Giornalisti ambientali e scientifici in rete, in un Mediterraneo in tempesta (non solo climatica)

20161111 0921441
Si è aperto a Marrakech il “2nd Meeting of environmental journalists” (11-13 novembre 2016) dal titolo “Improving climate reporting in the Mediterranean: science-media interface”. L’Italia rappresentata dalla FIMA
 
Mario Salomone*
 
(Nella foto a fianco, l’apertura dei lavori)
Organizzato per il secondo anno dal Centro per la cooperazione del Mediterraneo della IUCN e dalla agenzia spagnola EFE Verde, con la collaborazione dell’AMAN (Alliance of Mediterranean News Agencies), l’incontro di Marrakech (inserito nel programma ufficiale della COP22) segue quello del 2015 a Malaga, dove ha sede il centro della IUCN per il Mediterraneo.
C’è nel mondo un “nuovo clima” e questo significa non solo temperature in genere più alte, ma una nuova circolazione dell’acqua e dell’aria. Tutti i cicli, insomma, ne vengono sconvolti. Inondazioni e siccità, troppo caldo e ondate di freddo si alternano e si intrecciano, capricciosamente ai nostri occhi, ma obbedendo a precise leggi fisiche che provocano paradossali conseguenze: alluvioni nelle città nordafricane e perfino nel deserto (non solo quindi in Europa) e scarsità di precipitazioni o anomale ondate di freddo dappertutto.
L’aspetto più grave, però, non è la criticità attuale, ma che i dati negativi crescono seguendo una dinamica esponenziale: le curve sui grafici, in altre parole, sono destinate a impennarsi sempre più, con effetti progressivamente sempre più devastanti
 
Il Mediterraneo, area critica, e le disuguaglianze nord-sud
 
Il Mediterraneo, dal punto di vista del riscaldamento globale, è una delle aree più critiche: un mare “piccolo” e chiuso, coste urbanizzate, paesi popolosi, una stretta contiguità tra regioni climaticamente, socialmente e economicamente vicine al freddo e ricco “nord” e regioni desertiche o semidesertiche, colpite in passato dal colonialismo, da una cattiva decolonizzazione e poi da un neocolonialismo predatorio, con il triste corteo di dittature, terrorismo, guerre per le risorse, conflitti geopolitici, drammi sociali, migrazioni. La Siria ne è solo, al momento, l’esempio peggiore.
Mancanza di acqua dolce, diminuzione della produzione agricola e della pesca, morti per fame e caldo, malattie dovute a una serie di fattori, crisi degli ecosistemi (e dei servizi ecosistemici), inaridimento dei fiumi, desertificazione anche in ampie zone dei paesi dell’Europa meridionale, perdita di attività economiche (e quindi di posti di lavoro e di reddito), danni da maggiori disastri naturali sono solo alcune delle conseguenze che riguardano tutta l’area mediterranea.
Tutto ciò affacciandosi su un mare che pur rappresentando solo lo 0,7 per cento dei mari e degli oceani, ospita il 7,5 per cento delle specie e il 18 per cento della flora marina. Che è, insomma, una delle maggiori arche mondiali di biodiversità. Ma anche la maggiore area colpita dalla invasione di specie “aliene” che arrivano dall’Atlantico via stretto di Gibilterra e dall’Oceano Indiano e dal Mar Rosso via canale di Suez (e magari proseguono il loro viaggio verso altri oceani).
Altrettanto rilevante, ovviamente, è l’impatto del cambiamento climatico sugli ecosistemi terrestri e più in generale sulla biodiversità dell’intera regione mediterranea, che comprende, in Europa, quasi tutta la penisola iberica, la Francia meridionale, l’Italia centro-meridionale, vaste zone dei Balcani e che farà sentire i suoi effetti anche sulle più alte montagne (dove entro il 2080 potrebbe andare perduto il 62 per cento delle specie arboree) e sulle regioni vicine.
Ai paesi del nord Mediterraneo (che rappresentano l’83 per cento del PIIL regionale) il compito di ridurre le loro emissioni e il loro impatto anche indiretto (il consumo di suolo e risorse nel resto del mondo): ne hanno i mezzi finanziari e tecnologici.
Ai paesi del sud il problema di fronteggiare un cambiamento di cui sono solo in minima parte responsabili, che produce gravi perdite (si calcola che iil danno del riscaldamento globale per alcuni paesi del nord Africa e del Medio Oriente ammonti attualmente al 5 per cento del loro PIL), ma di fronte al quale dispongono di scarsi mezzi.
 
Il ruolo fondamentale dell’informazione
 
Di fronte a tutto ciò, l’informazione ambientale ha un compito fondamentale: far conoscere instancabilmente al maggior numero possibile di persone i dati inoppugnabili della ricerca scientifica, mettendo in contatto scienziati e opinione pubblica, pressare i politici perché prendano maggiori impegni e adottino davvero politiche coerenti e decise, combattere un negazionismo cieco ma endemico, coinvolgere la società civile, bilanciare la massa enorme di informazione che, spesso fuorviante e dilettantistica, invade Internet e si propaga incontrollata sui social network.
Senza una consapevolezza più diffusa e profonda, senza una alfabetizzazione di massa ai temi ambientali, senza una mobilitazione dal basso, senza ricadute nelle urne elettorali, senza reali cambiamenti di paradigma e anche consistenti investimenti gli allarmi degli scienziati sono destinati a restare inascoltati e i loro scenari più pessimisti ad avverarsi.
Ora è venuto il tempo di agire.
Per questo, l’iniziativa degli incontri dei giornalisti e delle agenzie stampa del Mediterraneo è particolarmente importante.
A Marrakech una cinquantina tra esperti, esponenti di associazioni di giornalisti ambientali e scientifici, rappresentanti di organizzazioni internazionali e di programmi per il Mediterraneo, si sono riuniti, appunto, per costruire strumenti comuni, per mettersi in rete e rafforzare così l’efficacia del lavoro giornalistico.
 
 
* Mario Salomone, presidente della Federazione italiana media ambientali (FIMA), rappresenta i media del settore al meeting di Marrakech.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *