Emettere fumo e polveri è reato, parola di Luigi Einaudi

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Una “predica” domenicale di Luigi Einaudi sul “Corriere della sera” del 30 luglio 1961 già affrontava il problema dell’inquinamento prodotto dalle acciaierie. Lo ricorda Ugo Leone

Si chiamava ricatto occupazionale. Era il modo in cui i “padroni” trattando con i lavoratori e i loro rappresentanti, dicevano, più o meno, se volete mantenere l’occupazione tenetevi l’inquinamento.
Si deve al sostanziale cedimento o ad un atteggiamento “morbido” nei confronti di questo ricatto, se si contano a migliaia le vittime del lavoro. Dentro e fuori i luoghi di lavoro, nelle miniere, nelle industrie chimiche e petrolchimiche, nella siderurgia. I morti per esposizione all’amianto sono l’esempio più eclatante, ma non certamente l’unico. Per restare in Italia, basta pensare almeno all’Icmesa di Seveso.
È stato così per decenni. Poi la consapevolezza che i danni all’ambiente si trasferiscono in danni alla salute; la presa di coscienza ecologista, per così dire, ha consentito di mettere nelle trattative sindacali anche le condizioni dei luoghi di lavoro. Ma non sono solo quelli che vanno tenuti sotto osservazione. È anche tutto l’intorno al di fuori delle fabbriche che può essere pericolosamente vissuto.
Perciò stupisce che ancora nel 2012 si debba discutere, nei modi in cui si sta discutendo, dell’impatto su ambiente urbano e salute di cittadini e operai dell’enorme stabilimento siderurgico dell’ILVA di Taranto.

I costi esternalizzati: un furto
Ho visto in televisione persone che pulivano alcune superfici domestiche dalla polvere contenuta nei fumi del siderurgico e depositatasi al suolo. E ho pensato all’Itasider di Bagnoli e a Einaudi. Proprio con riferimento a Bagnoli, Luigi Einaudi in una delle sue “prediche” domenicali (“Corriere della sera” 30 luglio 1961) ha scritto osservazioni particolarmente illuminanti, specialmente se si tiene conto dell’epoca abbondantemente pre-ecologista in cui le ha scritte: «Quando dimoravo ogni tanto per qualche giorno a Posillipo di Napoli – e prediligevo in quel pezzo di paradiso una minuta casina di qualche stanza a picco sul mare – mi accorsi a un tratto di una grossa nube che verso le cinque del pomeriggio, partendo da Pozzuoli e da Bagnoli, giungeva sino alla parte opposta del Golfo e ne oscurava l’orizzonte. Un altro giorno, desiderando contemplare lo spettacolo, che avevo visto meraviglioso, del golfo, mi spinsi sino al convento di Camaldoli. In fondo, una nuvola di fumo oscurava l’orizzonte. Nel parco, le foglie dei mirabili alberi, essendomi parse da lontano scolorate, preoccupato andai a toccarle. Erano ricoperte da un leggerissimo strato di polvere».
Einaudi continua ricordando che si prevedeva un ulteriore ampliamento degli stabilimenti siderurgici dell’Ilva e che già in passato aveva protestato per via epistolare «contro lo scempio che le nuvole di polvere vomitata dalle ciminiere degli stabilimenti siderurgici e cementizi facevano del paesaggio del Golfo di Napoli, ossia di una delle maggiori meraviglie del mondo» e contro il danno alla salute pubblica e ai prodotti ortofrutticoli. E conclude con una vera e propria invettiva: «Ma dove hanno la testa gli sciagurati che sovraintendono alla tutela delle bellezze naturali italiane? Non hanno mai riflettuto che il reato che compiono le ciminiere vomitanti fumo e polvere si chiama furto? Che la produzione del fumo e della polvere è un costo dello stabilimento produttore, che i consumatori di acciaio e di cemento sono scorrettamente avvantaggiati perché nel calcolo del costo dell’acciaio e del cemento non si tiene conto del costo di rimangiarsi il fumo e la polvere prodotti dalle ciminiere? Pare, a quanto mi assicurano uomini periti quando stavo lamentando per lettere inutili lo sconcio, che sia tecnicamente possibile far rimangiare il fumo a chi lo produce. Costa; epperciò accaiaierie e cementerie preferiscono non pagare il costo ed accollarlo al pubblico, ossia agli innocenti».

I lavoratori devono essere tutelati: hanno “già dato”
Quanto “pareva” allora è tanto più vero oggi e da tempo: il danno si chiama furto ed è tecnicamente possibile che quel danno chi lo produce se lo rimangi producendo pulito. Costa. Ma la riduzione del profitto che questo comporta non può essere accollata ai lavoratori che hanno già abbondantemente dato. Bensì a chi ha colpevolmente, anzi dolosamente, operato.
Non è importante che chi ha fatto tutto ciò stia agli arresti, magari domiciliari, ma che intervenga per risanare l’ambiente e per non compromettere ulteriormente la salute di lavoratori e cittadini. E, intanto che il risanamento avviene, continui a pagare salari e stipendi agli incolpevoli lavoratori che sarebbero disposti a morire di cancro e altro piuttosto che far morire di fame i familiari.
Napoli è ormai uscita, non indenne, da questo periodo. Per il semplice motivo che le industrie hanno chiuso i battenti. Anche il “glorioso” Italsider di Bagnoli al cui posto, nell’area dismessa in un futuro che non si sa quanto lontano sorgerà una nuova Bagnoli. “futura”, appunto.

Ugo Leone

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