Salone del Libro di Torino: temi e problemi

Vitalità del libro in un’era confusa: stiamo andando verso un modello sociale nord-americano, poco sensibile ai valori sociali che hanno sostanziato la prima repubblica? Spunti di riflessione dal Salone

 

Tiziana C. Carena e Francesco Ingravalle

 

 

Il XXIX Salone Internazionale del Libro di Torino si è chiuso con 127.596 biglietti staccati (+ 4, 05% sul Salone del 2015) e 18.084 i ridotti serali. Evidentemente è stata una politica vincente quella del biglietto ridotto serale a 5 euro dopo le ore 18: ha aumentato del 294% gli ingressi in quella fascia oraria. Facciamo qui un viaggio attraverso

 

L’analisi storica come modo per collocarsi idealmente alle spalle di un grande storico, per scoprire le sue omissioni, le curvature nella narrazione degli eventi, il suo essere politico e fazioso, la narrativa come descrizione del cinico individualismo di un’epoca e del tentativo di far rivivere il collettivo, sia pur in una dimensione piccola, e l’occasione per radiografare l’individualismo e l’atomismo del vissuto sociale odierno, un giornale come specchio del mondo e come interpretazione plurale del mondo attraverso gli strumenti della cultura e l’attitudine dialogica; il giornalismo di inchiesta come pungolo per realizzare trasparenza anche nella gestione degli affari vaticani, strettamente intrecciati con gli affari italiani; la cultura ambientale come parallelo della cultura partecipativa della democrazia e come problema di formazione della cittadinanza. Contributi a una cultura della sostenibilità e della democrazia trascelti, qui, dall’immane dispiegamento di temi e problemi realizzato da questo XXIX Salone del Libro di Torino.

Una guerra “paradigmatica”
 
14 maggio, nella Sala Rossa il grecista Luciano Canfora ha presentato il proprio libro Tucidide e la menzogna pubblicato dall’Editore Laterza.
Il lettore di Tucidide, il grande storico ateniese del V secolo a. C., resta colpito dalla affermazione dello storico ateniese secondo la quale la “guerra del Peloponneso” sarebbe stata “la più grande guerra mai scoppiata.” L’affermazione dello storico sembra mettere in secondo piano nientemeno che le guerre persiane, universalmente celebrate come il momento della salvezza della “libertà greca” dalla minaccia persiana.
Il valore paradigmatico della guerra del Peloponneso sarà tale, nella storia dell’occidente, che non pochi storici diranno della prima guerra mondiale che essa è stata “la guerra del Peloponneso del XX secolo.” Una guerra che distrugge la potenza ateniese e che indebolisce tutte le città-Stato elleniche; una debolezza di cui si avvantaggeranno, nell’ultimo ventennio del IV secolo, i Macedoni di Alessandro il Grande.
Tucidide ricostruisce il dialogo drammatico tra Ateniesi e Melii nel quale non si fa menzione del ‘tradimento’ dei Melii nei confronti degli ateniesi: Melo, infatti, alleata di Atene, era uscita dall’alleanza mente la guerra tra Atene e Sparta era in corso. Fino al 425/424 a.C. Melo risulta essere tributaria di Atene, come ci ricorda un’epigrafe. Un’altra epigrafe ci informa che i Melii fornivano denaro agli Spartani. Tucidide ha mentito, per costruire una certa immagine dell’impero ateniese, l’immagine della cieca brutalità immotivata nella condotta della guerra.
Perché Tucidide ha scritto la storia della guerra del Peloponneso? Certo, egli nasce quando l’impero ateniese esiste già e vive il crollo dell’impero stesso come la fine di un quadro epocale di riferimento; un quadro nato dalla lega panellenica anti-persiana in cui Sparta si era vista riconoscere il primato da tutte le città-Stato greche. All’interno di questa lega nasce l’impero ateniese. Tucidide non può trascurare il fatto che Sparta ha contribuito ad abbattere la tirannide in Atene nel VI secolo a. C., che, dunque essa è stata una forza filo-aristocratica (la tirannide era appoggiata dal demos, dal popolo ateniese). Egli è un uomo legato agli ambienti nobiliari anti-democratici di Atene. Ma ha grande stima di Pericle, il nobile alcmeonide “prestato” al popolo, anche se la politica di Pericle ha portato alla guerra con Sparta. In modo quasi inevitabile: due, infatti, erano le grandi potenze, Atene e Sparta, nello stesso spazio geo-politico.
Anche la seconda guerra mondiale è stata presentata spesso come analoga alla guerra del Peloponneso, per lo meno come efficacia distruttrice. E come dal fuoco del conflitto fra Atene e Sparta gli sconfitti hanno avuto la possibilità di continuare a riproporre i loro tentativi di egemonia, sino a che l’ondata macedone li spazzerà via, così la seconda guerra mondiale ha enucleato una potenza al centro dell’Europa: la Germania che, pur sconfitta nel 1945, oggi, risulta, nota Canfora concludendo il suo intervento, avere in certo senso, vinto la guerra.
 
 
Floris, dal talk show al romanzo
 
L’uomo greco, tra guerre inter-statali, civili, tramonto di modelli identitari molto forti – il tramonto delle pòleis, è, comunque, uomo che vive in (e di) una dimensione collettiva. Anche i protagonisti del romanzo di Giovanni Floris, La prima regola degli Shardana, èdito da Feltrinelli, presentato da Massimo Gramellini nella “sala 500”, un gruppo di amici entusiasmati (un giornalista, un imprenditore, un avvocato) vive in una dimensione collettiva. Che, intorno, non esiste più. Il gruppo vive nella “individualizzatissima” società contemporanea e riscopre la dimensione collettiva nel gioco del calcio. Come “fare squadra”? Occorre la capacità di coordinare vari interessi. Ma si scopre che non esistono più i collettivi, bensì esistono varie leadership che aggregano individui che, tra loro, continuano a essere separati. Non a caso anche la politica, oggi non si basa più su programmi, ma su suggestioni personalistiche; e l’interesse del pubblico è rivolto a questioni legate alla piccola quotidianità all’interno delle quali è ristretta e sacrificata la rappresentanza. Nel flusso della politica fatta di atomi solo la figura del filosofo, del personaggio dotato di carisma religioso, riesce ad attrarre l’attenzione di una massa di individui che cercano, più o meno consapevolmente, un “direttore di coscienza”, accanto al leader politico. Come nota Gramellini, il valore stesso dell’Europa, sulla scena politica attuale, dipende da governanti che siano in grado di far risorgere l’esperienza del collettivo, della condivisione, della partecipazione. Come fecero i padri dell’attuale repubblica italiana, dopo il fascismo. Ma ora stiamo andando verso un modello sociale nord-americano, poco sensibile ai valori sociali che hanno sostanziato la “prima repubblica.” Che cosa ereditiamo dall’epoca dei talk politici come “Ballarò” (iniziato nel 2002 come trasmissione non solo politica, ma anche evento, costume, cronaca, cultura)? A “Ballarò” la persona, con la sua battuta brillante, poteva darsi visibilità; i politici attuali sono meno interessanti. Solo i più rappresentativi “bucano” il video.
Gramellini chiede a Floris quali siano le figure professionali, oggi, di interesse tra gli invitati; oggi, risponde Floris, sono gli esperti di “cose”: il commercialista che spiega come si fa il 730, gli esperti dei diritti dei consumatori; chi conosce ha il modo di difendersi da ciò che non funziona.
 
Il “Corriere”, 140 anni di storia italiana
 
Lo specchio del vissuto quotidiano non è soltanto la narrazione storica, né soltanto il romanzo, ma, da un angolo visuale peculiare, lo è anche il giornale, soprattutto un grande giornale come “Il Corriere della Sera” di cui il 5 marzo è stato celebrato il 140 anniversario della fondazione. A cura della Fondazione Corriere della Sera e di La Lettura è stata realizzata, il 14 maggio, nella Sala Rossa una presentazione che ha coinvolto Luciano Fontana, Piergaetano Marchetti, Dacia Maraini, Carlo Rovelli e Marco Missiroli: 140 anni di scienze, letteratura e opinioni nelle pagine di uno dei più autorevoli quotidiani italiani. Semplicità, chiarezza e grande varietà hanno caratterizzato il supplemento “La Lettura” fin dall’inizio, così come la “Terza pagina”, realizzando una sorta di “Arcadia letteraria.” Tratti caratteristici anche della direzione di Paolo Mieli con la quale la Terza pagina è sostituita dalle pagine di cultura e dalla rinascita del supplemento “La Lettura.” La straordinaria esperienza del “Corriere” è ricostruibile attraverso la digitalizzazione dell’immenso materiale (1500 unità di carteggi; 100.000 documentazioni di disegni), secondo il denso intervento di Piergaetano Marchetti che ha definito l’archivio, come forma istituzionale, non come un deposito archeologico, ma come un contenitore di energie rinnovabili, cioè un plesso di esempi su come fare informazione culturale e informazione toutcourt. La libertà assoluta che ha regnato e regna al “Corriere” è sottolineata da Dacia Maraini. È importante dire la propria opinione su quello che accade ogni giorno; e se il romanzo richiede tempi lunghi, l’articolo di giornale fissa i dati essenziale di quello che è appena accaduto e costituisce il primo momento di un dialogo fra giornalista e lettore che educa alla discussione e rifiuta l’insulto e la rissa. Per Carlo Rovelli, fisico e collaboratore del “Corriere”, il problema dell’informazione cartacea non è tanto far arrivare tanta informazione, ma costituire un punto fermo nel flusso indifferenziato di informazione tipico del web. Il “Corriere” fa questo. Pur secondo la modalità giornalistica, sa andare oltre il pressapochismo, la menzogna, l’amore per la sterile polemica, sa coltivare il gusto per l’estrema varietà delle idee- anche contrastanti fra loro. La cultura è l’insieme degli strumenti concettuali per comprendere il mondo e, quindi, come mostra l’esperienza del “Corriere”, essa non può stare in un punto del giornale, ma deve stare in ogni punto del giornale. Lo scrittore Marco Missiroli rileva, sulla base della propria esperienza, l’estrema apertura del “Corriere” a nuove collaborazioni, anche se si è, letterariamente, “figli di nessuno.”
 
La difficile lotta di papa Francesco
 
La Sala 500 ha ospitato, il giorno 15, anche la presentazione del volume-inchiesta di Gianluigi Nuzzi (già noto come autore di Sua santità, 2012), Via crucis. Da registrazioni e documenti inediti. La difficile lotta di papa Francesco per cambiare la Chiesa, èdito da Chiare Lettere, libro al centro di un’inchiesta giudiziaria e di un processo “per avere diffuso notizie”, con l’intervento di Nadia Toffa e Geppi Cucciari (“Le Iene”) e – in collegamento telefonico, di Peter Gomez – e musiche per violoncello di Piero Salvatori (eseguite dall’autore). L’accusa della procura dello Stato Vaticano è chiara: avere pubblicato notizie relative alla sicurezza dello Stato; ma l’oggetto del libro sono i numerosi episodi di mala amministrazione della burocrazia vaticana (in particolare i fondi per i poveri, i lasciti ereditari). La giustizia vaticana prevede che l’autore del libro, non abbia diritto ad avere a casa sua i fascicoli processuali; può vederli soltanto negli uffici degli avvocati del Vaticano; le imputazioni comportano rischi di pena detentiva da 4 a 8 anni, come se non fosse legittimo sapere dove finiscono gli oboli dei fedeli affidati alla Chiesa per i poveri. Il giornalismo d’inchiesta è molto più costoso, rispetto agli ordinari talk (un’ora di talk costa dai 100 ai 250000 euro): nel giornalismo d’inchiesta i giornalisti debbono spostarsi per i report e hanno costi notevoli cui fanno riscontro, in tempi recenti, ascolti in calo, anche per trasmissioni molto note come Report (la bandiera del giornalismo d’inchiesta). Peraltro, come afferma Nuzzi, il direttore di Rai 1 non viene nominato se non c’è il consenso del Vaticano. Nel mix inevitabile di giornalismo libero e di giornalismo in qualche modo vincolato, l’informazione riesce comunque a farsi strada. Non solo: Papa Francesco ha messo al centro del suo pontificato la povertà e ha commissariato, di fatto, la curia romana, in accordo, pur indiretto, le informazioni contenute nel libro di Nuzzi.    
 
Fima, ovvero l’informazione ambientale
 
Infine, il giorno 16, a cura della FIMA (Federazione Italiana Media Ambientali) Giorgio Levi, Luca Mercalli, Ermete Realacci, Mario Salomone, Rossella Sobrero e Beppe Rovera vasto dibattito sui temi dell’informazione ambientale in Italia. Alfabetizzare il pubblico italiano su questioni così fondamentali per una gestione trasparente e democratica dell’ambiente si rivela in tutta la sua problematicità, soprattutto in relazione alla formazione di competenze inevitabilmente interdisciplinari per una configurazione inedita della cittadinanza attiva: la consapevolezza della responsabilità ambientale di ciascuno di noi, vero e proprio pendant della partecipazione politica che sostanzia il concetto di un’opinione pubblica realmente democratica.

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