World Urban Forum 2012: si può vivere in città?

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Ma si può vivere in città? Certamente sì se oltre 3,5 miliardi di persone hanno deciso di farlo e sono sempre più quelli che si accingono a farlo lasciando le tradizionali residenze rurali. Tanto che è verosimile che quando a fine secolo la popolazione terrestre avrà toccato 9-10 miliardi di persone saranno 7 i miliardi che vivranno in città.
Il quesito allora deve essere “ma si potrà vivere bene in città?”. La risposta è più complessa e da una cinquantina d’anni tende ad essere negativa e dice che bisogna ripensare le città perché siano a misura d’uomo. Un evidente paradosso perché la città è una costruzione umana ed è paradossale che non sia a sua misura. Ma tant’è: il problema esiste, va realisticamente affrontato e, soprattutto, vanno individuate le soluzioni più idonee a creare quella che si chiama anche “sostenibilità” della città.

“Sopportare” la città

Sostenibile è l’aggettivo che dal 1987 – anno in cui il concetto fu coniato dalla Commissione Bruntland – viene associato a qualunque sostantivo per stemperarne l’ eventuale impatto negativo sull’ ambiente. Ma sostenibile significa anche sopportabile ed è in questo senso, soprattutto, che si può associare alla città. Chiedersi se una città sia sostenibile o proporsi di farla diventare tale significa valutare la sopportabilità del suo peso da parte dell’ambiente. Un ambiente che da un paio d’anni, in modo, per così dire, ufficiale coincide con la Terra intera. Perché da un paio d’anni, invertendo una millenaria tendenza, la popolazione terrestre per oltre la metà si è inurbata, cioè vive in città. Quando, come dicevo, questa percentuale aumenterà ancora sino a raggiungere il realistico tetto del 70 per cento, cioè 7 miliardi, sarà, ma già lo è, un bel problema. Non perché, in teoria, vivere in tanti negli ambienti urbani costituisca un problema planetario, ma perché, nella pratica, nelle grandi e grandissime città si vive generalmente male.
E, ancor più, perché per come concepita e vissuta, oggi la città è un organismo parassitario insopportabile dall’ambiente planetario. Perché in gran parte le città oggi sono grandi fabbriche quotidiane di inquinamento, soprattutto atmosferico, causato dalla produzione industriale e di energia; dalla circolazione automobilistica; dalla climatizzazione degli ambienti domestici e di lavoro. Questo, che è un inquinamento transfrontaliero che dovunque prodotto fa danni dovunque, è anche massimamente responsabile dei temuti e sempre più evidenti mutamenti climatici. È per questi motivi che il massiccio inurbamento costituisce concreto motivo di preoccupazione. Per non parlare del notevole consumo di spazio quando la città si espande orizzontalmente sul territorio.

Quattro temi chiave

Questi temi sono oggetto del World Urban Forum che dal 2002 si tiene ogni due anni organizzato da UN-Habitat, l’Agenzia delle Nazioni Unite per gli Insediamenti Umani con sede a Nairobi, ed ha l’obiettivo di esaminare e monitorare il problema della rapida urbanizzazione delle città e dell’impatto sulle comunità e sulle economie.
Il forum si propone di discutere e di esaminare le implicazioni della crescita demografica nei contesti urbani e di trovare nuove forme e nuove pratiche di miglioramento della qualità della vita, intesa in senso lato come benessere economico e realizzazione personale attraverso processi di urbanizzazione sostenibile.
Quest’anno la sesta edizione si è significativamente svolta a Napoli per discutere su:
• Pianificazione urbana: istituzioni e regolamentazione. Miglioramento della qualità della vita.
• Equità e prosperità: distribuzione della ricchezza ed opportunità.
• Produttività delle città: città innovative e competitive.
• Mobilità urbana, energia e sostenibilità ambientale.

Una conferenza affollata e propositiva

Se ne è discusso a lungo e in modo interessante in sei giorni di sessioni molto affollate, ma non saprei prevedere quante delle pur importanti decisioni prospettate, soprattutto in tema di mobilità ed energia, si tradurranno in atti concreti capaci di incidere positivamente sulla qualità della vita nelle città.
Il mio scetticismo è motivato dal fatto che da quarant’anni – da Stoccolma 1971, a Rio 1992, a Johannesburg 2002 e via elencando – tutte le grandi conferenze organizzate dalle Nazioni Unite sui problemi dell’umanità in tema di rapporto uomo/ambiente hanno prodotto risultati quasi nulli come dimostra l’attuale aggravarsi dei problemi discussi in quelle sedi. Primo fra tutti l’inquinamento atmosferico e il rischio di gravi mutamenti climatici indotti da azioni umane. Tanto che ho intitolato un capitoletto di un mio libro “A che servono le conferenze?” e in questi termini per anni ho discusso con i miei studenti di Politica dell’ambiente. E mi conforta in questa mia scettica posizione la lettura di un articolo di Jonas Gahr Store, ministro degli affari esteri della Norvegia (la stessa patria della signora Brundtland), pubblicato nell’edizione italiana di Le monde diplomatique (settembre 2012) col titolo Troppi vertici uccidono i vertici. La cui sintesi è che «dal G20 alle conferenze sul clima le riunioni multilaterali proliferano senza produrre grossi risultati».

 

Ugo Leone

 

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