ho ritrovato traccia di quei primi Oblò, ma ricordo bene l’entusiasmo di Stefano per questo “suo” inserto e l’energia che riusciva a infondere a tutti i collaboratori di cui, probabilmente, io ero il decano, oltre che un acceso sostenitore di questa idea, visto che da poco era uscito il mio Pianeta Azzurro nella collana degli Oscar Mondadori. Ciò che mi aveva attirato, oltre alla possibilità di aiutare un amico, era stata la promessa che non avrei avuto particolari vincoli. Insomma, per la prima volta mi veniva offerta l’occasione di scegliere autonomamente l’argomento da trattare purché, beninteso, ci fosse di mezzo l’acqua in una qualsiasi delle sue tante forme e stati. Da allora, puntualmente, nella mia casella di posta sono arrivati i messaggi con cui Stefano mi ricordava di inviargli il nuovo Oblò. A volte discutevamo quale argomento trattare a seconda del taglio di Pianeta azzurro di quel mese ma, più spesso, improvvisavo basandomi sugli avvenimenti recenti e gli spunti non mancavano mai: inondazioni, tsunami, battaglie per l’acqua, inquinamenti, diritti dell’uomo, guerre e sprechi.
In dieci anni non ci siamo fatti mancare nulla e il nostro Pianeta azzurro è diventato un appuntamento fisso per tutti i lettori di .eco. Molto è cambiato e, a modo nostro, anche noi abbiamo provato a cambiare qualche cosa suggerendo, invitando a riflettere, raccontando
la vita e i misteri di quei tre quarti straordinari del nostro pianeta che lo rendono così unico, così azzurro. Mi piace pensare che ogni numero sia stato un seme capace di germogliare. Non importa quanto tempo sarà necessario perché alcuni di quei semi si trasformino in piante. L’impor-tante era seminarli e dieci anni di .eco e Pianeta azzurro sono un buon concime per rendere fecondo il prossimo decennio e l’altro ancora e anche il successivo e così via, con l’augurio che l’azzurro non sbiadisca mai e anzi diventi sempre più intenso.

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Fatti non foste…

Mi stavo chiedendo su cosa aprire questo primo oblò del 2012 quando il destino mi ha voluto favorire offrendomi uno spunto del tutto insperato, non tanto per l’argomento in se, quanto per le modalità con cui tutto è accaduto.
Ovviamente, e non potrebbe essere altrimenti, trattandosi di Pianeta Azzurro, intendo riferirmi alla Costa Concordia che nel momento in cui sto scrivendo (4 febbraio 2012) si trova ancora incagliata sulle coste dell’isola del Giglio. I naufragi, purtroppo, esistono, sono sempre esistiti ­- con grande gioia degli archeologi sottomarini e dei cacciatori di relitti -, e sempre esisteranno. Ciò che stupisce, semmai, è il fatto che continuano ad avvenire per “incauto uso del mezzo”, una frase che si può applicare tanto alla gestione della nave quanto del mezzo liquido su cui lo scafo si trova a viaggiare. Purtroppo la tecnologia non risolve tutto un po’ perché le macchine restano tali anche quando ci piace definirle intelligenti (e se il metro è la nostra intelligenza media di primati evoluti tutto si spiega) e poi perché, dietro le macchine, c’è sempre un uomo. Inoltre, ci dimentichiamo che il mare è immenso, potente e sconosciuto (a quanto pare non conosciamo nemmeno tutti gli scogli sommersi) e non può essere sfidato impunemente. Ci aveva provato Serse, che aveva persino fustigato il mare, e gli era andata male, ci avevano provato gli svedesi con il possente vascello Wasa, affondato poco dopo aver salpato le ancore, ci avevano provato gli inglesi della White Star con il Titanic e tutti sappiamo come è andata a finire.

Con il mare bisogna seguire “virtute e conoscenza” e ci vuole prudenza, soprattutto quando alla sua immensità si contrappone un gigantismo che ha solo radici economiche. Più la nave è grande, più gente si può imbarcare e più gente si imbarca più si guadagna (forse più con gli extra che con il biglietto) trasformando un viaggio per mare in una sorta di festa mobile dove il divertimento è obbligatorio. Nel divertimento, a quanto pare, è anche compreso il passaggio sotto costa per fare foto da mostrare agli amici, ma questa volta il passaggio si è trasformato in una veronica (uno dei movimenti chiave e più rischiosi dei toreri) mal riuscita. E adesso il colosso dei mari è lì, pieno di tutto quello che serviva per le sue migliaia di passeggeri che non hanno nemmeno fatto in tempo a capire come fosse organizzata la nave che hanno dovuta abbandonarla. I danni morali sono stati altissimi, quelli legati all’immagine delle nostre navi da crociera ancora di più, e anche se al Giglio non ci sono le barriere coralline (al contrario di quanto sostiene qualcuno intervistato alla radio), i danni all’ambiente (che sono poi quelli che ci interessano di più dopo quelli alle persone) cominciano a manifestarsi. Oli, vernici, derrate alimentari in decomposizione, acque di sentina piano piano defluiscono in mare, inquinandolo. Forse il carburante verrà recuperato, ma ancora non sappiamo se il travaso riuscirà. È una corsa contro il tempo perché la nave si sposta e le mareggiate d’inverno non mancano.

La saga della Costa Concordia è appena cominciata. Affonderà, sarà smontata, riusciranno a  recuperarla? Ai posteri l’ardua sentenza. A me piace immaginare un finale a cui nessuno o quasi ha ancora accennato, e che farebbe la fortuna del Giglio. Se affondasse, la Costa Concordia, diventerebbe il più grande relitto sommerso al mondo, un’attrazione universale paragonabile alla torre di Pisa e ad altri monumenti illustri. Se venisse aperta alle immersioni, arriverebbero dalla Patagonia per scendere su questo relitto. E il mare tra qualche decina di anni sarà ritornato padrone, come di tutto ciò che affonda, e dove c’era capitan Schettino nuoteranno felici le castagnole. Succederà? Chissà? I sogni son desideri…

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Riv/Ev-oluzione

Per lavoro sono alle prese con un testo di ecologia e mi sono trovato a riflettere su come certe regole e principi assumano un valore particolare di fronte ai mutamenti oggi in atto nella nostra società (non dite che non ve ne siete accorti che qualche cosa sta cambiando!). Quando le condizioni ambientali di un dato habitat cambiano, gli organismi sono obbligati a dare delle risposte dalle quali dipende la loro sopravvivenza o estinzione. In certi casi le popolazioni potranno, come si dice, “tirare la cinghia” in attesa che la situazione torni come prima, ma quando i cambiamenti sono epocali (e quelli in atto hanno tutta l’aria di esserlo), le uniche alternative sono evolversi o estinguersi. Estinguersi è abbastanza facile: si hanno meno risorse a disposizione, trovare cibo diventa sempre più difficile; meno si mangia meno si hanno energie per fare altro come, ad esempio, riprodursi. E se le nuove generazioni diminuiscono la spirale non può che essere negativa, come dimostrano dinosauri e schiere di fossili appartenenti a specie che non ci sono più. Evolversi, invece, è leggermente più difficile. Innanzitutto è necessario che ci sia qualcuno che abbia, senza necessariamente saperlo, le caratteristiche giuste per sfruttare le mutate condizioni ambientali. A volte basta poco per cominciare: un colore un po’ diverso, una pinna più ampia, scaglie più leggere, un po’ di grasso in più o in meno e cosi via. Come le ciliegie, un carattere vantaggioso ne tira un altro e alla fine, voilà, ecco una specie nuova perfettamente adattata all’ambiente che cambia.

Negli animali culturali come l’uomo, l’evoluzione può seguire altre vie, più rivoluzionarie. In questo caso non servono tanto le caratteristiche geneticamente trasmissibili quanto le idee purché siano utili, vantaggiose per la specie e, ovviamente, trasmissibili.
C’è un’altra differenza tutt’altro che trascurabile tra evoluzione e rivoluzione. La prima, di solito, procede lentamente mentre la seconda può essere decisamente più rapida anche se poi i suoi effetti sono destinati a protrarsi nel tempo. Oggi i mutamenti in atto ci obbligano a fare delle scelte che determineranno come non mai il nostro futuro. E forse la differenza rispetto a un ieri neppure troppo lontano è che adesso siamo costretti a decidere e soprattutto a programmare sul serio il futuro. Può non piacere, ma potrebbe essere un vantaggio. Soluzioni alle quali non avremmo mai pensato o che avremmo scartato a priori perché scomode, adesso possono rivelarsi altrettante vie d’uscita. Dovremo cambiare il modo di consumare le risorse utilizzando ciò che abbiamo più vicino ed evitando gli sprechi, recuperare il rispetto e l’amore per il prossimo e rivalutare i beni immateriali come la cultura, il paesaggio, il bello. Ricordiamoci poi che tutti abbiamo un cuore e una testa che non viene ancora fabbricata in serie come non lo è ciò che ci circonda e che ancora riusciamo a riconoscere come natura. E, infine, non dimenticate che se il prefisso “eco” precede tanto “logia” che “nomia” un motivo ci deve pur essere.

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Vino non annacquato

Risparmio idrico nei vigneti trentini

L’irrigazione di terreni coltivati costituisce un’attività a forte impatto ambientale per quanto concerne il consumo di risorse idriche. A tale problema hanno provato a dare una risposta in Trentino dove nelle zone di Faedo e Pilcante, la viticoltura vanta una lunga tradizione e la fornitura d’acqua alle diverse aziende sul territorio è gestita da un unico consorzio. L’idea innovativa consiste nella sostituzione dei tradizionali sistemi di irrigazione a pioggia, per loro natura impostati su schemi predefiniti e quindi indipendenti dalle reali necessità del momento, con impianti basati su una sofisticata tecnologia di controllo a distanza.
In particolare, una serie di sensori monitorano costantemente l’umidità del suolo e determinano di conseguenza la quantità d’acqua che di volta in volta è necessario erogare, rendendo così il sistema molto flessibile e riducendo al minimo gli sprechi. Inoltre, tale tipologia di impianto permette di distribuire in maniera più capillare l’acqua di irrigazione e di giungere fino alle radici delle piante, con una conseguente qualità dei prodotti finali più elevata rispetto a quella ottenuta ricorrendo ai sistemi a pioggia controllati manualmente. Dall’elaborazione dei primi dati raccolti durante la fase di sperimentazione del progetto, il risparmio idrico ottenuto si aggira intorno al 40-50%, con picchi fino al 60% rispetto ai sistemi tradizionali. Sicuramente un bel risultato che, se associato a una fase di convogliamento delle acque piovane in bacini di raccolta, permette di risolvere il conflitto con l’approvvigionamento pubblico, che molto spesso caratterizza la stagione estiva.

web: Acqua e cambiamenti climatici, relazione specifica della Cipra, N. 3/2011, scaricabile QUI
         www.claber.it

 

 

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Orbit, la lavatrice intelligente

Le cattive abitudini domestiche incidono profondamente sullo spreco mondiale di acqua. D’altro lato, ci sono però delle comodità alle quali non siamo più in grado di rinunciare: se è pur vero che un carico di lavatrice richiede dagli 80 ai 120 litri, è anche vero che al giorno d’oggi è praticamente impossibile fare a meno di questo elettrodomestico. Alla risoluzione di questo dilemma viene in aiuto un nuovo modello di lavatrice portatile, Orbit, che non solo riduce i consumi di acqua ma li azzera, in quanto utilizza esclusivamente ghiaccio secco. Si tratta di un prodotto ancora sperimentale, creato dal designer Elie Ahovi per Electrolux, che, se si rivelasse effettivamente funzionante come sembra emergere dai risultati dei primi test, potrebbe costituire una vera e propria “rivoluzione”.
Orbit rappresenta una scelta di sostenibilità poiché, oltre al risparmio di acqua, non richiede l’utilizzo di detersivi, in quanto per il lavaggio sfrutta una reazione chimica del biossido di carbonio. Nello specifico il ghiaccio secco (anidride carbonica allo stato solido) a una certa pressione sublima in forma gassosa e il getto ad alta velocità che ne deriva provoca l’eliminazione delle macchie dagli indumenti. Inoltre, la lavatrice viene alimentata da una batteria a forma circolare, al cui interno è collocato il cestello che, tramite un movimento dall’alto al basso e da un angolo all’altro dovuto alla creazione di un campo magnetico, permette di lavare e asciugare il bucato.
Detto ciò, questo prototipo presenta ancora delle questioni da risolvere: anche se il consumo di acqua e detersivi è azzerato, è richiesta energia per caricare la batteria e raffreddare il cestello. Inoltre, è fondamentale definire se e quanto il gas possa danneggiare (soprattutto sul lungo periodo) le componenti della lavatrice o addirittura fuoriuscire dall’elettrodomestico ed espandersi nell’ambiente circostante.

web: http://www.h2omilano.org/blog/2012/04/2193/

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Non dimentichiamoci dell’ acqua

L’acqua manca, anche nei mass media. Le bolle speculative distraggono l’attenzione dalle bolle africane 

Ripensando agli ultimi mesi, quelli che hanno coinciso con le ferie di chi le ha fatte, ho avuto l’impressione che di acqua si sia parlato meno degli altri anni. Eppure è stata un’estate calda, ha piovuto poco e gli effetti si notavano subito, anche senza essere degli esperti.
Vaste estensioni brulle, gialle, secche caratterizzavano il territorio, gli alberi sembravano vittime di un autunno anticipato e molti torrenti erano privi di acqua, anche di quel rigagnolo che pure avevano nei mesi estivi. Colpa del clima, dei ripetuti e roventi periodi di caldo, le cosiddette bolle africane (Nerone, Caligola, Lucifero), che hanno colpito una dopo l’altra la nostra penisola. In altri momenti si sarebbe assistito a una serie cospicua di servizi sull’Italia al caldo, sull’emergenza idrica, su fiumi e laghi sempre più bassi e invece no. Non che tali servizi non ci siano stati, ma in tono minore rispetto a un tempo. Tutto questa volta sembra essere passato in sordina. Le priorità erano altre: la crisi, lo spread, il lavoro che scompare, le fila dei nuovi poveri che si ingrossano. Tutto giusto, sacrosanto perché in fondo, riconosciamolo, l’ecologia è una cosa da ricchi come sta dimostrando il conflitto tra l’Ilva e la città di Taranto che richiama alla mente una fatidica domanda che forse qualcuno ricorda: volete burro o cannoni? Insomma, il problema è che bisogna imparare a decidere e a programmare nell’interesse di molti, del maggior numero possibile anziché di pochi. Sorella acqua, così preziosaÈ questo un nodo ineludibile che riguarda i destini del mondo, che non può andare avanti mosso soltanto dalle abili mani e menti di chi si trova nelle stanze dei bottoni, impegnato a muovere presunte ricchezze e valori virtuali. Mentre noi discutiamo o pensiamo di discutere, l’acqua rimane un elemento da proteggere, tutelare e gestire. Un lago glaciale in Nepal potrebbe spazzare via da un momento all’altro 60mila persone. In Africa l’avanzata del Sahel ha cancellato tutti i corsi d’acqua del Burkina Faso. In Gambia, non troppo distante, le abbondanti precipitazioni hanno causato un incremento mai visto della malaria.
Insomma, l’acqua continua a condizionare l’esistenza dell’uomo e questo non dobbiamo dimenticarlo. Essa resterà sempre l’hic et nunc della nostra vita. I valori dell’economia potranno anche cambiare nel tempo, ma le nostre necessità idriche, quella quantità di acqua che ci serve per vivere, resterà sempre la stessa e guai a chi vorrà negarcela o farci dimenticare del nostro rapporto con la nostra sorella, che è «molto utile et umile et preziosa et casta».

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Batteri depura falde

La contaminazione del suolo è uno degli impatti ambientali più preoccupanti per la salute del nostro pianeta e degli ecosistemi. Alla base di questa problematica vi è principalmente la produzione e l’uso di metalli non ferrosi, lavorazione che genera inquinamento delle falde acquifere tramite il rilascio di zinco, cadmio, cobalto e nichel. In quei territori nei quali questo tipo di inquinamento è avvenuto, è fondamentale impostare operazioni di bonifica con l’obiettivo finale di proteggere le acque sotterranee e i bacini idrografici in cui esse confluiscono. Fino a oggi, la migliore tecnica disponibile per la depurazione delle acque sotterranee contaminate è stata quella di pomparle in superficie e successivamente trattarle in impianti di trattamento delle acque reflue. Un progetto Life realizzato in Belgio viene però in aiuto per la tutela delle acque, fornendo un’alternativa più sostenibile. Il metodo proposto per la bonifica delle acque di falda contaminate da metalli non ferrosi, chiamato Insimep, si basa sulla precipitazione di metalli in situ e, non richiedendo l’uso di prodotti chimici pericolosi perché incentrato sulla stimolazione dell’attività di batteri naturali che riducono i solfati, non produce rifiuti solidi in uscita dal processo. Inoltre, studi di settore hanno dimostrato come le concentrazioni finali di metalli non ferrosi nelle acque sotterranee si riducano drasticamente dopo l’applicazione del metodo Insimep rispetto ai risultati ottenuti con altre tecnologie. Anche a livello economico il progetto è vantaggioso: dopo un investimento iniziale elevato, i costi operativi inferiori del 40% rispetto al tradizionale “pump and treat” rendono il sistema conveniente già dopo dieci anni.

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Riconosciamoci nell’ acqua

L’acqua potrebbe essere un buon motivo per sentirci tutti uguali

Potrebbe esistere una “teoria acquatica” delle idee? Forse no, ma a me piace pensare che ogni teoria o grande idea sia come un vasto mare che si riempie per il contributo di tante piccole o grandi gocce. All’inizio c’è un’intuizione, una goccia, quasi inavvertibile come certe piogge che iniziano in maniera sottile con goccioline che evaporano appena ci toccano il viso facendoci guardare verso l’alto chiedendoci se pioverà davvero. A volte le gocce insistono, prendono forza, cadono, si uniscono formando pozzanghere, rivoli e poi ruscelli che alimentano torrenti e fiumi che apportano acqua al mare. Così sono le idee, che a poco a poco prendono forza fino a diventare concrete, percettibili e percepite e trasmissibili.
Le idee possono essere discusse, condivise o respinte, portare alla cooperazione o suscitare contrasti. Insomma, non sempre diventano valori universali. Lo si vede nei nostri comportamenti quotidiani, nelle difficoltà di mettere d’accordo fra loro persone, popoli e paesi con storie e culture diverse. Stranamente, ai massimi livelli politici, i grandi sono spesso d’accordo tra loro e anche in campo religioso, dove gli ideali sono o dovrebbero essere più alti, succede lo stesso. Uniti dagli elementi che ci sono comuniQuesta unità di intenti, però, nella maggior parte dei casi non si estende ai singoli per i quali ciò che vale è il particolare, il quotidiano come dimostra quanto avvenuto in un villaggio dell’India dove gli anziani del paese hanno decretato che le donne non avessero alcun diritto nella scelta del marito e altro ancora provocando l’intervento del governo il quale si è dovuto arrendere davanti a tutta la comunità ostile e decisa a difendere l’operato dei suoi anziani. A noi sembrano fatti assurdi, impossibili anche da accettare o condividere. Ed è davanti a questi fatti che si blocca ogni possibilità di coesione. E allora perché non cominciare a riconoscerci tutti in elementi che ci sono comuni e da cui dipende la nostra esistenza?
L’acqua potrebbe essere un buon motivo per sentirci tutti uguali: operare per difenderla, gestirla e disporne potrebbe essere importante e lo è. Uno scambio di idee su come utilizzarla sarebbe importante e tutti avremmo molto da imparare. Se io ti spiego come costruire una tubatura (e magari ti regalo qualche chilometro di tubi di plastica), tu mi puoi insegnare come vivere con 20 litri d’acqua al giorno ed essere felice o come conservarla o come sfruttarla più volte. Probabilmente dei forum dei popoli sull’acqua ci sono stati (ormai gli eventi sono così tanti che è impossibile sapere cosa accade), ma c’è da scommetterci, come avevo scritto in un vecchio oblò, non sono stati i diretti interessati, la gente comune, a parlare e a confrontarsi. Se fossero stati loro a incontrarsi forse non sarebbe cambiato l’ordine mondiale, ma certo si sarebbero conosciuti, avrebbero iniziato a parlare tra loro e si sarebbero identificati nell’acqua, nella terra, nell’aria che sono poi, a ben ve dere, gli elementi da cui siamo costituiti noi e il nostro prossimo, quello a cui dovremmo fare ciò che faremmo a noi. E scusate se vi sembra poco.

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Rischio e progresso

La recente catastrofe di Fukushima, che si potrebbe anche ribattezzare l’imprevedibile prevedibile, ha riportato al centro dell’attenzione il concetto di rischio, un elemento che sembra difficile escludere dalla nostra vita. Ricordando cosa diceva Einstein «Dio non gioca a dadi, ma l’uomo evidentemente sì» e, a ben pensarci, già il semplice atto di esistere rappresenta un rischio più o meno consapevole. Però, fino a quando questo rischio rimane confinato al singolo individuo, possiamo dormire (si fa per dire) sonni tranquilli. Ciascuno, in nome del libero arbitrio, può decidere che cosa è bene e cosa è male, che cosa è giusto o non giusto fare. È altrettanto vero che rischiare è stato ed è tuttora una molla potente dell’evoluzione umana. I nostri più lontani antenati si sono assunti il rischio di scendere dagli alberi e di cominciare a vagare nelle savane. Sicuramente qualcuno li avrà definiti pazzi ma, passo dopo passo, ci hanno portato al 2012 e regalato un mondo pieno di meraviglie.
Ben diverso è il problema che insorge quando il rischio riguarda il nostro prossimo ed entra in gioco la sicurezza, una parola che si cita pressoché quotidianamente per sostenere scelte politiche difficili o socialmente poco gradite (es. nucleare, ogm, guerra, immigrazione).
Ma i tanti che agitano la bandiera della sicurezza dimenticano, o non sanno, che si tratta di una scienza e che, come tale, è oggetto di ricerca. Esiste addirittura una formula del rischio, secondo la quale: Rischio = probabilità evento x conseguenze dei danni Così, come ci spiegano, un evento con probabilità minime di verificarsi e danni elevati può ottenere lo stesso indice di rischio di un evento con probabilità maggiore ma minori conseguenze. L’oggettività della valutazione fa sì che si parli di “rischio obiettivo”. È, quindi, un rischio calcolato prendere l’aereo poiché il numero degli incidenti in un anno rappresenta un minima parte delle ore di volo complessive di tutti gli aerei.
Attenzione però a non confondere questa formula-rischio o il rischio calcolato anche per giustificare scelte pubbliche sgradite. Il rischio obiettivo ha validità soltanto se la probabilità dell’evento è misurata in modo scientifico mediante test ripetuti o dall’osservazione diretta. Soltanto in questi casi si può parlare di “rischio reale”. Spesso rischio e sicurezza vengono sottovalutati in nome di non meglio specificati “beni comuni”, nella cui valutazione raramente si applica quella regola aurea che dovrebbe guidare il vivere civile e che prescrive di non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te e che il mondo moderno ha il più delle volte trasformato nella sindrome di NIMBY (acronimo anglosassone di “Not In My Back Yard”, cioè non nel mio giardino).

Si tratta di una scelta che in un mondo finito come il nostro non porta mai troppo lontano e che è determinata dal desiderio di mantenere uno status quo che garantisce una rendita di posizione, anche piccola, rispetto agli interessi globali (si potrebbe anche dire universali), che sono i soli sui quali si dovrebbe basare la decisione di assumersi o no un rischio.
Come dimostra di nuovo Fukushima, richiamando la lezione di Chernobyl, il nucleare (ma potremmo sostituirlo con la privatizzazione dell’acqua o certi sistemi di sfruttamento delle risorse) non è una buona alternativa. Tale modello puà essere dannoso soprattutto se si tiene conto non già del “qui e ora” ma degli interessi delle generazioni future, le quali, però, come gli ultimi della Terra, non hanno voce e perciò non sono, come si ama dire, degli stakeholders, ovvero dei “portatori di interesse”.
La conservazione della Terra e dell’umanità passano attraverso la regola aurea e la riduzione dei consumi e nessuno deve pensare di essere troppo piccolo per non fare la sua parte e per non dover obbedire all’XI comandamento: rispetta il tuo pianeta, ricicla e non sprecare le sue risorse.

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Equità nell’ utilizzo della risorsa acqua

L’ONU dichiara che il diritto minimo di acqua  per ogni persona sulla Terra è di 40 litri al  giorno. Se si pensa che il consumo medio  giornaliero di un africano si attesta sui 10 litri, mentre ogni italiano ne consuma in media per le sole esigenze di  natura domestica più di 210 (l’equivalente di due vasche  da bagno), è subito chiara  l’importanza di pervenire a una maggiore equità nell’utilizzo di questa risorsa. Volete entrare ancor più nel dettaglio? In particolare ogni italiano consuma in media 40-50 litri di acqua per cucinare e lavare le stoviglie; dagli 8 ai 30 litri ogni volta che si tira lo sciacquone; 100 litri per ogni bagno nella vasca; 50 litri per ogni volta che si attiva la lavastoviglie e 170 per la lavatrice, mentre sono solo 2 litri quelli utilizzati per bere. Inoltre a questi consumi va aggiunto l’utilizzo di risorse energetiche per il riscaldamento dell’acqua. L’Enea ha calcolato che in un anno ciascuno di noi è responsabile della combustione di oltre 320 litri di petrolio sotto forma di docce e di 250 litri per la lavastoviglie. Ecco, allora, che anche i piccoli accorgimenti possono contribuire a grandi risultati: optate per la doccia piuttosto che per il bagno, fate funzionare lavatrice e lavastoviglie solo a pieno carico, non utilizzate l’acqua potabile per lavare la macchina ma attendete l’arrivo della pioggia. Lo sappiamo tutti ma nella pratica quanti di noi lo fanno?

Per approfondimenti:
Micro guida Acqua, per un consumo critico e responsabile, a cura di Franco Mori e del Gruppo di Acquisto Solidale di Pisa.

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