Evviva la citizen science!

Qualcuno si ricorderà di quello scienziato che viveva in una torre d’avorio da cui contemplava il mondo spargendo gocce di scienza preziosa che spiegavano il perché e il percome dell’universo. Oggi quella torre è disabitata o quasi sia perché molti scienziati hanno deciso di abitare nel mondo sia perché la ricerca ha sempre più bisogno del mondo per continuare nella sua missione, cioè per produrre conoscenza. Ovviamente la spiegazione non è così semplice, ma si può considerare accettabile per introdurre l’importante argomento della “citizen science” o scienza del cittadino. L’avvento di questa forma di “attività scientifica partecipata” è la naturale evoluzione, favorita anche da un più facile accesso (purché se n’abbia voglia) alle informazioni scientifiche, di movimenti più o meno spontanei (per esempio, d’appassionati di conchiglie od ornitologi “dilettanti”) che da sempre si sono formati attorno ad istituti o istituzioni legate in qualche modo alla ricerca e allo sviluppo delle scienze. Società scientifiche, più o meno aperte, esistono da secoli e ad esse si sono aggiunte nel tempo associazioni o gruppi d’appassionati, spesso con alti livelli di preparazione, con l’intento di stabilire un contatto più stretto con il mondo scientifico ufficiale e con esso collaborare.

La nascita di questi sodalizi non è sempre stata facile o ben accetta, con alti e bassi secondo la loro disponibilità e munificenza. Assai più difficile da accettare è stato il coinvolgimento d’appassionati sparsi, cioè non riconducibili ad una precisa associazione. Ancora una ventina d’anni fa, almeno nel nostro paese, la collaborazione tra cittadini appassionati e scienza era un tabù e non era cosa facile organizzare progetti che andassero in tale direzione. Eppure la volontà c’era. Con la rivista Aqva, quando ci lavoravo nel secolo scorso, facemmo alcune campagne per raccogliere dati sulla distribuzione delle praterie di posidonie lungo le nostre coste oppure per fotografare rari nudibranchi (oggi si tengono i Nudibranch Days). Un caso a parte, sempre legato ad Aqva, è stato la nascita della cetologia italiana grazie all’iniziativa di uno scienziato anomalo (per quegli anni) come Giuseppe Notarbartolo di Sciara che riuscì a coinvolgere numerosi dipartisti per iniziare un primo monitoraggio dei cetacei del Mediterraneo fino a quel momento studiati quasi esclusivamente a seguito di fortuiti spiaggiamenti.

Più lento è stato lo sviluppo tra subacquei e scienza soprattutto perché i primi (quelli italiani almeno perché all’estero la collaborazione era già iniziata) si sono portati dietro per anni la fama di predoni del mare. Oggi non è più così e dopo i primi esperimenti del collega Stefano Goffredo dell’Università di Bologna inerenti madreporari mediterranei ci sono stati progetti sostenuti dalla Scuba School International dedicati a cavallucci marini, a specie indicatrici del Mediterraneo, un’idea poi estesa con successo al Mar Rosso, a cui se ne sono aggiunti molti altri, anche proposti da Pianeta Azzurro e Scholé, nati per iniziativa di ricercatori più aperti che hanno saputo avvalersi proficuamente dell’entusiasmo e, perché no, delle capacità di tanti cittadini.

Questi sono solo alcuni esempi e ogni lettore potrà scoprirne molti altri sul web e magari decidere di collaborare con alcuni di questi progetti. La citizen science si può perciò considerare un settore importante per lo sviluppo di una vera cultura scientifica, quella che può aiutare ciascuno di noi ad accrescere le nostre conoscenze e ad utilizzarle per vivere meglio e per imparare a distinguere la vera scienza da quella falsa. Certo, la citizen science non si può improvvisare. Ci sono regole e procedure da rispettare se si vogliono fare le cose seriamente. Per esempio, è importante trovare una ricerca che sia utile e accattivante, organizzare un team d’esperti che sappiano sviluppare un metodo di ricerca e materiali di supporto precisi ma non pedanti (meglio poche domande mirate che un centinaio), riuscire a sollecitare l’interesse dei potenziali volontari, imparare a addestrarli, raccogliere i dati ed elaborarli e, soprattutto, divulgarli e dimostrare la loro utilità, un elemento questo spesso sottovalutato, ma che ha l’importante scopo da un lato di gratificare i volontari, riconoscendone l’utilità e l’impegno, e dall’altro di certificare la validità del progetto iniziale.

Con questi presupposti la citizen science può diventare uno strumento importante per la nostra crescita e per una migliore conoscenza e gestione del nostro pianeta. 

Angelo Mojetta

 

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