Il posto del mare nell’uomo

Il titolo di quest’oblò estivo mi è stato ispirato da un recente giro lungo le nostre coste e dal ricordo di un saggio dal titolo “Il posto dell’uomo nella natura”, scritto nel 1863 da Thomas Henry Huxley, soprannominato “il mastino di Darwin” per la sua accanita difesa delle teorie evoluzionistiche del grande studioso. Probabilmente sarebbe interessante vedere quale sia oggi il posto dell’uomo nella natura, ma l’oblò di questo numero è sul mare e del mare scriverò.

Devo riconoscere che i nostri mari offrono ancora panorami stupendi, che davvero non hanno nulla da invidiare ai mari tropicali. Il bianco di certe spiagge, il contrasto tra le rocce delle scogliere e i colori del mare dove nessuno dei blu e dei verdi sembra mancare all’appello sono proprio da sogno. Sott’acqua c’è il Mediterraneo e a volte chi fa snorkelling deve un po’ accontentarsi, ma i motivi di interesse non mancano mai. Purtroppo ai colori e alla bellezza della costa fa spesso  da contraltare la presenza dell’uomo che, d’estate, sembra animato da una voglia irrefrenabile di stare insieme ai propri simili. Ho visto spiagge riempirsi gradualmente di persone, spuntare gli ombrelloni come  altrettanti fiori colorati o cartellini proprietà a contrassegnare territori sempre più piccoli (sembra che al mare le regole della prossemica seguano strade proprie). Anche luoghi destinati ad altri scopi come gli scivoli per l’entrata e l’uscita di eventuali imbarcazioni o i loro corridoi di avvicinamento a terra vengono occupati con stuoie e asciugami e radio. Il rumore sembra ormai essere un imperativo, un optional obbligatorio tanto da aver visto imbarcazioni capaci di annunciarsi da lontano grazie alla musica a tutto volume diffusa dagli altoparlanti di bordo. Se dalla spiaggia si passa all’acqua le cose cambiano poco. A tutto ciò si accompagna, soprattutto dove esiste la cosiddetta spiaggia libera (dove la libertà sembra essere quella di fare quello che a casa propria forse non si farebbe) una discreta abbondanza di detriti di vario genere.

Bambini, ragazzi, giovani e adulti sguazzano soprattutto dove si tocca, galleggiano grazie a materassini e azzardano, ogni tanto, qualche puntata più al largo. Più in là, dove l’acqua è profonda, ma non troppo c’è sempre un Tartarino di Tarascona subacqueo in cerca di una preda cui sparare con fiocine ed arpioni che più che colpire il bersaglio lo spappolano. 

Il mio viaggio lungo costa mi ha fatto riflettere spingendomi a chiedere provocatoriamente che cosa la gente vorrebbe dal mare. Se si parte dall’assunto che il mare lo si scopre d’estate come i cappotti d’inverno, per alcuni, probabilmente, esso potrebbe anche essere di acqua distillata, trasparente, senza forme di vita apparenti. In fondo, diciamocelo, che cosa ci attira? Una spiaggia di sabbia fina, ombrelloni e lettini, un bel bar ristorante nei pressi, un mare dai colori caraibici, giochi per i bambini, un pedalò per sentirsi navigatori e così via. Questa sarebbe la soluzione ideale: i colori sarebbero gli stessi, forse ancor più da cartolina, non ci sarebbero quelle cose viscide che chiamano alghe o posidonie e che danno fastidio senza contare che l’acqua senza sale non brucia nemmeno gli occhi. Quei pochi che usano la maschera avrebbero una visibilità perfetta e forse non noterebbero neppure la mancanza di pesci o altre forme di vita. Basterebbe, volendo, colorare un po’ gli scogli, mettere qualche ornamento da acquario (se ne fanno di perfetti) e voilà, ecco il mare su misura.

Scommetto che a qualcuno potrebbe anche piacere. A me no, e a voi?  Difendiamo perciò quei luoghi dove si sentono ancora i suoni del mare e dove le spiagge raccontano la vita del mare e non sono soltanto l’archivio di quanto l’uomo crede di eliminare gettandolo in acqua.

Angelo Mojetta

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