La logica primaria del dono unilaterale

culture indigene

Non parità di genere, ma equità e giustizia tra esseri viventi: questo il motivo conduttore del convegno internazionale “Culture indigene di pace. Ri-educarsi alla partnership”, che si è tenuto a Torino dal 26 al 28 aprile. Una rieducazione che presuppone una dis-educazione che parta dalla consapevolezza dell’armatura patriarcale come chiave per disarmarla e insieme far crollare la gabbia in cui gli stereotipi di genere ci hanno imprigionato. Infatti, se anche a livello mentale le rifiutiamo, le abitudini alla sottomissione e alla dipendenza ce le portiamo addosso, fin da piccoli.

I bambini sono vincolati nelle loro opportunità identitarie e condizionati dagli adulti, che rappresentano l’immaginario a cui essi guardano per definire la loro identità sociale. Piuttosto che insistere sull’educare, conviene lasciar loro spazio e tempo per scoprire. Interessanti a questo proposito i documentari proiettati in apertura del convegno, Bomba libera tutti di Pina Caporaso, insegnante, e Il cielo è sempre più blu di Alessandra Ghimenti, video maker. Quest’ultimo, in particolare, è un’indagine sul tema della parità di genere tra alunni e alunne della scuola primaria, che presenta, attraverso le voci dei bambini e delle bambine, due spaccati molto diversi tra loro: quello di un paese della provincia di Lucca, Altopascio, e quello del centro di Milano.
Alle domande «Cosa vuoi fare da grande?», «Ci sono cose che le bambine non possono fare? E perché?» sono emersi, non senza il posto per un sorriso, cliché e opinioni convenzionali sull’idea del ruolo di uomini e donne nella società e sulla loro proiezione come adulti, ma anche sguardi originali e pieni di fiducia ed entusiasmo, com’è sano che siano quelli dei bambini.  
«Da loro c’è molto da imparare», sostiene Genevieve Vaughan, teorica dell’economia del dono: «Il bambino è creativo, non passivo, comunica fin da piccolo a dare a turno. Infatti fino all’età di 4-5 anni i non scambiano tra loro». Lo scambio è tipico delle economie di mercato, in cui ci si aspetta qualcosa indietro. I bambini, invece, hanno appreso dalla madre la logica primaria del dono unilaterale. Perché il vero dono, infatti, non presuppone la reciprocità. Nelle società occidentali la logica dello scambio “dare per avere”, alla base del sistema capitalistico, cancella la logica primaria.
Quali altri effetti ha la società di consumo sulle nostre relazioni? Se lo è chiesto Miriam Subirana, scrittrice, formatrice e ricercatrice all’Università di Barcellona, direttrice del centro Yesouisi e della Fundaciòn educacion emocional, che ha suggerito questa interpretazione: «Un tempo i rapporti erano improntati al rispetto dell’impegno preso e il desiderio era soffocato; ora siamo passati all’estremo opposto, sintetizzabile nello slogan ‘prendo, uso e getto’. Bisogna imparare a gestire bene i propri desideri e a non diventarne il burattino. Se il desiderio nasce da un senso di vuoto interiore, fa sì che vogliamo attrarre a noi e possedere ciò che ci manca. Il problema è che cerchiamo fuori ciò che abbiamo dentro. L’amore nasce dalla pienezza, non dalla mancanza. La mancanza genera costantemente insoddisfazione. Dobbiamo tenere a mente che ciascuno di noi è un essere ‘pieno’, intero, che può rapportarsi agli altri quali esseri pieni. Per paura del rifiuto tendiamo a compiacere sempre, ma quando ci nascondiamo nell’altro, non vediamo noi stessi e non arriviamo a conoscere l’altro. Nella mutua conoscenza si diventa complici».
Nel corso degli interventi dei numerosi esperti è stato ribadito che il cambiamento passa attraverso le relazioni quotidiane e, al contrario, è stato denunciato il ruolo conservativo delle donne espresso dai media, che le relegano a casalinghe perfette o ad amanti sensuali e procaci. E anche quello sociale che associa alla femminilità necessariamente la maternità. Persino le immagini della Dea madre o della Madre Terra sono fuorvianti: la fertilità della terra non è la sua funzione primaria, lo è diventata solo da quando è servita a produrre cibo.
In sintesi, abbandonando la forza come elemento legittimante delle gerarchie e i modelli proposti dalla società di consumo, che instillano nella nostra mente il desiderio e la necessità, si pongono le basi per un cambiamento radicale. Concludendo, Miriam Subirana suggerisce di tenere a mente questo consiglio per affrontare la vita, con tutte le sue complicazioni: «Dare sempre il meglio di sé, che è la nostra parte sacra. Solo così ci sentiremo sempre sicuri in mezzo all’incertezza».

 

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